di Mario Leone
Uno degli strumenti principali per riconquistare alla causa della costruzione della federazione europea il consenso dell'opinione pubblica consiste nel puntare sul rilancio dello sviluppo sostenibile e nella riduzione significativa dell'iniquità socio-economica a livello europeo. Questo monito è ancora oggi vivo. Ed è nel cosiddetto Piano Juncker, presidente della Commissione UE, che lo sviluppo può trovare la soluzione.
«Il piano Juncker è un'operazione più complessa che non un mero intervento finanziario. Si fonda su tre pilastri: il sostegno alle riforme strutturali nei vari Paesi, le garanzie finanziarie a fronte degli investimenti per recuperare produttività, la consulenza ad aziende e amministrazioni pubbliche perché strutturino efficacemente i progetti» (1).
Le parole di Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli investimenti (BEI), descrivono uno scenario chiaro dal punto di vista operativo.
Il Piano Juncker sin dall’inizio del proprio percorso (non irto di ostacoli) aveva una parola chiave fondamentale: “investimenti”; la soluzione per l’Europa (a detta del presidente della Commissione UE appunto) alla stagnazione economica. Annunciato il 26 novembre 2014, approvato il 17 febbraio 2015 dall'Ecofin, 1'8 maggio la Commissione UE ha emendato il bilancio per poterlo finanziare ma non senza quella istituzione che è la BEI con la quale ha sottoscritto l'accordo il 20 luglio. Da qui il via: in estate è partito l'European fund for strategic investments (EFSI o Fondo europeo per gli investimenti strategici, FEIS). Quindi ci siamo: nella seconda metà di settembre il piano dovrebbe diventare operativo.
Gli investimenti. Ebbene questo è stato il vulnus della nostra azione di europei. Come è stato messo in evidenza(2) nei sette anni di crisi finanziaria gli investimenti fra pubblici e privati sono scesi del 20% in Italia, del 45% in Spagna, del 18% in Olanda e del 17% nella media europea mentre non sono aumentati più del 4% e del 2% nella stessa Germania, malgrado il vistoso surplus, e in Francia.
La Commissione UE ha calcolato che la perdita di investimenti è stata pari a 550 miliardi fra il 2007 e il 2014.
La cifra di 315 miliardi in tre anni prevista dal Piano Juncker3 (si veda il grafico) è il risultato finale mentre punto di partenza è il “fondo di dotazione” composto da non più di 21 miliardi, 16 dal bilancio UE e 5 da quello della BEI.
Il Piano Juncker avrà, quindi, un quarto delle attività della BEI (80 miliardi di finanziamenti nel 2014), presso la quale il fondo ESFI è parte.
Chiave di volta è l'effetto-leva (moltiplicatore di 15) su cui punta Juncker. Il co-finanziamento pubblico dovrebbe quindi stimolare gli imprenditori: la quota “europea” sarà del 15-20% ma si potrà arrivare in qualche caso fino al 50%. La BEI garantisce la “prima perdita”: “se il progetto va male la Bei coprirà le perdite fino all'ammontare del suo intervento”. Va aggiunto che i 21 miliardi sono una posta di bilancio della BEI cosiddetta “sotto la linea”: “non incidono cioè, se ci dovessero essere perdite considerevoli, sullo stato patrimoniale della banca, che così non rischia di perdere la sua tripla A di rating e quindi potrà entrare in operazioni ragionevolmente più rischiose senza pericoli”.
Le “accuse” mosse al Piano sottolineano la pochezza dei 21 miliardi del fondo di dotazione. Secondo Scannapieco «si devono considerare in aggiunta a quella somma gli importi messi a disposizione da otto banche di sviluppo nazionali, per l'Italia la Cdp (Cassa depositi e prestiti, ndr) - con la quale peraltro collaboriamo fin dal 2009 - che ha deciso di collaborare con 8 miliardi. Aggiungendo i contributi della Caisse des Depots francese, della tedesca KM e di una mezza dozzina di altri Paesi arriviamo ad altri 43 miliardi. Ma in generale è il meccanismo delle garanzie che permette l'effetto moltiplicatore. L'abbiamo sperimentato di recente qui alla BEI: un aumento di capitale da 10 miliardi del 2012 ci ha permesso di attivare investimenti per 180 miliardi nel triennio successivo, anzi abbiamo raggiunto i risultati prefissi con un semestre di anticipo, a metà di quest'anno».
Umberto Marengo (4) ha correttamente notato come «l’effettivo successo del Piano dipenderà tuttavia dalla sua implementazione. In primo luogo deve essere considerato che le risorse prese dal bilancio dell’Unione europea non sono “fresche” (non avendo l’UE, com’è noto, la possibilità di emettere debito proprio o tassare). Si tratta di risorse riorientate da altri capitoli di spesa, in particolare da programmi di R&S come Horizon 2020 che hanno un alto ritorno socioeconomico. Per garantire che, con questo nuovo meccanismo, non vengano “perse” risorse, il FEIS dovrà quindi selezionare progetti non solo ad alto ritorno (e quindi più rischiosi), ma con un ritorno superiore ai progetti di Horizon 2020. Il Piano Juncker per gli investimenti: potenzialità e problemi dell’implementazione».
Alla BEI arriveranno domande di co-finanziamento in diversi settori: infrastrutture (trasporti, energia, digitale), formazione, salute e ricerca e sviluppo, fino a iniziative ancora più innovative realizzate da piccole imprese. “I progetti verranno vagliati con un doppio livello di governance dallo steering board e dall'investiment committee della BEI, in ognuno dei quali ci sarà una solida rappresentanza della Commissione UE nonché degli Stati membri”(5). Alle piccole imprese saranno destinati 75 miliardi dei 315 complessivi e sarà un valido supporto.
Miglioramenti al Piano Juncker sono necessari, se vogliamo permettere il finanziamento di progetti creatori di nuova occupazione, ed è per questo che – come federalisti europei – riteniamo opportuno insistere con il Parlamento europeo ( vedi la petizione su http://www.europainmovimento.eu/mobilitazioni/petizione-al-parlamento-europeo-un-new-deal-per-l-europa.html) affinché il bilancio europeo e il FEIS siano dotati di risorse addizionali provenienti da una parte dei proventi della tassa sulle transazioni finanziarie, da una futura carbon tax oppure da strumenti finanziari autonomi per la zona Euro.
Occorrerà dunque creare consenso popolare intorno alle proposte che mirino a migliorare il contenuto
del piano Juncker affinché il Fondo europeo per gli investimenti sia in grado di finanziare progetti europei creatori di buona occupazione, disponga progressivamente di nuove risorse proprie e prefiguri il futuro bilancio federale a partire da paesi della zona Euro.
Il Movimento Federalista Europeo deve fare tesoro della campagna New Deal 4 Europe(6) e dovrà agire congiuntamente con tutti i soggetti disponibili. Solo con la realizzazione progressiva delle unioni politica, economica e finanziaria dell’UE lo sviluppo in Europa diventerà una realtà.
Approfondimenti:
1. Intervista a Dario Scannapieco - Bei: "I tre pilastri che porteranno alla ripresa europea" di Eugenio Occorsio, ne la Repubblica - Affari&Finanza, lunedì 7 settembre 2015, pagina 4.
2. Al via il Piano Juncker opere per 315 miliardi di Eugenio Occorsio ne la Repubblica - Affari&Finanza, lunedì 7 settembre 2015, pagina 4.
3. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-2128_it.htm
4. Il Piano Juncker per gli investimenti: potenzialità e problemi dell’implementazione in Documenti IAI, luglio 2015.
5. Steering Board composto da quattro membri, di cui tre nominati dalla Commissione europea e uno dalla Bei. Il Board opera per consenso ed è responsabile della politica di investimenti e della nomina del Managing Director del Feis. “L’assenza di rappresentanti degli Stati Membri (come invece è nel caso del fondo “salva stati”, il Meccanismo europeo di stabilità o Mes) – afferma Marengo, cit. - è positiva perché evita che logiche intergovernative blocchino le operazioni del Feis. Per garantire l’accountabiliy democratica del Fondo il Parlamento europeo dovrà sentire e approvare la nomina del Managing Director e del suo vice. La valutazione dei singoli progetti sarà invece svolta da un Investment Committee di esperti indipendenti nominati dal Board”. Investment Committee composto da otto membri, decisioni a maggioranza semplice, sotto la direzione del Managing Director.