Gli storici hanno convenzionalmente indicato il settembre dell’anno 476, data della “abdicazione” di Romolo Augusto, come la fine dell’impero romano d’occidente. Gli stessi storici ci ricordano però che i contemporanei considerarono quell’episodio insignificante e nessuno allora pensava di assistere ad una svolta nella storia.
Il 5 luglio 2016 la Commissione Europea ha accettato di sottoporre alla ratifica dei 28 parlamenti della UE l’accordo commerciale tra UE e Canada, e la notizia è passata quasi inosservata rispetto alla Brexit, ma temo che se l’Unione Europea un giorno si dovesse disgregare gli storici dovrebbero indicare il 5 luglio 2016 come la “abdicazione” della UE.
CETA è l’ acronimo di Comprehensive economic and trade agreement, ed è il nome dato al negoziato tra l’Unione Europea e il governo Canadese. Tale accordo, concluso a settembre 2014, prevede una abolizione delle tariffe doganali per il 98 % dei prodotti e la liberalizzazione dei servizi. L’accordo, che dovrebbe entrare in vigore dal 2017, è puramente commerciale perché non prevede accordi sui movimenti di capitali, sui movimenti delle persone o sulla tutela ambientale e sanitaria.
In base al TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) gli accordi commerciali tra UE e paesi terzi sono “competenza esclusiva” della Unione europea, mentre i temi della libertà di circolazione delle persone e dei capitali sono temi di competenza “concorrente” tra UE e Stati membri o addirittura, come nel caso della cittadinanza, temi “esclusivi” degli Stati.
Dire che gli accordi commerciali con paesi terzi sono “competenza esclusiva” della UE significa che gli stati non legiferano più sulla materia, ma che ogni provvedimento legislativo e accordo internazionale va preso e ratificato dalle sole istituzioni europee (Parlamento, Consiglio e Commissione).
I governi francese, tedesco e di altri 3 paesi (Austria, Romania e Bulgaria) si sono detti contrari alla approvazione del trattato da parte del solo parlamento europeo e hanno preteso che l’accordo sia ratificato da ogni parlamento nazionale.
Appare evidente che questa richiesta di “riappropriazione della sovranità nazionale” sia dettata da motivi di politica interna, tuttavia la richiesta pretende di avere una giustificazione giuridica. La natura dell’accordo non sarebbe solo commerciale, ma includerebbe anche campi di competenza “concorrente”, per cui non può essere il solo parlamento europeo a decidere.
Nelle 1598 pagine dell’accordo è facile trovare fra le righe clausole che riguardano la salute, gli investimenti, l’agricoltura, etc. Tuttavia l’argomento più sbandierato per dimostrare la natura mista dell’accordo è quello riguardante le clausole antidiscriminatorie relative agli investimenti UE in Canada e canadesi in UE, che prevedono una sorta di “tribunale” (Sistema di risoluzione delle controversie tra investitore e Stato, ISDS) cui gli investitori che si reputano discriminati possono ricorrere.
Le argomentazioni degli Stati secondo cui l’accordo è di tipo “misto” e non “commerciale” sono evidentemente risibili, ma vanno incontro ai sentimenti “sovranisti” di parte dell’opinione pubblica sia di destra che di sinistra.
Il 5 luglio scorso la Commissione Europea ha accettato di considerare l’accordo CETA un accordo “misto” e non semplicemente commerciale e quindi ha accettato che l’accordo sia sottoposto alla approvazione di tutti i 28 parlamenti (vale a dire, tra camere e senati, di 38 assemblee nazionali).
Come Romolo Augusto in mano ai guerrieri di Odoacre non aveva alternative alla abdicazione, forse neanche Jean Claude Juncker, presidente della Commissione, e Cecilia Malmstrom, commissaria al commercio estero, avevano alternative.
L’opposizione in Consiglio di 5 paesi, tra cui Francia e Germania, che rappresentano una “minoranza di blocco”, avrebbe bocciato l’accordo, e la Commissione ha preferito il risiko della ratifica di 38 assemblee parlamentari rispetto ad una sicura bocciatura in sede di Consiglio dell’accordo CETA.
Il 5 luglio 2016 potrebbe quindi rappresentare la abdicazione dell’Unione agli Stati in quanto per la prima volta si viola apertamente un articolo dei trattati, l’articolo 3 del TFUE, esautorando la competenza del Parlamento Europeo, cosa che non era avvenuta in maniera formale neppure nei precedenti casi di “scavalcamento” delle competenze dell’Unione quali il Fiscal Compact e il Trattato fra UE e Turchia sull’immigrazione.