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Europa in Movimento

| Verso un'Europa federale e solidale

Bruxelles, Dibattito State of the Union 2017. Foto con licenza creative commons © European Union 2017 - European Parliament (flickr))

Il discorso sullo Stato dell’Unione europea del Presidente della Commissione Juncker è stato interpretato in termini positivi e negativi, come è inevitabile quando ci si avvicina al momento delle decisioni e un leader politico fa proposte impegnative sul futuro istituzionale dell’Unione europea. Jean-Claude Juncker è un leader politico pragmatico e a volte cinico. Si è pronunciato contro la prospettiva di un’unione federale, ma poi è costretto, se le circostanze sono favorevoli, a cambiare opinione. Noi non siamo interessati a questi retroscena psicologici, ma a esplorare la possibilità di sfruttare le sue proposte di riforma per far uscire l’Unione dalla crisi che rischia di travolgerla.

Pertanto ci limiteremo a discutere di tre sole questioni: lo squilibrio istituzionale dell’Unione, ovvero il deficit di democrazia europea; il suo squilibrio fiscale, ovvero il deficit di risorse fiscali proprie dell’UE; e infine il suo squilibrio di sicurezza, ovvero il deficit di politica estera e di difesa comune.

Il punto di vista che ci consente di discutere in modo coerente di questi problemi si basa sulla percezione che si stia aprendo un nuovo processo costituente europeo, che sarà molto complesso e tormentato. E’ bene pertanto mettere a fuoco le leve di potere che i federalisti devono attivare se vogliono raggiungere l’obiettivo di una unione federale. Un processo costituente è per definizione una situazione evolutiva aperta a diversi esiti: potrebbe concludersi anche con un insuccesso o non concludersi affatto. Che un processo costituente si stia aprendo è implicito nel fatto che Junker sostiene la proposta del Presidente francese Macron di organizzare nel 2018 delle Convenzioni nei vari paesi europei per discutere del futuro dell’Unione. Se queste Convenzioni si faranno e avranno successo, sembra lecito immaginare che vi sarà alla fine una Convenzione europea, come è previsto dai Trattati di Lisbona, che affronterà finalmente le riforme decisive e, si spera, anche l’adozione di una Costituzione europea, perché una federazione può funzionare solo su basi costituzionali precise.

E’ nella prospettiva di una riforma costituzionale che si comprende la proposta di riequilibrio proposta di Juncker. Oggi, molti riconoscono che l’equilibrio istituzionale dell’Unione è gravemente compromesso dopo l’infelice gestione della crisi finanziaria che ha suscitato un’ondata di critiche e la formazione di partiti nazional-populisti. L’Unione attuale è fondata su due pilastri. Possiamo definire il primo pilastro come federale, grazie alla Commissione sovranazionale, al Parlamento europeo eletto dai cittadini e organi sovranazionali come la Corte di giustizia e la Banca centrale europea. Il secondo pilastro è quello intergovernativo, vale a dire il Consiglio dei ministri e il Consiglio europeo, che conservano molti dei poteri nazionali che dovrebbero essere invece essere affidati, almeno parzialmente, all’Unione, come la fiscalità e la difesa. La crisi finanziaria ha mostrato una chiara prevaricazione del pilastro intergovernativo su quello federale, a causa della potenza economico-finanziaria della Germania che ha imposto agli altri paesi la dottrina ordo-liberale tedesca dell’austerità. La Commissione, a partire dalla Presidenza Barroso, ha dovuto accettare di fungere da braccio esecutivo del Consiglio e il Parlamento europeo è stato quasi interamente estromesso dalla governance europea. La proposta di Juncker di rilanciare la proposta degli Spitzenkandidaten in vista delle prossima elezione europea del 2019 e di far coincidere la Presidenza della Commissione con quella del Consiglio europeo va nella direzione di un riequilibrio tra i due pilastri. Finalmente i cittadini europei parteciperanno alle elezioni europee sapendo che potranno dare il loro voto a un partito e un candidato che avrà la responsabilità e il potere legittimo di governare l’Unione. Il governo dell’Unione, guidato dalla Germania mediante un Consiglio imbrigliato dalle decisioni finanziarie incombenti, non poteva fondarsi su alcuna legittimità europea. I leaders nazionali sono legittimati solo dai loro cittadini, non da 450 milioni di cittadini europei. La procedura proposta da Juncker fonda i poteri della Commissione sulla legittimità derivante dalla volontà popolare: la maggioranza dei cittadini europei. Inoltre, proponendo l’unificazione delle due presidenze, della Commissione e del Consiglio, svela la natura antidemocratica del governo intergovernativo dell’Unione. Chi vuole difendere il primato intergovernativo ha ora il dovere di affrontare la questione della legittimità democratica del governo dell’Unione. E’ il governo democratico dell’Unione il centro istituzionale dell’Europa a cerchi concentrici.

Ovviamente un governo europeo deve avere i poteri per governare. Su questi poteri si discuterà accanitamente nella futura Convenzione europea. Sin da ora, tuttavia, possiamo dire che la Commissione europea dovrebbe essere responsabile politicamente (accountable) sia verso il Parlamento europeo sia verso il Consiglio dei ministri, la seconda camera dell’Unione. Il Consiglio europeo dovrebbe diventare la Presidenza collegiale dell’Unione. Sarà pertanto necessario formulare con attenzione le norme che regoleranno i rapporti tra le istituzioni della democrazia europea, con eventuali procedure di conciliazione tra Parlamento e Consiglio quando i pareri non coincidono, procedure che già esistono per il bilancio europeo. Il riequilibrio istituzionale comporta, pertanto, un trasferimento dei poteri dal pilastro intergovernativo a quello federale. Per questo la proposta di Juncker sull’unificazione dei due presidenti è importante: il riferimento alla sovranità popolare è il potere di avere poteri, sino a che un giusto equilibrio tra sistema intergovernativo e sistema federale sarà trovato (si pensi, come esempio della difficoltà di queste trattative, il ruolo del EMS, ovvero del futuro Fondo monetario europeo, che potrebbe diventare un fondo di riserva per emergenze nel bilancio europeo oppure restare un fondo intergovernativo). Se è vero, come è scritto nei Trattati, che l’UE è una unione di stati e di cittadini, occorre attribuire agli organi rappresentativi della volontà dei cittadini europei quei poteri fiscali e di sicurezza, interna e internazionale, necessari per rispondere alle loro domande e aspetttive. Nei regimi democratici non vi è un potere superiore alla volontà popolare.

Consideriamo ora la questione della fiscalità. In tutte le federazioni si possono manifestare due fondamentali squilibri. Il primo è uno squilibrio fiscale orizzontale (horizontal fiscal imbalance) tra i poteri fiscali e di spesa delle varie unità di governo sub-federali, vi sono cioè regioni o stati membri ricchi e poveri; il secondo squilibrio riguarda le risorse che confluiscono dal centro ai governi sub-federali, è uno squilibrio verticale (vertical fiscal imbalance). In tutte le federazioni esiste uno squilibrio verticale a favore del governo federale che può raccogliere maggiore risorse (si pensi alla tasse sulle persone, le imprese e i capitali) rispetto ai governi locali, che ricevono aiuti più o meno generosi dal governo federale. L’Unione europea è l’unico esempio di reverse vertical fiscal imbalance, vale a dire un sistema di governo multilivello in cui il centro federale (il bilancio europeo) dipende quasi interamente dai finanziamenti degli organi inferiori (nazionali) di governo. E’ una chiara situazione di deficit democratico, perché, se il Parlamento europeo e la Commissione non possono affrontare i problemi europei con risorse finanziarie adeguate, i problemi restano irrisolti, generano critiche e il rifiuto dell’UE da parte dei cittadini. Così è avvenuto durante la crisi finanziaria. Va tuttavia segnalato che il processo costituzionale di riequilibrio non sarà facile perché si dovrà trovare un punto di intesa tra pratiche politiche consolidate e incompatibili. Il caso più grave è il contrasto tra Germania e Italia (e paesi del Sud) sul modello di sviluppo. La Germania dovrà riformare il suo modello di crescita export-led, che ha causato una caduta della domanda aggregata europea, con ricadute negative sull’economia e sull’occupazione. L’Italia dovrà abbandonare il suo modello di crescita fondato sul debito (debt-led growth), perché non potrà più continuare a finanziare le spese crescenti di bilancio con un ulteriore indebitamento, sino alla sua insostenibilità. Una politica macroeconomica europea è necessaria. Alcune riforme sono in corso, ma molto deve ancora essere fatto.

Per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini e la politica estera, il cantiere è apertissimo e non è detto che si trovi una sistemazione soddisfacente in questa fase costituente. L’Unione europea ha mostrato di non avere una politica per l’immigrazione e per il controllo delle sue frontiere. Non è stata in grado di assicurare la sicurezza dei paesi ex-Comecon, favorendo l’espansione della NATO a est, irritando la Russia e provocando la scissione dell’Ucraina. Nel Medio Oriente ha lasciato che fossero gli Stati Uniti a tentare di risolvere il conflitto Israelo-Palestinese ed ‘esportare la democrazia’ nei paesi arabi, con popolazioni divise al loro interno da rivalità religiose, etniche e tribali, incontenibili da parte di forze militari di invasione e incapaci di comprendere la cultura locale. Una politica estera europea sta, tuttavia, prendendo forma. Si parla di un Piano europeo per lo sviluppo dell’Africa e anche nei rapporti con la Russia si comincia a prendere in considerazione il fatto che gli Stati Uniti non sono più disposti a spendere come nel passato per sostenere l’indipendenza di una regione del mondo altrettanto ricca degli USA. Nella Convenzione europea non sarà tuttavia facile superare le arcaiche passioni sovraniste dei paesi europei, specialmente di Francia e Germania che si considerano potenze mondiali. Eppure dovrebbe essere evidente, a chi non è accecato dall’ideologia del nazionalismo, che non vi è un futuro nel mondo contemporaneo per le nazioni europee se non unite in una federazione. L’Unione europea è un’unione di popoli nazionali. Non diventerà una nazione chiusa nelle sue frontiere, perché non ne avrà mai la forza. E’ un bene che sia così. Nel darsi gli strumenti istituzionali per garantire la propria sicurezza interna ed esterna, l’Unione può trasformare la sua debolezza attuale in una politica creativa e rivoluzionaria delle relazioni internazionali. Oggi le minacce provengono da governi che si contrastano con armi nucleari micidiali, mostrando i loro muscoli per intimorire gli avversari e facendo correre agli abitanti del Pianeta rischi enormi. Vi sono poi i rischi della crisi ambientale che diventano più gravi di anno in anno, e che avranno conseguenze catastrofiche sulle future generazioni se non saranno affrontati con risolutezza. Non si troveranno soluzioni a questi problemi continuando a fondare le relazioni internazionali sui principi di Vestfalia. Gli stati nazionali, che sono stati creati per difendere la vita dei propri cittadini sono ora diventati strumenti di divisione, di impotenza e di morte. La federazione europea, se si farà, sarà necessariamente una federazione sovranazionale aperta, non solo in senso geografico, ma anche nel senso delle politiche. Perché la vita e il futuro dei cittadini europei non saranno garantiti sino a che non lo saranno anche quelli dei cittadini del mondo; con loro occorre cooperare; non sono nemici da sterminare. La sola comunità di destino a cui abbia senso appartenere oggi è l’umanità, una specie di abitanti del Pianeta che ha sviluppato poteri sufficienti per distruggerlo. Ma quale sarà il futuro dell’umanità? La politica estera della federazione europea non potrà fondarsi su nessun modello politico del passato. L’UE è una navicella che sarà costretta a salpare verso un oceano sconosciuto e burrascoso.

Autore
Guido Montani
Author: Guido MontaniWebsite: https://sites.google.com/site/guidomontani23/
Bio
Guido Montani insegna International Political Economy nell’Università di Pavia. E’ stato Segretario Generale e Presidente del Movimento Federalista Europeo. E’ Membro Onorario della Unione Europea dei Federalisti (UEF). Ha fondato nel 1987, con un gruppo di amici, l’Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli, di cui è stato Direttore. Tra le sue pubblicazioni: L’economia politica e il mercato mondiale, Laterza, 1996; Ecologia e Federalismo, Istituto Spinelli, Ventotene, 2004; L’economia politica dell’integrazione europea, UTET, 2008; con R. Fiorentini, The New Global Political Economy. From Crisis to Supranational Integration, Edward Elgar, 2012; con R. Fiorentini, The European Union and Supranational Political Economy, Routledge, 2015; From National to Supranational: A Paradigm Shift in Political Economy" in Iglesias-Rodrieguez P, Triandafyllidou A. and Gropas R. (eds), After the Financial Crisis. Shifting Legal, Economic and Political Paradigms, London, Palgrave, 2016.
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