di Salvatore Sinagra
In questi giorni, dopo una vita lunga ed intensa se n’è andato Helmut Schmidt, quinto cancelliere della repubblica federale tedesca, uno degli ultimi superstiti della stagione della Ost Politik.
Quando non avevo ancora cinque anni mi hanno regalato un mappamondo; chiedevo a mia madre di dirmi le capitali dei paesi e non riuscivo a capire perché la Germania ne avesse due. Quando dieci anni fa ho iniziato a interessarmi della storia tedesca del secondo dopoguerra molti protagonisti della stagione dell’Ost Politik erano ancora vivi, da aprile scorso sono scomparsi Gunter Grass, Egon Bahr e Helmut Schmidt. Con loro se ne va un pezzo del secolo breve.
Nella seconda metà degli anni sessanta, dopo vent’anni di dominio incontrastato dei cristiano democratici arrivò nei palazzi di Bonn, capitale della Germania occidentale, al seguito di Willy Brandt un gruppetto di politici visionari. Erano gli anni della Germania spaccata a metà: i tedeschi occidentali temevano ancora un’invasione da oriente.
I democristiani di Konrad Adenauer erano riusciti a riconquistare la sovranità del paese seppure in confini molto angusti e ad inserire nuovamente la Germania in una rete di relazioni con i paesi occidentali; poi avevano perso la spinta degli anni della ricostruzione, forse troppo schiacciati nei problemi quotidiani di un paese lacerato dal muro e gravato dai fardelli del passato per avere una visione che potesse cambiare ancora una volta il corso della storia del paese.
I socialdemocratici tedeschi che governarono il paese per sedici anni, prima con i cristiano democratici e poi con i liberali, intuirono che la Germania sarebbe potuta diventare un paese normale solo nel contesto di un allentamento delle tensioni con l’oriente comunista e nel processo di integrazione europea.
Il percorso di questa indimenticabile leadership tedesca fu spesso accidentato, questi uomini erano troppo moderni per la loro epoca e forse anche per la nostra. Memorie di Willy Brandt non è solo la storia della Germania dagli anni venti agli anni ottanta vista con gli occhi di un suo grande protagonista, ma anche una narrazione degli squilibri economici e demografici che avrebbero caratterizzato il nuovo disordine globale dopo la fine della guerra fredda.
Con gli anni novanta il mondo è entrato in una nuova era: ben presto i facili entusiasmi di chi aveva sognato la fine della storia si sono rivelati insostenibili. Brandt nei suoi ultimi scritti e come presidente della commissione nord sud(1) ci ha regalato qualche geniale intuizione sulle contraddizioni di questo nuovo mondo che non ha vissuto mentre Schmidt è stato un grande narratore di tali contraddizioni.
Le grandi sfide della contemporaneità, spesso non colte da politici nati negli anni sessanta e settanta ci sono state raccontate da un signore che quando crollò il muto di Berlino aveva settant’anni e l’undici settembre più di ottanta.
Schmidt aveva abbandonato tutti gli incarichi politici nel 1986, ma nel trentennio successivo non ha mai esitato a fare sentire la sua voce ed a palesare i suoi dissensi nei confronti dei democristiani, ma anche dei suoi eredi socialdemocratici, nei confronti della Russia di Putin e di altre potenze emergenti con governi poco democratici, ma anche degli americani. Suscitò notevole scalpore quando Bush figlio voleva riempire di missili americani l’Europa dell’est e dichiarò che ormai gli Stati Uniti erano più pericolosi della Russia per l’ordine mondiale.
Spesso fu accusato di essere ambiguo nei rapporti con i partner occidentali, in realtà è stato un uomo di sinistra che non ha mai avuto dubbi sulla scelta atlantista e sulla casa comune europea, ma non ha mai avuto paura di esprimere i suoi giudizi in indipendenza da Washington e dagli altri leader occidentali.
E’ stato un grande federalista, almeno fin dal 1955 quando ha preso parte al comitato “pour le États Unis d’Europe” di Jean Monnet(2). In questa lunga crisi non ha mai cessato di criticare Angela Merkel, mentre l’unico socialdemocratico ad esser diventato cancellier dopo di lui, Gerhard Schröder, era più generoso del cristianodemocratico Kohl nei confronti della “cancelliera”. In quello che potremmo definire il suo testamento politico, un lungo articolo del giugno 2012 tradotto in Italiano dal sole24ore (3) Schmidt afferma che l’attuale capo di governo tedesco ha rinnegato la linea pro-integrazione europea di Konrad Adenauer e di tutti i suoi successori. A suo parere la “casa comune europea” per la Germania, gravata dal suo pensante passato, è l’unica scelta per vivere da “paese normale”; Kohl ha accettato il baratto moneta unica per unificazione tedesca, pur sapendo che l’euro serviva per limitare l’ascesa della Germania; decenni dopo la Germania è chiamata ad un nuovo passo indietro ed a quella solidarietà, che pure Maastricht escludeva, per non compromettere sia i rapporti con i partner europei che le sue esportazioni.
Schmidt in questi anni ha continuato a spiegare ai suoi connazionali che fare una politica estera a colpi di esportazioni e accordi commerciali con l’esclusione di qualsiasi impiego delle armi non basta in tempi di crisi ad arginare la germanofobia. Ha invocato una democratizzazione dell’Unione Europea e la ripresa del viaggio verso in un’Europa più solidale, a partire dagli Eurobond.
Ha sottolineato che molti Stati europei devono fare “i compiti a casa“ ma ha sostenuto che la madre di tutte le riforme è una drastica regolamentazione della finanza internazionale, impossibile da realizzare con interventi dei singoli paesi europei; ha detto che se gli europei devono rimanere uniti serve qualche forma di redistribuzione, piaccia o no ai tedeschi.
Nel già citato articolo, a novantatre anni e con grandissima lucidità, afferma che il salvataggio delle banche con i soldi dei contribuenti era necessario (per non far pagare il prezzo della crisi ad ignari correntisti), ma sottolinea la necessità di disciplinare senza indugio la separazione della banca di deposito da quella di investimento, la finanza ombra, i derivati e i tanti agenti capaci di speculare sui titoli di Stato e nei mercati di borsa.
Schmidt ha creduto fino al suo ultimo giorno di vita che servissero nuove regole in un mondo dominato da giganteschi attori non statali come le multinazionali, le agenzie di rating, le organizzazioni terroristiche e criminali. Sostenitore della prima ora della moneta unica, pur non condividendo gli eccessi di una moneta europea a suo avviso troppo tedesca, ha continuato ad affermare che solo i governi dell’area euro potessero, federandosi, farsi portatori di un nuovo ordine mondiale su cui Cina e Stati Uniti non sembrano desiderosi di convergere velocemente.
Disse Helmut Kohl, forse l’ultimo grande statista europeo, che se la sua generazione avesse fallito l’impresa di unificare l’Europa, il nostro continente sarebbe rimasto diviso, perché un grande sogno di pace europeo poteva essere realizzato solo da chi aveva vissuto la guerra.
Oggi ci ha lasciato un altro dei grandi statisti europei maturato durante la guerra; in questi anni bui in cui è forte il rischio di tornare indietro, l’insegnamento di quei grandi europei che ci hanno traghettato dal dopoguerra al superamento dei muri deve essere fatto proprio dalla mia generazione, che ha conosciuto la guerra solo nei racconti dei nonni.
Approfondimenti:
(1) Willy Brandt nel 1977 fu nominato presidente della Indipendent Commission for International Development Iussues, nota anche come Commissione Nord-Sud. Nel 1980 la Commissione presentò all’ONU un documento conclusivo noto come rapporto Brandt
(2) Gruppo a cui prendevano parte forze politiche e sindacali dei sei paesi che fondarono la Ceca e la Cee
(3) H. SCHMIDT, basta tatticismi di partito, Berlino sia solidale. Ilsole24ore, 5 giugno 2012 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-06-04/basta-tatticismi-partito-berlino-224534.shtml?uuid=Ab9GoRnF