*testo vincitore del premio "Antonio Saggio" 2016
L’Europa non vive un periodo felice della sua storia. A dire il vero, non è la prima volta che questo accade. La conflittualità, che ha caratterizzato la vita di questo continente, ci induce a pensare che, probabilmente,non possa esistere Europa al di fuori di questo perpetuo stato di incertezza. Ed, effettivamente, gli eventi di oggi sembrano confermare proprio questo, quasi senza lasciare diritto di replica: l’Europa è condannata alla decadenza.
Molti argomentano che i popoli europei sono troppo diversi per stare insiemee che gli Stati nazionali non possono essere forzati a stare insieme dopo aver attraversato secoli di guerre reciproche. L’acutizzarsi della crisi economica e sociale, l’aggravarsi della crisi migratoria, l’aumento di insicurezza nel contesto internazionale e l’immobilismo politico con cui la classe politica europea affronta questi problemi, inducono a interrogarsi se la nascita dell’Unione europea sia stata, veramente, la premessa di un cambiamento o solo un’illusione. Eppure, non tutto può considerarsi deprecabile, a cominciare dai traguardi tangibili raggiunti negli ultimi 70 anni, da quando è iniziato il processo di unificazione europea.Infatti, l’Ue, dalla sua fondazione ad oggi, ha consegnato all’Europa il periodo di pace più duraturo della sua esistenza e ha garantito ai suoi cittadini un continuo sviluppo e benessere, creando l’area di libero scambio più ricca del globo e dando vita al più grande spazio di libero movimento delle persone che il mondo abbia mai conosciuto. L’interrogativo, dunque, è lecito ma, forse, non adatto al contesto in cui esso è inserito.
Per comprendere il malessere di cui vive oggi l’Europa, bisogna evitare di confonderei sintomi con la patologia.Detto in altre parole,per comprendere le dinamiche presenti, dobbiamo capire da dove veniamo e dove siamo diretti. Attraverso questa sovrapposizione tra passato e futuro, la diagnosi del presente può divenire più chiara e, di conseguenza, anche la cura da intraprendere. La scintilla che ha innescato il più affascinante esperimento politico della storia - che noi oggi chiamiamo, appunto, Unione Europea - è stata la ricerca delle ragioni per cui l’Europa aveva affrontato, in successione, due guerre mondiali. I Padri fondatori arrivarono alla conclusione che la causa originaria delle due guerre non era tanto riconducibile a fattori politici ed economici contingenti,quanto alla divisione secolare dell’Europa, determinata dal frutto avvelenato del nazionalismo. Questa analisi condusse i Padri fondatori alla sorprendente intuizione che, per conciliar definitivamente gli Stati europei, divisi da governi nemici, era necessario dare vita ad una Unione, la quale,attraverso Istituzioni comuni e sovranazionali, avrebbe salvaguardato la pace e promosso la prosperità dei suoi popoli. In quel contesto,i sintomi del malessere europeo (le guerre) conducevano ad una patologia interna (il nazionalismo), e l’Unione europea fu creata come suo antidoto (cura).
Il mondo in cui viviamo oggi, invece, è diverso, così come diversa è l’Europa. Dopo la caduta del Muro di Berlino, lo scenario internazionale è passato da un sistema regionale e bipolare ad un sistema globale e multipolare. Il mercato, la tecnologia e le relazioni sono diventati globali,cosi come le opportunità e le minacce.La dimensione dei problemi ha travalicato i confini nazionali ed anch’essa è diventata globale. In questo passaggio tra passato e futuro,gli Stati europei si trovano in una condizione di paralisi.
L’Unione europea, capace di offrire un riparo nel passato,è diventata una struttura obsoleta nel presente. In questo contesto, i sintomi del malessere europeo conducono ad una nuova patologia dell’Europa, questa volta esterna agli Stati: la globalizzazione.Le cure adottate dell’Unione non sono più efficaci. L’assetto istituzionale dell’Ue non funziona più perché gli strumenti a sua disposizione non sono più adeguati per affrontare le esigenze attuali. L’immobilismo degli Stati aggrava ancora di più le condizioni dell’Europa e, soprattutto, di coloro che stanno perdendo la sfida della globalizzazione (pensionati, giovani disoccupati, lavoratori sotto-specializzati). Ciò induce i governi nazionali a ripiegare su soluzioni anacronistiche, a danno delle conquiste di libertà garantite dal processo di unificazione europea. All’interno di questo quadro, lo Stato nazionale è diventato troppo piccolo per sostenere l’impatto della globalizzazione, ma continua ad essere ancora troppo grande per permettere all’Unione europea di agire. È possibile notare questa dinamica, ad esempio,nel modo in cui l’Europa affronta la crisi dell’immigrazione. Anche in questo caso, gli Stati europei sono troppo piccoli (risorse limitate) per fronteggiare un fenomeno globale e l’Unione Europea non ha gli strumenti idonei (competenze) per imprimere una azione risolutiva.Anche in questo caso, gli effetti sociali e di sicurezza dell’immigrazione sono ricaduti sui cittadini e sulle zone più disagiate delle città europee. La cura somministrata dei governi nazionali (rialzare le frontiere interne) si è dimostrata altrettanto inefficace, a danno dello spazio europeo di libera circolazione delle persone.Il sistema di Schengen è diventato, cosi, obsoleto.
Di fronte a questa situazione, la classe politica europea si è arenata nell’immobilismo e i popoli europei sono caduti in uno stato angosciante di incertezza.La cura è sbagliata perché la diagnosi è sbagliata. È necessaria una reazione ed essa deve essere coerente alla natura e alle caratteristiche di questo problema. Il flusso migratorio è un fenomeno che si manifesta su una dimensione esterna (dove ha origine il problema) e una dimensione interna (dove ricadono i suoi effetti). Le crisi di sicurezza e instabilità nello scenario internazionale coinvolgono attori e aree di dimensione continentale, per cui diventa difficile per il piccolo Stato europeo sostenere il peso del confronto e la pressione del problema.
Di fronte ad un problema di natura globale, è necessaria una soluzione di carattere globale e le azioni di intervento devono muoversi in modo congruente.Deve muoversi l’Europa. Ma l’Unione europea non è dotata di un assetto istituzionale e di strumenti adeguati per farlo. Come si può uscire da questa aporia? C’è bisogno di un cambiamento. Lo stesso di cui abbiamo parlato all’inizio di questo percorso.
L’Ue è stata la premessa di un cambiamento reale, ma esso fu definito in un’epoca passata e si è concluso in un tempo, ormai, finito.
Il cambiamento di cui abbiamo bisogno oggi deve essere inserito nelle sfide che viviamo nel presente e deve poter essere valido per quelle di domani.Ciò che rimane immutata, invece,è l’intuizione dei Padri fondatori.Da quella ricetta, possiamo riscoprire l’antidoto per curare il nostro malessere contemporaneo. Da quello spirito,deve risorgere un nuovo progetto europeo. Le Istituzioni comuni sono ancora importanti, ma sono limitate nelle loro funzioni. L’Unione ha bisogno di nuovi poteri e strumenti. L’ Unione ha bisogno di un vero governo, responsabile di fronte ad un vero Parlamento e dotato di strumenti giuridici, finanziari, diplomatici e di difesa per eseguire le decisioni approvate e governare i fenomeni globali. Con una riforma istituzionale di questo tipo, l’Unione europea potrebbe svolgere un’azione risolutiva della crisi migratoria, concentrando i suoi sforzi sia alla sorgente sia alla foce del problema.
Il governo europeo avrebbe, cosi, l’autorità di: 1)controllare i confini esterni dell’Unione e proteggere lo spazio di libero movimento delle persone attraverso un’unica frontiera europea; 2)definire un sistema di regole comuni per l’accoglienza degli aventi diritto all’asilo politico,nel pieno rispetto della legge internazionale; 3) promuovere una azione diplomatica per il ristabilimento della pace e il lancio di un piano di sviluppo per l’Africa e il Medio Oriente in modo tale da favorire il diritto delle popolazioni locali a vivere nella propria terra.
L’Europa affronta una crisi esistenziale. L’incapacità di azione degli Stati è il modo in cui essa si manifesta. Come nel passato, gli europei sono chiamati a prendere in mano il loro destino. Come nel passato, il popolo europeo deve riscoprire il coraggio di poterlo fare.