di Guido Montani
L’Unione europea è sempre più vicina al collasso. Alcuni commentatori la considerano ormai spacciata. Tuttavia un barlume si scorge nel buio. Tentiamo di seguirlo e cerchiamo di impedire che si spenga.
Le notizie sul dibattito costituzionale in corso nel Gruppo Spinelli, filtrate attraverso l’UEF, lasciano sperare in un rilancio su buone basi del processo costituente. Guy Verhofstadt è un politico abile e determinato a condurre in porto la battaglia federalista, ma sappiamo per esperienza che questo non basta.
Anche Spinelli era altrettanto abile e determinato, ma conosceva i pericoli che lo avrebbero atteso dopo il successo nel Parlamento europeo, come testimonia l’apologo del vecchio pescatore che riesce a portare in porto solo la lisca del suo pesce, perché la polpa è stata divorata dai pescicani. Come possono i federalisti aiutare, prima, i parlamentari europei di buona volontà a catturare il pesce e, poi, a difenderlo dall’assalto dei pescicani? Quali sono le potenzialità e i limiti dell’azione federalista?
In questo intervento si sosterrà la tesi che il federalismo organizzato è una forza morale e progettuale, ma non ha il potere, senza il sostegno attivo del Parlamento europeo, di convocare una convenzione costituente.
Il Congresso del Popolo europeo e la strategia costituente
Per rispondere ai precedenti interrogativi è utile ricordare com’è stata concepita la battaglia costituente dopo la sconfitta della Comunità Europea di Difesa (CED), quando divenne necessario ripensare da cima a fondo la strategia federalista. Vi sono elementi di continuità e discontinuità che emergono dal confronto di quegli anni lontani con l’attuale situazione europea. Il confronto può essere utile per una riflessione. Quegli avvenimenti sono stati narrati molte volte e non è necessario che mi dilunghi. Ricordo che, una volta preso atto che i governi e le forze politiche nazionali avevano affossato il progetto federalista e che stava ritornando a prevalere sullo slancio unitario l’antico regime delle sovranità nazionali, Spinelli impresse un ‘nuovo corso’ all’azione del MFE. Il nuovo corso si è fondato sul riconoscimento di un misconosciuto soggetto politico, il popolo europeo, del tutto ignorato dai governi e dai partiti nazionali. Era pertanto necessaria una mobilitazione che consentisse all’avanguardia federalista di organizzare le forze attive della società al fine di rivendicare un’assemblea costituente europea. Il veicolo della mobilitazione sarebbe stato il Congresso del Popolo Europeo (CPE), vale a dire una sorta di parlamento europeo, i cui rappresentanti – personalità di spicco della politica e della cultura – sarebbero stati eletti dai cittadini in numerose città d’Europa. Una volta raggiunta una massa critica sufficiente, né i mass media, né i governi avrebbero potuto ignorare la rivendicazione dei rappresentati dei cittadini europei.
Per riuscire in questa impresa, i federalisti europei dovevano prima di tutto organizzare dei quadri capaci di sviluppare nelle rispettive città un’abile azione di propaganda, sfruttando gli organi di stampa, e reperire le risorse finanziarie e le energie sufficienti per l’organizzazione pratica delle ‘elezioni europee’ per l’elezione di un CPE rappresentativo della volontà popolare europea. Albertini comprese che quest’azione sarebbe potuta riuscire solo con quadri federalisti determinati e coscienti del loro ruolo rivoluzionario. Nel 1957, riprendendo una nota pagina del Principe, poneva la questione in questi termini “Pregare o forzare?” (Tutti gli Scritti, TS, II, 751). Il Memorandum che Spinelli aveva inviato a De Gasperi nel luglio del 1952 aveva prodotto buoni frutti, grazie alla determinazione del governo italiano, ma il risultato finale aveva mostrato come le forze della conservazione nazionale avessero facilmente sconfitto il tiepido europeismo dei partiti francesi e degli altri governi. Ora bisognava forzare. Con coerenza Albertini definì l’identità politica del militante federalista nella nuova congiuntura europea. “Il federalismo europeo o è una opposizione di regime o un pio voto, inutile e ridicolo, scriveva nel 1961 (TS, III, 661). Per definizione il federalismo europeo vuole rovesciare gli stati nazionali europei – o almeno un numero sufficiente di tali stati – ed istituire un governo federale europeo …
Per questa ragione la rottura del lealismo nazionale è la prova del fuoco del militantismo federalista.” Per costruire la federazione europea, “dopo la restituzione della sovranità alla Germania occidentale,” è necessaria una nuova forza politica che si proponga di condurre: “a) la lotta politica per l’egemonia del federalismo organizzato; b) un approfondimento della lotta sul terreno culturale dove è possibile sin da oggi rifiutare formalmente il lealismo nazionale.” Questa battaglia può essere vinta. “Il potere dei federalisti è infinitesimo ma è sufficiente per impostare una linea politica rivolta all’egemonia dell’europeismo organizzato.”
Alcuni anni più tardi, nel 1964, dopo aver preso atto che anche la campagna per il CPE era fallita, la strategia per la conquista del potere europeo venne articolata in un esplicito disegno strategico: ”per la partecipazione diretta degli europei alla costruzione dell’Europa politica.” Il nuovo veicolo dell’azione federalista sarebbe stato il censimento del popolo federale europeo. “A cominciare dal 1968 – scriveva Albertini – noi avremo una forza sufficiente per far eleggere dalla popolazione, in almeno cento città d’Europa, lo stesso giorno, il Congresso del popolo federale europeo … Quel giorno noi chiederemo la convocazione immediata della Costituente europea. Se i governi non cederanno subito, … [proclameremo] la disobbedienza civile e [chiederemo] ai soldati di abbandonare le caserme e di tornare a casa.” (TS, IV, 603).
Il Parlamento europeo e la strategia costituente
In questa breve descrizione della strategia costituente degli anni Cinquanta ho tralasciato volutamente le sue conseguenze sull’UEF, che si è spaccata in due ali, così come ho ignorato il dibattito, sino alla rottura tra Spinelli ed Albertini, sulla strategia e sul ruolo del MFE sovranazionale nei primi anni di vita della Comunità europea. A mezzo secolo di distanza da quegli avvenimenti, concentreremo la nostra attenzione solo sulla strategia costituente per individuare, parafrasando Croce, “ciò che è vivo e ciò che è morto,” di quel pensiero e di quell’azione politica.
Cominciamo da ciò che è morto, vale a dire da ciò che non può più essere riproposto nell’Unione europea contemporanea, che bene o male ha raggiunto un grado di integrazione economica e di unione politica molto maggiore di quello degli anni Cinquanta. In primo luogo, non è più proponibile un’azione politica che si proponga di far eleggere dai cittadini un Congresso del Popolo europeo. Ciò è particolarmente evidente dopo l’elezione diretta del parlamento europeo: è chiaro che pochi prenderebbero in seria considerazione un’elezione “simulata” quando ormai esiste un’istituzione, legittimata dal consenso di tutti gli stati membri, che viene regolarmente eletta ogni cinque anni. Possiamo essere scontenti e critici verso il ruolo svolto dai rappresentanti dei cittadini europei nel Parlamento europeo, ma questo è un altro problema. Il fatto sostanziale è che l’elezione diretta del Parlamento europeo ha tolto ai federalisti la possibilità di lanciare “azioni quadro”, vale a dire campagne per fare emergere “un quadro europeo della lotta politica fondato sull’alternativa federazione-stati nazionali.” (TS, IV, 90). Questo “quadro” è oggi nelle mani dei governi nazionali e del Parlamento europeo. Ciò non significa che i federalisti non possano incidere sul dibattito europeo. Lo possono fare se riescono a svolgere con coerenza il loro ruolo di avanguardia politica, ma devono essere coscienti dei propri limiti.
In secondo luogo, occorre prendere atto che nell’attuale situazione politica, i federalisti hanno perso il potere di sollecitare ”la partecipazione diretta degli europei alla costruzione dell’Europa politica,” se per “partecipazione diretta” si intende anche la conquista del potere di far convocare la costituente europea. E’ inevitabile che i cittadini, che ormai considerano le istituzioni europee come un fatto ordinario della politica europea, prenderanno in considerazione come legittime solo le proposte di riforma che saranno proposte dai loro governi e dai loro rappresentanti nel Parlamento europeo e nei parlamenti nazionali. La lucidità con cui Albertini ha analizzato questo fatto ci aiuta a comprendere che non abbiamo mai raggiunto un livello organizzativo – in Italia e in Europa – sufficiente per lanciare un appello alla disobbedienza civile, come l’invito a non pagare le tasse, visto che la leva obbligatoria è stata abolita.
La strategia costituente degli anni cinquanta, a mio avviso, è stata fondata su una insufficiente comprensione della natura dell’integrazione europea. Nella storia alcuni affetti si manifestano lentamente e la loro comprensione è oscurata da un’infinità di fattori complessi. Le prime Comunità europee, la CECA e la CEE, si fondavano sul principio della sovranazionalità, espresso da istituzioni dotate di poteri limitati, ma reali. Questi limitati poteri sovranazionali hanno consentito alla Comunità di evolvere per gradi nella misura in cui è stato necessario e possibile conferire ulteriori poteri sovranazionali alle istituzioni europee. Non è solo il federalismo organizzato ad aver sottovalutato il potenziale evolutivo delle istituzioni europee.
Dopo la sconfitta della CED, Monnet ha fondato il Comitato per gli Stati Uniti d’Europa, nella convinzione che occorresse una forza esterna ai governi per rilanciare il progetto europeo. Ma una volta ricostruita la Comunità, nel 1957, il primo Presidente della Commissione europea, Hallstein, ha potuto ingaggiare una battaglia per una riforma “federale” della Comunità già nella metà degli anni Sessanta. E’ stato sconfitto da De Gaulle, è vero, ma ha comunque mostrato che aveva senso battersi per l’evoluzione federale della Comunità.
Nelle fila del MFE, Spinelli è stato il primo a comprendere e a sfruttare questa via, ma ben presto anche Autonomia Federalista ha riconosciuto che la mobilitazione dell’europeismo e dei cittadini sarebbe stata più efficace proponendo alcune riforme federali delle istituzioni europee esistenti. Le azioni per l’elezione diretta del Parlamento europeo e per la moneta europea sono il frutto di questo nuovo orientamento, il gradualismo costituzionale.
Tenendo conto di questi avvenimenti, una definizione realistica della forza dei federalisti europei potrebbe essere la seguente: il MF-UEF – considero insieme MFE e UEF perché non esiste una via nazionale alla federazione europea – è una forza morale e progettuale, non un potere di esecuzione. E’ una forze morale perché fonda la sua organizzazione sul volontariato e sull’autofinanziamento. E’ inoltre una forza morale perché non si propone di costruire la federazione europea per conquistare posizioni di potere per i suoi dirigenti e i suoi militanti, ma solo perché crede che la federazione europea sia un primo passo verso l’affermazione del federalismo come principio organizzativo dell’unione cosmopolitica del genere umano.
E’ una forza progettuale perché di fronte alle esitazioni e agli errori dei governi e delle forze politiche nazionali, non si stanca di rilanciare il progetto federale europeo, nei suoi molteplici aspetti: sociali, economici e politici. Non è tuttavia un potere di esecuzione perché non ha le risorse sufficienti per imporre la soluzione federale ai governi e ai partiti nazionali. Oggi, chi volesse perseguire quest’obiettivo dovrebbe cercare di fondare un partito federalista europeo e presentarsi alle elezioni europee, l’unica occasione in cui il popolo europeo può manifestare la propria volontà.
E’ una via che dividerebbe i federalisti del MFE-UEF e sarebbe probabilmente destinata al fallimento, perché i partiti tradizionali e quelli nazional-populisti hanno radici organizzative ben radicate nella politica nazionale, con risorse di potere rilevanti. Chi propone come prioritario l’obiettivo costituente europeo parte svantaggiato. Tuttavia, non si può escludere che di fronte a un collasso delle istituzioni europee e di crisi profonda della democrazia, i federalisti non possano lanciare azioni di disobbedienza civile, com’è avvenuto durante la Resistenza, contro il nazi-fascismo. Non siamo fortunatamente ancora (fino a quando?) di fronte a questa scelta drammatica: oggi è molto più semplice ed efficace un’azione tesa a rafforzare l’iniziativa costituente del Gruppo Spinelli.
Va ora ricordato ciò che è ancora vivo della strategia costituente degli anni Cinquanta. E’ senza dubbio attuale l’intuizione, comune a Monnet e Spinelli, che i governi nazionali, di fronte alla necessità di rinunciare ad alcuni poteri nazionali quando si impone una scelta europea, preferiscono cercare qualsiasi forma di cooperazione intergovernativa, anche al costo di risolvere i problemi a metà, ed eventualmente peggiorarli. La loro cultura politica è l’internazionalismo. Vivono ogni giorno l’illusione di dialogare “alla pari” con gli altri capi di governo e seguono senza troppo riflettere le indicazioni che provengono dai loro ministri degli esteri e dalla diplomazia nazionale.
Una forza esterna al sistema intergovernativo è indispensabile per costringerli a prendere atto dell’alternativa sovranazionale. La seconda intuizione cruciale di Spinelli (ma non di Monnet) è quella del popolo federale europeo come soggetto attivo del processo costituente. In effetti, in quegli anni, grazie alle iniziative dei federalisti, il fantasma del popolo europeo (e della sovranazionalità) si aggirava per l’Europa. Persino de Gaulle è stato costretto a prendere in considerazione questa prospettiva, per rifiutarla con la sua tipica alterigia nazionalistica: mai avrebbe accettato di subordinare la volontà della Francia a un parlamento sovranazionale. Per de Gaulle non esisteva un federatore europeo perché i popoli nazionali mai avrebbero accettato di subordinare le loro leggi e i loro governi a un areopago europeo senz’anima. Era così certo che solo le nazioni avessero una volontà di vita indipendente da sostenere che nel caso gli europei avessero accettato istituzioni sovranazionali, prima o poi sarebbero stati dominati da un federatore esterno all’Europa.
Il federatore e la democrazia europea
La sfida di de Gaulle va raccolta dai federalisti. Pur non essendo un potere di esecuzione, il MFE-UEF può svolgere un ruolo “federatore” nella fase costituente che si sta aprendo. I governi nazionali sono assediati da problemi angosciosi che non sanno risolvere: il completamento dell’Unione economica e monetaria, l’afflusso massiccio di immigrati, il terrorismo internazionale, le tensioni militari ai confini dell’Unione, nell’Est Europa e in Medio Oriente. I governi, paralizzati dalle sirene della conservazione nazionale, stanno smembrando l’Unione europea costruita in settant’anni di lotte.
La forza d’iniziativa e progettuale del MFE-UEF diventerà decisiva se saprà sviluppare un duplice ruolo federatore, sia al livello europeo con il Gruppo Spinelli, sia alla base, con le organizzazioni della società civile e i cittadini europei. Si possono organizzare azioni simboliche spettacolari, come la disobbedienza civile a rovescio, vale a dire un’azione di civismo europeo consistente nel versare a un Tesoro europeo l’1% delle proprie tasse (la tassa europea occulta nelle tasse nazionali), oppure chiedere che l’ammontare del “signoraggio” della BCE – a volte superiore all’intero bilancio europeo – sia versato non ai Tesori nazionali ma al Tesoro europeo, per finanziare una politica dell’occupazione, della sicurezza e della difesa europea.
Non è necessario all’inizio che questi due livelli siano strettamente coordinati. Se il lavoro alla base, con la società civile, sarà efficace, prima o poi si salderà con il livello europeo, perché il popolo europeo, il federatore, si potrà esprimere compiutamente solo in una assemblea costituente. Tuttavia occorre essere ben coscienti degli ostacoli da superare: dentro il Parlamento europeo esiste una coorte di deputati – nei partiti euroscettici, nazionalisti e tra i deputati dei paesi dell’Est – che rifiuta a priori la prospettiva federale. Sebbene le proposte di riforma che sono allo studio nel Gruppo Spinelli oggi siano eccellenti, dei compromessi saranno necessari per allargare il consenso e giungere a una maggioranza nel Parlamento. Infine, una volta ottenuto il consenso di una maggioranza parlamentare occorrerà affrontare la sfida di una nuova Convenzione: un viaggio in mare aperto, dove ci attendono i voraci pescicani intergovernativi.
Per superare tutte queste difficoltà è cruciale definire con precisione l’obiettivo politico da proporre ai cittadini: la formula più efficace è quella di un governo democratico europeo. La mobilitazione popolare richiede slogan e obiettivi immediatamente comprensibili. L’idea del governo europeo evoca con chiarezza l’idea che l’unità europea non esisterà sino a che le decisioni cruciali vengono prese da una moltitudine di interessi nazionali contrapposti.
L’idea della democrazia europea è cruciale per convincere i cittadini che sino a che il loro voto non produrrà una politica, vale a dire una maggioranza nel parlamento europeo e un governo responsabile nei suoi confronti, l’elezione europea è una beffa e la democrazia europea una chimera. La crisi greca ha mostrato che una contrapposizione di democrazie nazionali porta a un vicolo cieco: consegna ai paesi più forti nel Consiglio europeo lo scettro del governo europeo. Tuttavia, nonostante tutti questi ostacoli, non si tratta di inventare da cima a fondo le istituzioni della democrazia europea. Un Parlamento europeo esiste e ha i poteri sufficienti per avviare una riforma federale dell’Unione. Il vero problema è che una gran parte dei loro deputati non ha il coraggio e la volontà di agire.
Per mettere in moto il federatore, dunque mobilitare il popolo europeo, è necessario sfruttare tutti i canali di comunicazione e propaganda, tra i quali è ovviamente essenziale internet. Oggi, è possibile allacciare rapporti politici stabili anche con persone non iscritte al MFE-UEF, per allargare il cerchio del consenso e rintuzzare le critiche astiose degli intellettuali euroscettici, sempre pronti a schernire “gli illusi” che si appellano a un inesistente popolo europeo. Se il lavoro di comunicazione e di diffusione della cultura federalista sarà fatto con sistematicità e costanza potrà ripresentarsi l’occasione per una grande mobilitazione popolare, com’è avvenuto a Milano, sabato 29 giugno 1985, quando il popolo europeo si è schierato in piazza con i federalisti per sostenere il progetto di Unione del Parlamento europeo.
Guido Montani