Ora, cari ascoltatemi un attimo.
Partendo dal principio, per me – come, immagino, per molti altri ragazzi/e di seconda generazione - la questione identitaria ha rappresentato un passaggio abbastanza tortuoso e disorientante.
Il fatto è che quando più culture, molto diverse fra loro, si amalgamo l’una con l’altra, nel preciso istante in cui cerchi di trovare una tua identità, orbene nel tentativo di rispondere a quella affascinante domanda “chi sono?”, io nella mia inconsistente esistenza mi sono perso più e più volte.
“Ma ti senti più italiano, o più africano?”
Una banalissima domanda del genere, mi metteva sempre in difficoltà, non sapevo mai che cosa rispondere.
Perché, io di fatto in prima istanza, non riuscivo a comprendere il senso di quella domanda, oltretutto mi schiaffava in faccia la mia inettitudine, il mio vuoto identitario. Che in realtà tanto vuoto non era, dovevo solo trovare la chiave di lettura per poter interpretare quel crogiolo di culture ingarbugliate, che sentivo essere parte di me.
Non riuscivo a comprenderla, quella domanda, poiché mi sembrava fin troppo riduttivo identificarmi sotto l’ombrello di un’unica nazione.
Quando poi il cosmopolitismo mi aprì, per così dire, gli occhi capii che la mia identità non poteva essere unica e unidirezionale, io non potevo sentirmi o italiano o africano. Io avevo un bisogno, che era quello di dovermi appoggiare su qualcosa di più ampio, che si delineò compiutamente nel sentimento cosmopolita.
Ed ecco che iniziai a definirmi come cittadino del mondo.
Sebbene io avessi finalmente trovato un termine sui cui basare la mia identità, – cosmopolita - essa rimaneva, comunque, fin troppo astratta, e la necessità di concretizzare questo mio sentimento era forte.
Letture dopo letture, mi passarono sottomano scritti di Spinelli, Schumann, Beck e molti altri ed improvvisamente ci fu la svolta. Nell’idea d’Europa rappresentata da essi riuscivo a cogliere i miei valori cosmopoliti.
Libertà, democrazia, inclusione e infine l’abbattimento dei confini sono tutti idee e posizioni che ho sempre condiviso, e che vedo concretizzarsi nel processo di costruzione dell’Europa unita.
Dunque, infine, nel momento in cui io mi definisco europeo non lo faccio per una mia vicinanza territoriale o politica, o almeno NON nell’immediato.
Il mio sentire europeo, principalmente, nasce e si lega in corrispondenza di quei valori e principi che l’Europa, in senso astratto, esprime. E finché, l’Europa rappresenterà questo: io sarò europeo.
“Unire l’Europa, per unire il mondo”