di Mario Leone*
Un muro di filo spinato, dall'Ungheria del nazionalista Viktor Orbán, che lancia una campagna per “scoraggiare” gli ingressi illegali dai Balcani. Proteste di piazza e scontri politici per l'emergenza immigrazione moltiplicano le linee di frattura in Europa. David Cameron, premier britannico, dagli «sciami che attraversano il mare» ribatte ancora: «Fermeremo le irruzioni». In Slovacchia in migliaia in piazza contro la decisione del governo socialdemocratico di accettare profughi da Grecia e Italia secondo le ricollocazioni previste dall'Agenda Immigrazione. La Polonia vuole accogliere mille-duemila rifugiati, 50 famiglie siriane sono arrivate a luglio, ma con le frange più conservatrici che vogliono aprire solo ai cristiani (1).
“Nessuno Stato può farcela da solo!”. È la considerazione (l’ennesima) di un personaggio politico europeo, Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea: “Considero l'Europa una comunità di valori di cui possiamo andar fieri, ma raramente lo siamo. In Europa vantiamo i massimi standard mondiali di accoglienza dei profughi, mai rifiuteremmo asilo a chi necessita della nostra tutela, lo stabiliscono le nostre leggi e gli accordi stipulati. Mi preoccupa però il fatto che l'accoglienza sia sempre meno radicata nei nostri animi” (2).
“L'Europa - così ancora Junker - fallisce se la paura prende il sopravvento. L'Europa fallisce quando gli egoismi hanno più voce della solidarietà presente in ampie porzioni della nostra società. L'Europa ha successo quando superiamo in maniera pragmatica e non burocratica le sfide del nostro tempo. Spero che assieme - gli stati membri, le istituzioni e le agenzie Ue, le organizzazioni internazionali e i nostri vicini - riusciamo a dimostrare che siamo all'altezza delle sfide”.
L’UE ha confini esterni comuni ma non ha una politica comune europea nei confronti dei profughi e dei richiedenti asilo. “La nostra storia comune lo dimostra: l'Europa è un continente resistente, che di fronte alla minaccia di essere spaccato finisce per unirsi. Questo dovrebbe esserci di incoraggiamento per le prossime settimane e mesi”.
Il “male” di questa nostra Europa è nel suo continuo avvilupparsi nella tutela nazionale dei confini. Spesso esasperando le reazioni, quando invece occorrerebbe la disperata parola in fatti, la solidarietà.
“Non esiste una risposta unica e tantomeno semplice al problema dei flussi migratori. … non esistono soluzioni nazionali efficaci. Nessuno stato membro può regolare le migrazioni efficacemente per suo conto”. Un grido, è necessario un “approccio europeo”.
Ma davanti alla mole imponente di migranti l’UE ha proposto da maggio un sistema per distribuire equamente in seno all'Ue una parte delle persone che arrivano in Italia e in Grecia. Gli stati membri sono già stati in grado di accettarne più di 32mila.
Come si ricorderà la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la strage del 18 aprile 2015, quando oltre 700 migranti morirono nel Canale di Sicilia. Da questo non isolato episodio ma determinante, l’UE ha cambiato passo nelle politiche sulla gestione del flussi migratori. A maggio la Commissione europea ha varato l'Agenda sulle migrazioni che prevede, fra l'altro una redistribuzione fra gli Stati membri dei richiedenti asilo approdati nell'UE. Si parla di quote prestabilite (e in sostanza obbligatorie) per ogni Paese: 40 mila migranti già sbarcati da redistribuire in due anni. La frattura si apre tra i Paesi UE, da una parte i Paesi del Nord (Inghilterra, Danimarca) ed Est Europa (Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria), contrari, e quelli della frontiera Sud (Italia e Grecia), favorevoli. Il 26 giugno il vertice dei capi di Stato e di governo conferma la cifra di 40 mila migranti. Ma si discute sulla “volontarietà della ripartizione”.
Proprio la Grecia e la Bulgaria hanno visto l’ingresso nel 2014 di quasi 51mila migranti illegali e tra gennaio e maggio di quest’anno siamo a oltre 48mila. Il Mediterraneo orientale è la più esposta, quella con la maggiore “pressione”. Ma non la sola. Infatti, i Balcani occidentali, nel movimento che va dalla Grecia alla Turchia ha visto entrare illegalmente nel 2014 più di 43mila persone e nel periodo gennaio-maggio di quest’anno siamo già oltre 50mila “illegali”.
Il Mediterraneo però è il luogo dove maggiormente la pressione è stata intensa. Soltanto nel 2014 quasi 171mila presenza illegali in ingresso. Nei primi 5 mesi del 2015 siamo a poco più di 47mila.
L’UE ha triplicato la presenza nel Mediterraneo con un sostegno agli stati membri inviando nelle regioni più interessate dal fenomeno squadre della Frontex (l’agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne) dell'Easo (l’Ufficio europeo di sostegno per l'asilo) e della Polizia europea.
L’UE, ancora, collabora all'identificazione dei profughi, a registrarli e prelevarne le impronte digitali, nonché ad accelerare il disbrigo burocratico delle richieste di asilo.
L’UE ospita 20mila profughi da paesi extraeuropei, collaborando con i paesi di provenienza o attraversati dai profughi per aprire vie legali per i migranti, concludendo accordi di rimpatrio.
I migranti in Europa richiedenti asilo nel 2014 sono arrivati a sfiorare le 627mila unità (su dati Eurostat, così la fondazione Moressa), raggiungendo un +44% rispetto al 2013, ma un +177% rispetto al 2008. Nel primo trimestre del 2015 siamo arrivati a 185mila, l’86% in più dello stesso periodo nel 2014.
Gian Carlo Blangiardo (Università Milano Bicocca e Fondazione lsma) ricorda il dato in crescendo aggiornato da Eurostat: nel corso del primo semestre del 2015 si sono accumulate 400mila richieste d'asilo nella Ue giungendo a 16omila in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (+66%).
Ancora. Frontex informa che i clandestini "intercettati" alle frontiere comunitarie nel solo mese di luglio hanno superato le 100mila unità, un incremento complessivo di oltre 200mila casi rispetto ai primi sette mesi del 2014 (+175%). Il ministero dell'Interno informa sull'ulteriore crescita degli immigrati sbarcati in Italia: +11% nei primi sette mesi dell'anno.
Sulle pagine del Sole 24 Ore di lunedì 24 agosto 2015, Blangiardo osserva acutamente: “l'Italia … verrà sempre più chiamata a operare in prima linea su un fronte, quello del Mediterraneo centrale, che deve la sua problematicità non solo al caos che regna nei territori che agiscono da principale base di partenza dei flussi verso il nostro Paese, ma ancor più all'enormità del bacino demografico da cui tali flussi traggono origine. Perché se è vero che i venti di guerra che spingono le 70mila richieste d'asilo dei siriani registrate nel complesso della Ue nei primi sei mesi del 2015 -così come le 38mila degli afghani o le 2mila degli iracheni-, prima o poi smetteranno di soffiare (ci si augura), non sarà stessa cosa per il profondo Sud del Mondo”.
Perché i dati sono impietosi. Dall'Africa (Sub-sahariana in particolare) potrebbero riversarsi masse ancora più consistenti se si considera che a sud del Sahara vivono 962milioni di persone (destinate a diventare 1,2 miliardi tra dieci anni e 1,6 tra altri dieci).
La fuga da sistemi politici avversi e non inclini ai metodi democratici non è il solo fattore della crescita della disperazione e della ricerca di “occasioni”. Le Nazioni Unite, - conferma Blangiardo – rileva che nel complesso dell'area i 20- 39enni cresceranno di 203 milioni nell'arco di un ventennio. Questa è la domanda cruciale: “troveranno sufficienti occasioni di lavoro in loco o accarezzeranno l'idea della fuga altrove?” E ancora. “Fino a che punto l'Europa del 2035, quand'anche un po' meno affollata (10 milioni di abitanti persi in vent'anni) e decisamente meno giovane (37 milioni di 20-39enni in meno), potrà realmente essere in grado di assorbire senza rischi di rigetto una forza d'urto come quella che andrebbe prospettandosi se la spinta demografica africana dovesse contare unicamente sulla valvola di sfogo dell'emigrazione?”.
L’UE è a un bivio. Senza una vera politica europea comune dell’immigrazione, senza una politica estera efficace e rappresentativa di uno Stato finalmente democratico basato su sovrastrutture federali, nessuna risposta sarà definitiva. Una governance in economia è determinante per assicurare un assetto equilibrato al controllo del bilancio e delle risorse, per lo sviluppo e l’occupazione; ma senza una governance della politica estera e dell’immigrazione l’esaltazione dei nazionalismi diventerà una pratica sempre più usuale. Un’Europa persa nel suo brodo primordiale non fa bene alla democrazia internazionale.
24 agosto 2015
APPROFONDIMENTI
1) “I «muri» europei sul caso profughi” di Natale Maria Serena, Corriere della Sera, 17 agosto 2015, p. 22) Repubblica, 24 agosto 2015, p. 2