Questo intervento raccoglie un “flusso di pensieri” personali che invio come contributo al dibattito precongressuale del Movimento Federalista Europeo.
Poche riflessioni su tematiche di ordine generale che costituiscono però la premessa per più ampie e dettagliate che si faranno sicuramente nelle commissioni di lavoro e nella plenaria congressuale.
Il populismo.
Se fonte d'ispirazione è il popolo si fa presto in “teoria politica” a individuare il termine “populismo”.
Il 2016 è stato l'anno dei populismi mancati, o meglio auspicati, dagli estremisti che (fino ad ora) nel 2017 non hanno raccolto ciò che avrebbero voluto.
Le formule populiste ricorrono quindi al popolo. Un credo o un movimento basati sulla premessa principale che la virtù del popolo autentico è nella maggioranza schiacciante e nelle sue tradizioni collettive (Ionescu e Gellner, 1969) fa del populismo una voce tra le altre, che va tenuta in debito conto, mai sottovalutarla.
Se mettiamo il popolo al centro, liricamente e emotivamente, si sviluppano tante definizioni di populismo quante sono le intenzioni di “utilizzare” questo popolo.
Il moderno populista estremista si aggrappa al popolo, ne fa oggetto a uso e consumo. Ma si individua anche con una contrapposizione a quel “non” popolo cioè a quella massa che non è determinata storicamente, territorialmente e qualitativamente. Va da sé che populismo e internazionalismo siano incompatibili.
Come i due concetti stessi di populismo politico e neoliberismo possono darsi forza a vicenda quando si è in società istituzionalmente poco coese e in grave crisi economica.
Questi due punti sono fondamentali nella lettura del populismo politico di oggi, con l'avanzare di pretese che fanno convergere quel concetto di popolo centrale con il dominio della nazione.
I leader populisti di oggi (da Marie Le Pen a Orban, a Kaczyński giusto per citare gli europei più “disturbatori”) hanno in comune la riluttanza a limitare il proprio potere (teorico o pratico) volendo (chi non è al potere) o creando (chi al potere c’è già) istituzioni politiche solide e autonome!
L'autonomia che diventa esaltazione della Nazione.
Il male curabile che affloscia le menti e piega la pace.
La democratizzazione delle Istituzioni europee. Abbiamo più volte segnato le nostre azioni, le nostre campagne politiche di federalisti europei e ancora oggi a distanza dalle battaglie politiche degli anni 50-60 del secolo scorso di Spinelli continuiamo a sottolineare la (quasi) assenza di democrazia a livello europeo auspicando percorsi di rafforzamento delle istituzioni europee come presupposto per “realizzare” la democrazia europea.
Ma non cadiamo nella negazione della democrazia nelle Istituzioni. Anzi, dobbiamo sottolinearne i caratteri differenziali che probabilmente ci esaltano davanti a inetti adepti del nazionalismo.
Noi siamo coloro che sanno distinguere e mettono sul tavolo una riforma vera tra democrazia formale e democrazia sostanziale.
Nella prima, la nostra azione non è fondamentale, anzi è inutile perché appartiene (o sembra appartenere) allo stato delle cose europee vissute nel breve termine; cioè l'insieme di mezzi, quali sono le regole procedurali indipendenti dal fine da raggiungere. E se ci pensiamo bene è questa la democrazia in vigore nei rapporti tra gli Stati e l’Unione europea. Ma dove possiamo (kantianamente dobbiamo) intervenire è nel campo della democrazia sostanziale, cioè l'individuazione di un insieme di fini come può essere l'uguaglianza, per noi direi, la solidarietà, lo sviluppo, la pace. Questa definizione, per quanto concettualmente condivisibile, praticamente anche mal si concilia con noi federalisti, perché nella concezione della democrazia sostanziale i mezzi per raggiungere questi fini sono indifferenti.
Noi abbiamo avuto, consapevolmente o meno, un tracciato di sintesi perpetua tra questi due concetti di democrazia perché per noi il fine (la pace) non è indipendente dal mezzo (la federazione europea) ed è questo che ci mette al vertice del progresso, sulla linea dei progressisti del Manifesto di Ventotene.
Il “nostro” federalismo. Senza dubbio davanti alle varie azioni che possiamo intraprendere per “sostanziare” la federazione europea, una importantissima e che ci spinge e affanna, diciamolo, a volte, è quello di far comprendere ai cittadini (giovani o meno) il concetto di federalismo e di federazione, poi la necessità della sua realizzazione.
Se non si parte dall'idea di ciò che si vuole e chiaramente, rendendolo “masticabile” anche ai “non addetti ai lavori”, come si suol dire, si rischia di ritrovarsi davvero a fare il gioco dei populisti e dei nazionalisti.
C’è un luogo impervio, purtroppo non oscuro e fa paura. Da un fondamento, che riprendo da Lucio Levi. Il federalismo come alternativa allo Stato nazionale, per la costruzione di un ordine mondiale policentrico, come dice anche Levi. Ma Lucio ha scritto che la negazione dello Stato nazionale che realizzerà la federazione europea sarà del tutto inadeguata rispetto ai valori sui quali fonderà la propria legittimità, ma che malgrado questi limiti assumerà, superando le nazioni storicamente consolidatesi, il significato della negazione della divisione politica del genere umano (anche nella futura federazione mondiale).
E' ciò da cui dobbiamo difenderci, quasi da noi stessi. E' la sacca di valori che abbiamo a disposizione è ricca e va difesa anche con forza. Federarsi significa superare la divisione, superare l'avversione e mettere in salvaguardia il popolo europeo e mondiale.
Il nostro federalismo è appunto un insieme di asset valoriali che inevitabilmente tenteranno di scalare con offerte anche allettanti ma non c'è di meglio che esaltare il nostro ruolo in questo sistema di regole.
La comprensione di ciò, questo pacchetto di valori deve viaggiare “verso il popolo” altrimenti non avremo alcuna possibilità di stare “con il popolo europeo”. Saremo sempre “sognatori”.
Ma il sogno è messo da parte quando azioni come quella di Roma del 25 marzo 2017 si trasformano in un movimento unico e rafforzante la nostra idea, quella di sinergia delle forze favorevoli alla costruzione di una Nuova Europa, solidale, democratica e federale; quest’ultimo termine è la discriminante nei confronti dell’informazione generalista (come lo era fino a poco tempo fa “europeista”).
Partire dall’Europa conquistata, dal portato di valori che rappresentano la forza di ciò che vorremmo costruire ancora. Vogliamo certo più Europa, ma fatta bene. E questo “operare bene” potrà venire soltanto se gli egoismi nazionali verranno definitivamente messi da parte, perché il gioco al massacro, alla negazione della Pace come valore, che inevitabilmente verrebbe a galla, è quello che vogliono gli estremismi populistici.
La ragione di una scelta: un mondo nuovo. Sappiamo quanto importante sia stato nella nostra storia di federalisti il ruolo di Luigi Einaudi quando diede appoggio convinto al MFE durante la Resistenza e dopo, rientrato in Italia. Nel novembre 1948, dopo pochi mesi dalla nomina a presidente della Repubblica, interviene all'apertura dei lavori del congresso dell'Unione europea dei federalisti che si tenne a Palazzo Venezia a Roma. Nel discorso di indirizzo auspica un “mondo nuovo, nel quale, al pari delle altre nazioni, anche la italiana rinunciasse a quella parte della sovranità assoluta il cui mantenimento fosse incompatibile con la pace e la giustizia tra i popoli” (“Il Primato che vorremmo”, di E.Rossi, nel Corriere della sera, 6 novembre 1948). Altrove qualche anno dopo, tra alcune lettere di propaganda federalista in mano ad Ernesto Rossi se ne ritra una in cui Einaudi afferma (26 maggio 1951) “sono sempre più persuaso che se l'Europa non si unisce l'orizzonte è scuro, anche se sono fermamente convinto che la guerra non si farà. Gli Stati odierni sono anacronistici. I patti speciali (Einaudi citava allora Consiglio d'Europa, Piano Schuman, OECE ecc.) servono più a porre problemi e a dar lavoro ai periti che a fare”...
L'Europa di ieri è anche ed ancora l'Europa di oggi, costruita sul cristallo dell'evoluzione dei rapporti internazionali.
E questo insegnamento di Einuadi è un caposaldo della politica reale. Uno Stato federale europeo nella testa di Einaudi era anche uno scopo concreto (sin dal 1918) quando criticava la Società delle Nazioni. Una costruzione difficile da realizzare ma era almeno uno scopo concreto, pensabile, per il quale valeva la pena battersi.
E' una battaglia di verità la nostra, contro le stesse maschere messe da alcuni uomini – sempre per citare Einaudi – che offuscano con la falsità del mito del passato, che ha portato alle conseguenze nefaste della guerra. Per avere un mondo diverso bisogna avere il coraggio di cambiarlo e a noi questo coraggio non manca, perché un mondo nuovo è il risultato del federalismo.
Dalla crisi alla soluzione definitiva: la federazione europea. Quando Spinelli parlava negli anni seguenti la seconda guerra mondiale, lo faceva – come era caratterialmente suo solito – per rivendicare a se stesso l'ideazione dell'uso dei principi federalisti come “criterio di giudizio storico politico” (citando Luigi Zanzi), in punto al nuovo assetto internazionale degli Stati in dipendenza del tramonto degli Stati nazionali.
Spinelli è andato al di là del quadro di costituente di un nuovo Stato (lui ne era pienamente consapevole) anche nel semplice utilizzo dello strumento federale per rendersi indipendenti da uno Stato nazionale che già indipendente lo era; egli partiva da una situazione di “crisi” di realismo politico eccezionale: di fatto gli Stati avevano perso peso, erano già impotenti, avevano perso cioè la capacità di rispondere alle problematiche politiche poste dalle esigenze contingenti del dato momento storico.
Qui sta la risposta del federalismo.
Ai “simulacri vuoti” a quella “polvere senza sostanza” (Einaudi) è necessario dare nuova vita non cancellarli, bisogna accompagnare gli Stati e quindi i cittadini europei a comprendere appieno che senza un futuro insieme, uniti, non scriveremo altre pagine di storia dell'umanità.
La scelta è davanti agli occhi anche dei ciechi ma i ciechi riprendono la vista davanti alla mostruosità non per miracolo ma per necessità impellente.
La crisi è un’opportunità ma lo è per noi, per dare una soluzione definitiva a questa, come lo è anche per i nazionalisti, con una grande differenza: il loro progetto è decotto, è stato provato dalla Storia stessa dell'uomo a cosa abbia portato, e i cittadini europei, e del mondo intero, lo possono vedere; a loro, noi non promettiamo il miracolo della vista ma possiamo aiutarli a vederci meglio con un intervento chirurgico, con mezzi idonei, come il federalismo.