Il Pilastro europeo dei diritti sociali deve ora tradursi in realtà – In Europa, e nel resto del mondo, servono Regole (e Diritti) anche sociali
Oggi più che mai l'Unione europea - parte del mondo in cui i Sistemi di protezione sociale sono più avanzati (nonostante i feroci attacchi di questi ultimi anni) - deve far fronte a sfide sociali senza precedenti: strascichi della grande crisi 2008-2009, disoccupazione giovanile e di lunga durata, rischio di povertà in molte parti d'Europa, nuove opportunità e sfide insite in globalizzazione, rivoluzione digitale, mutamento dell'organizzazione del lavoro, sviluppi sociali e demografici, cambiamenti climatici, micro-conflitti e pluri-crisi ecc. ecc.. E da tempo quindi che ( per porre fine al rischio di uno smantellamento graduale delle conquiste sociali europee degli ultimi secoli; per facilitare, in Europa e nel resto del mondo, un vero processo di convergenza verso l'alto, e quindi, un vero progresso anche sociale, e anche per non diventare preda di estremismi e / o di miopi nazional-populismi) l''UE dovrebbe far sì che sviluppi economici e sociali procedano di pari passo.
Oggi più che mai, c'è da riflettere, sia su come costruire un' Europa anche sociale, sia sul “che fare?” affinché, in Europa e nel resto del mondo, valori, etica, e rispetto dei Diritti umani e fondamentali ritornino in scena da protagonisti.
La Dichiarazione di Roma del 25 marzo 2017 ha sottolineato l'importanza - per il futuro dell'UE a 27 – di un'Europa sociale forte, fondata su una crescita sostenibile, che favorisca il progresso economico e sociale come la coesione e la convergenza, il rispetto dell'integrità del mercato interno e la presa in conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo chiave delle parti sociali.
Sempre nel 2017 - dopo oltre un anno e mezzo di consultazioni con le parti sociali - la Commissione europea ha poi presentato il suo atteso maxi-Pacchetto sul Pilastro europeo dei diritti sociali, pensato quale risposta all'esigenza di più giustizia sociale (da parte dei cittadini impoveriti dalla crisi) e quale bussola per un nuovo processo di convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro in Europa.
In cosa consiste questo Pilastro? Si arriverà alla definizione di un vero Piano di implementazione di questi di questoPilastro, e della Carta europea dei diritti fondamentali? Si va verso una regolamentazione, uniforme, di soglie UE? Quali sono i principali temi, oggi, sul tappeto? Potrebbe essere utile immaginare la creazione di un Istituto europeo (ma da declinare in ciascun paese Ue) per la Previdenza complementare; e la creazione, in ambito G 20 e Onu, di due nuove Task Force- inter-istituzionali e con parti sociali- su per Regole e Diritti sociali? Questi, e altri, i quesiti su cui qui mi soffermo.
Intanto una buona notizia, di marca italiana. Il 23 gennaio 2018, a Bruxelles, Romano Prodi ha presentato un Piano europeo da 150 miliardi di investimenti all'anno (finanziato da tutti i 27 Paesi) per il rilancio dell'Europa sociale, che va in tre direzioni precise: 1. Istruzione 2. Sanità 3. Case popolari. "Non vogliamo - ha precisato - l'Europa dei banchieri o della finanza, vogliamo un'Europa sociale".
Il Piano Ue da 150 miliardi di investimenti (con una possibile interazione tra pubblico e privato, inclusi fondi pensioni e assicurazioni) - da rendere operativo già nel 2019 - è il "New Deal per l'infrastruttura sociale". L'idea è stata abbracciata anche dalla Commissione europea. L'interazione con Bruxelles potrebbe prendere vita all'interno del Piano Juncker per gli investimenti. In Italia, alla guida della Task force europea per attuare il Piano Prodi ci sara' la cassa depositi e prestiti.
Ma procediamo con ordine..
I - IL PILASTRO EUROPEO DEI DIRITTI SOCIALI (aprile 2017)
Tenendo conto dell'assenza di competenze dell'Unione per adottare legislazione vincolante in campi ricoperti dal pilastro, il Pacchetto è stato presentato sotto due forme giuridiche:
- una Raccomandazione della Commissione
- una proposta di Proclamazione Congiunta, come inizialmente si è già fatto per la Carta dei diritti fondamentali, del Parlamento, del Consiglio e della Commissione.
Su queste basi, la Commissione ha poi avviato le discussioni con il Parlamento europeo e il Consiglio per assicurare al Pilastro un ampio sostegno politico, e la sua approvazione ad alto livello.
Il Pilastro europeo dei diritti sociali - proposto dalla Commissione europea - è concepito principalmente per la zona euro, ma è applicabile a tutti gli Stati membri dell'UE che desiderino aderirvi. Per sostenere il buon funzionamento e l'equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale, il Pacchetto definisce 20 principi e diritti fondamentali articolati in tre categorie:
- pari opportunità e accesso al mercato del lavoro
- condizioni di lavoro eque
- protezione e inclusione sociali
E pone l'accento su come affrontare i nuovi sviluppi nel mondo del lavoro - e nella società - per realizzare la promessa di un'economia sociale di mercato, competitiva, e finalizzata alla piena occupazione e al progresso sociale.
Si tratta di un Pacchetto ambizioso, i cui elementi chiave sono una Raccomandazione con venti principi, quattro provvedimenti, un Documento di riflessione, e l'istituzione di un Quadro di valutazione della situazione sociale.
Il nuovo Pilastro europeo dei diritti sociali mira a rendere più visibili, e comprensibili, principi e diritti che già figurano in disposizioni vincolanti del diritto dell'Unione. Vengono quindi definiti - e riaffermati - diritti già presenti nell'acquis giuridico dell'Unione europea e nell'acquis giuridico internazionale. Ma – parallelamente - il nuovo Pilastro europeo dei diritti sociali mira a completare i principi e diritti esistenti per tener contro di realtà nuove.
La maggior parte degli strumenti necessari alla sua concretizzazione sono nelle mani delle autorità nazionali, regionali e locali, e anche delle parti sociali e della società civile. L'Unione europea, e in particolare la Commissione europea, può contribuirvi agendo - nel rispetto delle specificità nazionali e dei dispositivi istituzionali - nei campi in cui esercita una competenza condivisa. Principi e diritti non sono direttamente applicabili . Il problema principale resta quindi l'attuazione effettiva di questi principi e diritti.
Un aspetto importante del suivi del Pilastro riguarderà l'attuazione e applicazione dell'acquis..
20 PRINCIPI - Questi i 20 principi del Pilastro europeo dei diritti sociali proposto dalla Commissione europea:
1. Istruzione formazione e apprendimento lungo tutto l'arco della vita
2. Parità di genere
3. Pari opportunità
4. Sostegno attivo all'occupazione
5. Occupazione sicura e adattabile
6. Stipendi
7. Informazioni sulle condizioni di lavoro e protezione in caso di licenziamenti
8. Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori
9. Equilibrio tra lavoro e vita
10. Ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato
11. Assistenza e assistenza ai bambini
12. Protezione sociale
13. Benefici per la disoccupazione
14. Reddito minimo
15. Redditi da vecchiaia e pensioni
16. Assistenza sanitaria
17. Inclusione di persone con disabilità
18. Cure a lungo termine
19. Alloggi e assistenza per i senzatetto
20. Accesso ai servizi essenziali
QUATTRO PROVVEDIMENTI - Quattro Provvedimenti rivedono o innovano le direttive sull'equilibrio vita privata-lavoro (tra cui il congedo parentale), sui diritti dei lavoratori atipici (inclusi quelli dell'economia digitale e verde) e sull'orario di lavoro.
UN DOCUMENTO DI RIFLESSIONE - Il Documento di riflessione (promesso dal 'White paper' sul futuro dell'Ue) è sulla dimensione sociale dell'Ue.
UN QUADRO DI VALUTAZIONE - Un “Quadro di valutazione della situazione sociale” misurerà le tendenze e le prestazioni degli Stati membri in 12 aree; e valuterà i progressi compiuti in direzione di una “tripla A sociale in tutta l’Unione. I risultati confluiranno nel semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche”.
NON MANCANO ELEMENTI POSITIVI... - Saranno necessarie ulteriori iniziative legislative affinché alcuni principi e diritti compresi nel Pilastro divengano effettivi. Ove necessario, la legislazione dell'UE vigente sarà aggiornata, integrata e applicata più efficacemente. Ma fin da ora - al Pilastro europeo dei diritti sociali - la Commissione affianca una serie di ulteriori iniziative, legislative e non legislative, concernenti ad esempio:
- l'equilibrio tra attività professionale e vita privata di genitori e prestatori di assistenza
- l'informazione dei lavoratori
- l'accesso alla protezione sociale
- l'orario di lavoro.
Circa l'orario di lavoro, la Commissione europea (con l'intenzione di aiutare gli Stati membri ad attuare correttamente l'acquis e ad evitare nuove infrazioni) ha adottato un chiarimento della direttiva sull'orario di lavoro che fornisce orientamenti per l'interpretazione di vari aspetti della direttiva in linea con un corpus normativo sempre più ampio. C'è da dire anche che questo chiarimento inquieta la Confederazione europea dei sindacati (CES) in quanto “potrebbe condurre a una cattiva esecuzione di decisioni di giustizia”. Da qui “la sua esortazione alla Commissione europea di procedere a una adeguata consultazione delle parti sociali, in materia”. Comunque, è cosa positiva il fatto che la Commissione europea rifletta sulla necessità di una migliore applicazione della legislazione sociale europea, e dei diritti sociali esistenti.
OLTRE CHE UNA PARTE LEGISLATIVA – DUE CONSULTAZIONI - Oltre che una Parte legislativa, il Pacchetto lancia anche due Consultazioni delle parti sociali:
a. una consultazione sull'ammodernamento delle regole dei contratti di lavoro: la Commissione ha lanciato un dibattito relativo alle garanzie minime che devono essere riconosciute a tutti i lavoratori, compresi quelli che occupano posizioni di lavoro atipico: da qui la revisione della direttiva sulle dichiarazioni scritte (91/533/CEE) che riconosce ai lavoratori, all'inizio di un nuovo rapporto di lavoro, il diritto di ricevere comunicazione scritta in merito ai suoi aspetti essenziali.
b. una consultazione sull'accesso alla protezione sociale per la definizione di nuove regole in materia.
La Commissione vuole colmare i divari e vagliare modalità per garantire a tutti i lavoratori l'accesso a sistemi di protezione sociale e servizi per l'occupazione sulla base del loro contributo. A oggi, i diritti e gli obblighi associati alla protezione sociale sono stati sviluppati principalmente per i lavoratori assunti con contratti standard. Restano ancora insufficientemente evoluti per le persone che esercitano attività di lavoro autonomo o atipico. Le modalità di lavoro più flessibili – odierne - offrono nuove opportunità, soprattutto per i giovani, ma possono dare luogo a nuove precarietà e disparità.
“Pur non riconoscendo la promozione del lavoro indipendente quale panacea per la disoccupazione – hanno subito precisato i sindacati europei - la Confederazione europea dei sindacati (CES) sostiene le proposte sulle regole relative alla protezione dei lavoratori indipendenti e dei lavoratori atipici”. I sindacati hanno quindi preso parte - in modo costruttivo - alle consultazioni sulla revisione della direttiva sulla dichiarazione scritta e sull'accesso alla protezione sociale per tutti.
NOVITA' PER I CONGEDI PARENTALI ... - Dopo quasi un decennio di politiche neoliberiste, austerità, e tagli indiscriminati alla spesa pubblica, ai servizi e ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, sarebbe stato forse importante marcare un cambio di passo ancor più radicale (tra l'altro) avanzando più proposte di carattere legislativo, andando ancor più lontano, lanciando un vero processo di convergenza verso l'alto ... Tuttavia - anche grazie al contributo dei sindacati – nel Pilastro non mancano evidenti elementi positivi che superano posizioni di retroguardia delle rappresentanze imprenditoriali europee.
Basti qui pensare al congedo di paternità . Allo stato attuale, le tutele per quest'ultimo variano da paese a paese: in alcuni casi il congedo è retribuito dall’azienda, in altri dallo Stato, in altri casi il congedo di paternità non è proprio previsto.
Tra gli imprenditori, c'è chi - come Emma Marcegaglia - sottolinea che un Accordo volontario sul congedo parentale fra BusinessEurope e l’European Trade Union Confederation, la Confederazione europea dei sindacati, già impone alle imprese “obblighi difficilmente raggiungibili, andare oltre ne comprometterà la competitività” e che “molti stati non sono in grado di garantire le retribuzioni ai lavoratori che prendono il congedo”. Ma Luca Visentini (Segretario generale della CES-Confederazione europea di sindacati) – in una sua Nota - accusa BusinessEurope di aver rifiutato di rinegoziare i termini dei congedi e “di cercare semplicemente una scusa per affossare il Pilastro sociale “ultima chance dell’Unione di creare un’Europa più sociale”. La Confederazione europea dei sindacati si dichiara pronta a impegnarsi in consultazioni e dialogo sociale, per l'implementazione dei principi nel Pilastro cui – sostiene – dovrebbero aderire tutti i paesi membri dell'Ue. E invita le organizzazioni imprenditoriali a fare altrettanto.
I sindacati europei considerano “il Progetto di legislazione in materia di retribuzione di congedi parentali, di paternità e dei prestatori di assistenza promettente e necessario” anche se trovano deplorevole il fatto che non migliora la protezione contro il licenziamento delle donne dopo congedi di maternità. “Sosterremo – hanno dichiarato - l'impegno della Commissione europea nelle sue intenzioni, e per far adottare questa legislazione malgrado l'opposizione di alcuni imprenditori”.
NOVITA' PER L'EQUILIBRIO TRA ATTIVITA' PROFESSIONALE E VITA FAMILIARE ... - La proposta di direttiva ( la cui attuazione gli stati membri possono affidare alle parti sociali purché siano garantiti i risultati che essa persegue) intende, in particolare, accrescere le opportunità per gli uomini di assumersi responsabilità genitoriali e di assistenza.
Stabilisce una serie di standard minimi nuovi o più elevati per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per i prestatori di assistenza. Introduce il diritto per cui i padri possono prendere un periodo di congedo di durata non inferiore a 10 giorni lavorativi in occasione della nascita di un figlio.
La proposta prevede inoltre che il diritto a quattro mesi di congedo parentale possa essere utilizzato fino ai 12 anni di età del figlio, rispetto all'attuale linea guida non vincolante degli 8 anni di età. Il congedo parentale di quattro mesi diventa inoltre un diritto individuale delle madri e dei padri, e in quanto tale non è trasferibile all'altro genitore: un potente incentivo affinché anche gli uomini vi facciano ricorso.
Viene inoltre introdotto per la prima volta un congedo di cinque giorni l'anno per i prestatori di assistenza, in caso di malattia di un parente diretto. Tutte queste modalità di congedo familiare saranno retribuite almeno al livello del congedo di malattia. Inoltre - per i genitori di bambini fino a 12 anni di età e i prestatori di assistenza – è previsto il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili (orario di lavoro flessibile o ridotto) o la flessibilità per quanto concerne il luogo di lavoro. Ad oggi – fa notare la CES (Confederazione europea dei sindacati) - la proposta non prevede una migliore protezione contro il licenziamento per le madri che tornano dal congedo di maternità.
Questa proposta – oltre a recare benefici per i bambini - dovrebbe contribuire ad aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, riducendo la disparità tra uomini e donne nell'occupazione (11,6% nel 2015, quota 30 % nel caso delle famiglie con bambini di età inferiore a 6 anni), uno degli elementi alla base del divario retributivo di genere (16,3 %) e del divario pensionistico di genere (40 %).
II - LA PROCLAMAZIONE DEL PILASTRO EUROPEO AL VERTICE DI GOTEBORG (Novembre 2017) - Il Pilastro europeo di diritti sociali è stato poi solennemente proclamato al vertice di Göteborg – in Svezia - dedicato alla dimensione sociale dell'Europa.
L’accordo inter-istituzionale - siglato nel vertice di Göteborg dai Presidenti del Consiglio dell'Unione europea, della Commissione e del Parlamento europeo - è stato accolto da alcuni commentatori con un certo scetticismo (per il rischio di inconsistenza di tale iniziativa e la sua incapacità di produrre effetti concreti nel breve-medio periodo, finendo di fatto con l'accendere speranze poi sistematicamente disattese), e da altri con valutazioni più ottimistiche che colgono nel Pilastro un chiaro segnale di svolta nel discorso europeo sui diritti sociali o perlomeno un'opportunità di cambiamento che, se opportunamente sfruttato, potrebbero innescare dinamiche al momento inattese.
In altri termini, c'è chi - nella Proclamazione - vede il tentativo di conciliare tra, da un lato, la volontà degli Stati membri di salvaguardare la propria autonomia contro possibili interferenze dell’Unione nella sfera sociale nazionale e, dall’altro, la necessità di evitare di annacquare completamente il valore della stessa proclamazione inter-istituzionale. Non caso – viene sottolineato - nel Preambolo del testo di Göteborg viene ribadita la funzione del PEDS sia nel riaffermare diritti sociali già presenti nell’acquis comunitario, sia nell'aggiungerne di nuovi, prevedendo a tal fine l'adozione di misure legislative a livello appropriato. Ma, allo stesso tempo, il Preambolo ricorda che lo scopo del Pilastro non può che essere chiaramente limitato ai “poteri e compiti attuali dell'Unione, come conferiti dai Trattati”, senza implicarne una possibile estensione; e che la sua implementazione necessita l'adozione di misure (legislative e non) che non solo devono tener conto delle differenze culturali, socio-economiche, ma devono anche rispettare la sovranità nazionale nell'ambito delle politiche sociali, e non devono altresì mettere in discussione gli equilibri finanziari degli stessi Stati membri.
Ma c'è anche chi ritiene che l'accordo inter-istituzionale non rimane un documento privo di valore. Ad esempio, Zane Rasnaca sottolinea il ruolo che la Corte di Giustizia potrebbe avere, richiamando nelle sue pronunce tanto la proclamazione del PEDS quanto la relativa Raccomandazione della Commissione: benché strumenti di soft law non vincolanti, essi potrebbero in futuro produrre effetti giuridici, come è già avvenuto in passato con la Carta europea dei diritti fondamentali e ad alcune raccomandazioni.
Lo stesso riferimento alla Carta europea dei diritti fondamentali nel Preambolo della proclamazione di Göteborg lascia auspicare che anche il PEDS possa essere successivamente incorporato nei Trattati.
Se così fosse, esso non si limiterebbe a estendere e specificare l'interpretazione dei diritti sociali già sanciti nella Carta, ma ne amplierebbe la lista (prevedendo ad esempio il diritto a un eguale accesso alla protezione sociale per tutti i lavoratori a prescindere dal tipo di contratto di lavoro, il diritto a salari equi che garantiscano standard di vita dignitosi, il diritto per i minori svantaggiati a un adeguato percorso di formazione e inserimento ecc.)..
E se - da una parte - c'è chi (al di là della possibile rilevanza giuridica della proclamazione inter-istituzionale) ritiene necessaria una chiara volontà politica affinché il PEDS possa tradursi in qualche risultato tangibile, se non si vuole che il Social Summit di Göteborg appaia solo come un semplice tentativo di mostrare di aver “fatto qualcosa”, senza riuscire a produrre alcun cambiamento significativo e soprattutto nessun concreto ri-bilanciamento dei profondi squilibri tra priorità economiche e performance sociali nell’UE. D'altra parte c'è chi pensa che il vertice europeo di Göteborg può essere interpretato come un "momento politico", fortemente voluto dalla Commissione, che ha aperto alla possibilità di influenzare le dinamiche tra e all'interno degli Stati membri e creato alcune premesse che potrebbero portare anche a conseguenze inaspettate, a condizione di superare la classica contrapposizione che traspare nei giudizi sul Pilastro Europeo dei Diritti Sociali tra (mancato) strumento di hard law e vano meccanismo di soft law; e indirizzando la riflessione su come una pluralità di attori possano concorrere a far sì che nei fatti i diritti sanciti dal Pilastro siano poi effettivamente declinati e non solo proclamati.
III. LE RIVENDICAZIONI DELLA CES Al VERTICE DI GOTERBORG
Alla vigilia del vertice, le Confederazioni dei sindacati europei si sono riunite nella stessa città per confrontarsi ed illustrare quelle che ritengono essere le 10 rivendicazioni necessarie per l'attuazione dei principi e dei diritti del Pilastro sociale contemplati dalla Commissione europea e per rivendicare pertanto l'esigenza di una dimensione sociale e politiche europee improntate alla crescita sostenibile inclusiva, sostenute anche dalla partecipazione delle parti sociali.
I 10 punti rivendicati dalla Confederazione europea dei sindacati (CES) - oggetto di campagne on line e di giornate di mobilitazione, volte a sensibilizzare la cittadinanza sulla dimensione sociale e sollecitare i governi ad impegnarsi fattivamente per l'attuazione del pilastro sociale – sono questi:
- Proclamazione del Pilastro dei diritti sociali e attuali direttive correlate
- Piano di azione (per dare concretezza ai principi del Pilastro) che prevede una serie azioni concrete da realizzare nel prossimo futuro per fare in modo che il Pilastro non rimanga lettera morta e che le istituzioni preposte a livello europeo e nazionale siano costantemente sollecitate a mettere in pratica i 20 principi in esso enunciati
- Investimenti adeguati (per dare concretezza alle misure)
- Legislazione per rafforzare diritti (e/o crearne nuovi rispetto alle nuove tipologie)
- Sostegno di tutte le istituzioni europee (con approccio integrato)
- Migliori politiche economiche con Raccomandazioni sociali annuali (per bilanciare un approccio esclusivamente economico)
- Progresso sociale nel Trattato UE (con una clausola di salvaguardia generale per bilanciare le libertà economiche con i diritti sociali)
- Maggiore e migliore dialogo sociale (sia nazionale sia europeo, sia settoriale sia intersettoriale, dal livello aziendale al macroeconomico ma anche sblocco di alcuni accordi non recepiti dalla commissione in alcuni settori)
- Rafforzamento della contrattazione collettiva e diritti sindacali (specie in termini di autonomia e interferenza dalla legislazione ed equità nelle retribuzioni e condizioni di lavoro)
- Giusta transizione per la digitalizzazione e fine del dumping sociale (con valutazioni di impatto sociale dei processi)
IV - E ORA? - Affinché principi e diritti sociali diventino realmente esigibili - e reali - c'è ora da continuare (tra l'altro) l' implementazione del Pilastro europeo dei diritti sociali e della stessa Carta dei diritti fondamentali (oramai parte integrante dei Trattati Ue grazie al Trattato di Lisbona) , attraverso una vero Piano di implementazione. Ma non vanno dimenticate alcune interessanti riflessioni - e iniziative - sull'opportunità di un'Europa sociale.
LA RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO (gennaio 2017) - Il 19 gennaio 2017, il Parlamento europeo (riunito in plenaria) – con 396 voti a favore e 68 astensioni – ha adottato la sua Risoluzione su un Pilastro europeo dei diritti sociali, basata sulla Relazione (2016/2095(INI) della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali, la cui relatrice è la portoghese Maria Joao Rodriguez (S&D). Adottandola gli europarlamentari hanno – tra l’altro – ribadito che tutti i lavoratori devono avere i diritti base garantiti, a prescindere dalla loro forma di lavoro e di contratto.
In estrema sintesi – per la Relatrice – la principale sfida da affrontare nella definizione del Pilastro dei diritti sociali e nel tentativo di aggiornare il Modello sociale europeo (che presenta molte varianti nazionali e in ciascun paese disposizioni specifiche, benché i paesi sono interdipendenti), è che le nostre strutture di Stato sociale stiano “al passo con il cambiamento demografico, la tecnologia, la globalizzazione e il recente e significativo aumento di disuguaglianze sociali”.
Senza un Quadro comune europeo, gli stati membri sono destinati a restare intrappolati in una concorrenza distruttiva fondata su una gara al ribasso degli standard sociali. Serve una convergenza verso l’alto raggiungibile solo mediante l’azione collettiva degli stati membri.
L’investimento sociale consiste nell’offerta pubblica (e relativo sostegno) di servizi (assistenza per l’infanzia, istruzione, apprendimento permanente, assistenza sanitaria, politiche attive del lavoro, previdenza sociale, regimi di reddito minimo, lotta all’analfabetismo). Circa i finanziamenti, in futuro, “occorrerà far minore affidamento sui contributi lavorativi e maggior tassazione generale, regolamentazione finanziaria e lotta all’evasione fiscale.. l’aumento del lavoro atipico e la crescente intensità di capitale della produzione economica suggeriscono la necessità di ridurre il cuneo fiscale sul lavoro (compresi i contributi previdenziali) e di cofinanziare i regimi di previdenza sociale mediante altri proventi fiscali (ad esempio plusvalenze, imposta sul reddito o sull’inquinamento) al fine di garantire a tutti un livello decoroso di protezione sociale. Per una migliore governance economica servono anche indicatori sociali. L’euro dovrebbe divenire un motore per la convergenza verso l’alto degli standard sociali. E c’è da prevedere un uso migliore delle politiche esterne dell’UE per la realizzazione dei diritti sociali in Europa e il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile a livello mondiale. Le raccomandazioni OIL vanno applicate in tutto il mondo, in cui a una migliore protezione sociale dovranno contribuire accordi commerciali, partenariati strategici, politiche di sviluppo, politica di vicinato, e l’agenda europea sulla migrazione. L’Europa sociale è e deve essere rivolta a tutti.
“Oggi – ha precisato Maria Joao Rodriguez (al momento dell’adozione della Risoluzione) – molti cittadini europei sono privi di protezione dinanzi alla competizione globale, la rivoluzione digitale e le politiche di austerità. Con questo Pilastro dei diritti sociali, noi miriamo a riattivare l’UE come un scudo protettivo per prevenire la povertà infantile, per rafforzare la garanzia giovani, per garantire i diritti sociali basilari anche alle persone che lavorano con nuove forme di occupazione, eventualmente introducendo una Carta di sicurezza sociale UE per aiutarli a tener traccia dei loro contributi ai regimi sociali ovunque lavorino nel mercato unico europeo”.
Gli europarlamentari invitano la Commissione europea a proporre regole di lavoro decente, valide in tutta l’Unione europea, e per ogni forma di occupazione (ivi incluso nuove forme di lavoro, lavoro su richiesta, e intermediato da piattaforme digitali). Chiedono anche un rafforzamento degli standard per contrastare il lavoro non dichiarato; per formazione e lavoro dignitoso, ivi incluso paghe adeguate per interin, apprendisti e persone in formazione.
ALCUNI TEMI OGGI SUL TAPPETO... - Attualmente, tra l'altro, siamo ora in una seconda fase di consultazione (delle parti sociali) su una possibile azione per affrontare le sfide della Protezione sociale delle persone in tutte le forme di occupazione.
E la Commissione europea ha proposto di istituire un'Autorità europea del lavoro.
Da parte sua la CES - Confederazione europea dei sindacati (che ha individuato 6 indicatori per meglio definire il concetto di lavoro di qualità: accesso a forme di lavoro standard e sicurezza occupazionale, opportunità di formazione e apprendimento lungo l'arco della vita, salute e sicurezza, tempo di lavoro e conciliazione, rappresentanza sindacale) chiede che l'Autorità europea del lavoro svolga un ruolo, in particolare, nel rendere il mercato unico uno spazio più giusto per i lavoratori; e nel rendere più efficaci le attività ispettive, soprattutto in ambito transnazionale, per migliorare le condizioni di lavoro e il rispetto dei diritti sociali. La Ces è impegnata in campagne a favore di aumenti salariali, e di diritti anche per i cosiddetti lavoratori sans papier. E (tra l'altro) ha già reagito alla proposta di Direttiva della Commissione europea su condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili. Questa proposta sostituisce la direttiva sulla dichiarazione scritta. Propone utili modalità anche per assicurare che le piattaforme on line siano responsabili in quanto datori di lavoro. Include modalità essenziali per porre fine a condizioni contrattuali ingiuste (presa in carica da parte dei lavoratori dei costi di formazione professionale ecc.). Agli stati chiede protezione per i delegati sindacali; e protezione dei lavoratori con contratto flessibile. Riconosce il ruolo della contrattazione collettiva. “Là dove la proposta di direttiva è debole – sottolinea la Ces - è la promessa di attaccare le peggiori forme di precarietà (..) A tal fine servono disposizioni più ferree se si vuole che i lavoratori abbiano una vera chance di ottenere la garanzia di un maggior numero di ore retribuite e un orario di lavoro meno fluttuante. Purtroppo la Commissione non ha presentato nessuna soluzione effettiva per far fronte agli abusi di flessibilità che consistono ad esempio nel promettere un giorno intero di lavoro a dei lavoratori, per poi rinviarli da loro senza pagarli dopo 1 o 2 ore di prestazione. I lavoratori indipendenti e freelance sono abbandonati a se stessi, e non hanno alcuna garanzia di applicazione del principio a lavoro uguale pari salario”.
Per contrastare il dumping salariale (oltre che sociale) - mentre viene rilanciata la proposta di introdurre un salario minimo legale anche in Italia (proposta non priva di rischi per il futuro della contrattazione collettiva) - c'è chi , da tempo, si interroga sull'opportunità di una salario minimo europeo. Eurostat certifica che nel luglio 2017, ben 22 dei 28 Stati dell'Unione europea avevano un salario minimo. Tra i sei Paesi che ne sono sprovvisti l’Italia è in compagnia di Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia. Nella Ue si va dal minimo dei 235 euro mensili della Bulgaria al massimo dei 1.999 euro del Lussemburgo. Eurostat suddivide i Paesi in tre gruppi. Bulgaria, Lituania, Romania Lettonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia e Polonia registrano un salario minimo nazionale inferiore ai 500 euro. Portogallo, Grecia, Malta, Slovenia e Spagna si collocano tra 500 e mille euro (Portogallo fanalino di coda con 650 euro e Spagna in testa con 826). Mentre Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio Irlanda e Lussemburgo sono tutti sopra i mille euro, con il record citato prima del Lussemburgo.
Circa l'orario di lavoro, attualmente il potente sindacato dei metalmeccanici tedeschi, Ig Metall sta chiedendo, oltre che un aumento contrattuale, anche una diminuzione dell'orario di lavoro a 28 ore settimanali, anche se solo su base volontaria (soglia innovativa, se si pensa alle famose 35 ore ormai acquisite, e al dibattito sul "lavorare meno lavorare tutti"). La prima puntata è già andata in onda il 4 gennaio 2018, quando si sono fermati i lavoratori della Porche nello stabilimento di Zuffenhausen. Personalmente, ho difeso il “lavorare meno lavorare tutti” anche nei miei ultimi due libri. E credo che – nel corso della rivoluzione 4.0 - il tema meriterebbe, oggi, molta più attenzione in tutti i Paesi Ue.
Resta intanto aperto il dibattito sul Pacchetto della Commissione europea sull'Unione economica e monetaria (che propone un passaggio dal Meccanismo di stabilità europeo a un Fondo monetario europeo, nuovi strumenti finanziari per una ulteriore stabilità della zona euro; la controversa proposta di integrare il Fiscal Compact nei Trattati o nella legislazione secondaria; la proposta di istituire un Ministro europeo delle finanze). E proseguono i negoziati sui cambiamenti climatici nel 2018 ( Cop 23 a Katowice). Il tutto in un contesto di prossime elezioni politiche in più Paesi membri dell'UE. I cittadini europei capiranno che c'è bisogno di più Europa (e non di meno Europa) ?
MIRARE A UNA VERA UEM (UNIONE ECONOMICA E MONETARIA) O A UN'UEMS (UNIONE ECONOMICA MONETARIA E SOCIALE) ?
Con l’affermarsi di economie emergenti, il mondo cambia. Per non parlare del terrorismo, dei numerosi conflitti che ci circondano e dei problemi di sicurezza e di difesa, della lotta ai cambiamenti climatici ecc.: tutti problemi che nessuno Stato può risolvere da solo.
In un momento, quindi, in cui i movimenti nazional-populisti si colorano sempre più di anti-europeismo (basti pensare all’esito del referendum inglese su brexit) non sarà forse inutile sottolineare che non c’è troppa Europa. Piuttosto, c’è troppo poca Europa.
Il progetto europeo andrebbe quindi completato, se non si vuole assistere a una sua graduale disgregazione. D’altra parte, è vero anche che l’Europa (UE) che c’è, non è perfetta, né tanto meno esente da eurosprechi. Ragion per cui trovo interessante il recente libro di Roberto Ippolito Eurosprechi (Chiarelettere), buon punto di partenza per ulteriori approfondimenti. Io stessa – da anni – sostengo che bisogna rivedere anche come sono spese le risorse Ue (per fognature senza sbocco?…) – per fare cosa, e come – e che non basta una correttezza formale dei conti. Bisogna prestare più attenzione a cosa si realizza.
Quanto al futuro dell’Europa – innanzitutto – c’è da riprendere a crescere, e se possibile, senza debiti. E ci sono problemi strutturali da risolvere, con misure – e infrastrutture – per energia, ambiente, trasporti (verdi), economia circolare, digitalizzazione, crowd e share economy, job / e imprese creation ecc. Servono quindi più investimenti, di quanto già previsto dal Piano Juncker di recente rafforzato. Ma, forse, c’è anche da rivedere il Fiscal compact - adottato con un Accordo intergovernativo - e altri Patti. E c’è da uscire da regole di bilancio troppo stringenti, se necessario anche con una sospensione temporanea delle regole.
In altri termini, di sicuro, c’è da tornare ai Trattati, al rispetto dei diritti umani, e ai veri valori del processo d’integrazione europea avviato dai padri fondatori. Inoltre, personalmente, concordo con chi ritiene che c’è da concentrarsi - lasciando la porta aperte a tutti i Paesi che vorranno aderirvi - innanzitutto sull’Europa dei 19 dell’Unione economica e monetaria (UEM), completando l’Unione economica e bancaria, e l’Europa fiscale e dei capitali. Sì, quindi, alla Cooperazione rafforzata – purché non diventi una cooperazione à la carte, e a macchia di leopardo: e purché sia intesa quale Nucleo aperto ad altre adesioni.
L’Unione economica e monetaria-UEM (attualmente cooperazione rafforzata tra 19 Paesi) va completata. E andrebbe – forse - trasformata in UEMS (Unione economia monetaria e sociale).
Agli altri paesi dell’UE a 28 (27 senza gli inglesi dopo Brexit) va invece chiesto il rispetto dei principi, dei valori, e delle regole dei trattati.
Non è possibile avere una moneta unica e 19 politiche di bilancio.
Unione fiscale significa anche regole comuni di bilancio, accordo sia sulle uscite (politiche di bilancio), sia sulle entrate (v. anche questione delle risorse proprie dell’Unione). Con una politica fiscale coordinata? O piuttosto – per evitare dumping fiscale – con un’armonizzazione dei livelli di imposizione, e delle basi imponibili? La recente proposta della Commissione Juncker di armonizzazione della base imponibile delle imprese – è un esile segnale nel giusto senso. E ricordiamoci anche che nel 2017 – come precisava il Rapporto Monti – nell’UE gli oneri fiscali sul lavoro “hanno rappresentato, in media aritmetica, il 46% delle entrate fiscali, contro il 9,8% delle imposte sul reddito delle società”.
In realtà, l’Unione europea è zoppa di una vera politica di bilancio-fiscale-economica comune, e di sociale. Il Trattato di Lisbona ha recepito il concetto di “economia sociale di mercato” (che ha il merito di enfatizzare il ruolo delle regole del gioco), ma nella realtà – sempre più spesso – non c’è rispetto delle regole, mancano vere regole sociali, e l’economia sociale di mercato è lontana dall’esser realtà.
Benché dovrebbe essere il sociale a dare un senso all’Unione economica e monetaria, il sociale è sempre stato una Cenerentola. Tuttavia, fermarsi alla moneta unica implica un triste destino. No – quindi – al dumping sociale, salariale, fiscale e ambientale: alimento dell’attuale ribellione, e disaffezione, dei popoli. Sì a una vera Unione europea – non solo economica monetaria e politica – ma anche sociale. I diritti fondamentali dovrebbero prevalere sulle libertà economiche.
Attualmente, la politica sociale rientra nelle competenze concorrenti. Il Trattato di Roma ha previsto una “armonizzazione” dei sistemi sociali. Successivamente, sono poi subentrati la strategia di Lisbona (e poi la strategia di Europa 2020 , almeno in parte erede della strategia di Lisbona) – quindi – il cosiddetto Metodo del coordinamento aperto (in un’ottica di convergenza dei sistemi) e la strategia dell’occupazione. Con l’Atto unico europeo (senza precludere progressioni verso l’alto) è nata la possibilità di norme europee – minime – per definire soglie comuni al di sotto delle quali non è possibile andare. E – di fatto la legislazione sociale europea ha finora determinato sia peggioramenti sia miglioramenti dell’esistente. Nel 1992 – con il Protocollo sulla Politica sociale allegato al Trattato – il Trattato di Maastricht ha rafforzato il dialogo sociale europeo. Il Trattato di Amsterdam ha poi incorporato il Protocollo sulla Politica sociale del Trattato di Maastricht; e ha introdotto un nuovo capitolo sull’occupazione. Il Trattato di Lisbona – dopo il rifiuto (olandese e francese) del progetto di Trattato costituzionale – ha poi attribuito alla Carta sociale europea, adottata nel 2000 a Nizza (e preceduta dalla Carta sociale dei diritti fondamentali dei lavoratori del 1989), lo stesso valore giuridico dei Trattati. Nell’ottica di una eventuale revisione dei Trattati – oggi – c’è chi rivendica (tra l’altro) un Protocollo di progresso sociale. A mio avviso, l’idea di un nuovo Protocollo sociale sarebbe stata di certo utile al momento della negoziazione del Trattato di Lisbona. Ma, forse, nell’attuale contesto, bisogna saper andar oltre questa richiesta: tutto quanto è sociale dovrà stare nei Trattati, dovrà essere parte integrante di un’UEM (unione economica e monetaria) che diventi un’UEMS (Unione economica monetaria e sociale). Intanto c'è - innanzitutto - da lavorare affinché il Pilastro europeo dei diritti sociali e la Carta dei diritti fondamentali diventino esigibili, e realtà concrete.
SI VA VERSO UNA REGOLAMENTAZIONE UNIFORME DI SOGLIE? - Con il Pilastro europeo di diritti sociali si sta passando da un’armonizzazione dei diritti nazionali (fondata su standard minimi, o massimi, e mutuo riconoscimento) a una regolamentazione uniforme delle soglie di tutela?
Una cosa è certa, merita debita attenzione (tra altri) l’art. 151 del Trattato sul funzionamento dell’Unione: l’articolo prevede una parificazione delle norme sociali nel progresso, quindi, una convergenza verso l’alto.
L’articolo 151 recita: “L’Unione e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione.
“A tal fine, l’Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell’economia dell’Unione. Essi ritengono che una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato interno, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dai trattati e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative “.
E non sarà inutile ricordare che – sulla base della definizione SESPROS-EUROSTAT – le prestazioni sociali includono: malattie e cure sanitarie, invalidità, vecchiaia, superstiti, famiglia e cura dei figli, disoccupazione, abitazione, e esclusione sociale.
In una sana logica di sussidiarietà, cosa fare a livello Ue?
A livello europeo – oggi – c’è già sul tappeto la proposta di Sistemi europei d’indennità di disoccupazione, in caso di choc. E’ una proposta sostenibile, e utile perché determina la rottura del principio tedesco di “No trasfert Union”. Ma attenzione a non tornare indietro, rispetto alla volontà politica (di questi ultimi decenni) di Politiche attive di lavoro (v. Agenda per la politica sociale (2000-2005), la rinnovata Agenda sociale del 2008 ecc.).
Nè sarà inutile ricordare anche che c'è chi (come l'ambasciatore Cangelosi) si è espresso a favore di una “Ceca” sociale.
QUALCHE ALTRA IDEA PER NON CONCLUDERE..
A - POTREBBE ESSERE UTILE IMMAGINARE UN ISTITUTO EUROPEO PER LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE? - Le politiche sociali rimangono ad oggi soprattutto di competenza nazionale. A livello europeo, più che una vera armonizzazione dei diversi Sistemi sociali nazionali – al fine di realizzare obiettivi comuni – si è andato affermando un Modello di convergenza di cui uno degli strumenti utilizzati è stato il Metodo aperto di coordinamento aperto (analisi comparate e ricerca delle migliori pratiche).
Intanto i sistemi pensionistici stanno diventando sempre più complessi e la loro gestione una questione sempre più europea. Ad oggi,in Europa, oltre che volontaria e integrativa (come ad esempio in Germania e Italia), la previdenza complementare può anche essere obbligatoria (Francia e Paesi bassi) o addirittura (a determinate condizioni e in modo reversibile) sostitutiva della previdenza pubblica (come nel RU). Per i lavoratori, la sfida è mantenere traccia di diversi schemi di diritti pensionistici cui hanno aderito durante tutta la loro carriera. Questa tracciabilità è importante, sia per le persone che hanno bisogno d sapere a che punto si trovano in termini di diritti accumulati in vista della pensione, sia per gli enti pensionistici erogatori che devono mantenere nota dei loro iscritti quando si spostano e cambiano indirizzo anche per periodi molto lunghi. In altri termini, la libertà di movimento necessita che le persone che attraversano le frontiere non perdano i loro diritti pensionistici.
Per le pensioni pubbliche – primo Pilastro della previdenza (pilastro a mio avviso da privilegiare) il Regolamento n.883/2004 ha lo scopo di assicurare alle persone che hanno lavorato in più di uno stato membro che i vari contributi non vadano persi al momento del godimento dei diritti pensionistici.
Ad oggi, la questione risulta (anche per carenza di legislazione) molto più complicata per i Fondi pensione.
C'è da darsi l'obiettivo di creare un Servizio europeo di rilevamento dei diritti pensionistici privati (come mi sembra proporre il recente Libro bianco della Commissione europea “Una strategia per pensioni adeguate sicure e sostenibili”)? O (come io propongo anche nel mio libro del 2014) ci sarebbe piuttosto da far nascere la Proposta di creare un unico Istituto europeo per la previdenza complementare? Un Istituto – di rilevamento e ricostruzione dei diritti pensionistici complementari - europeo, snello e da declinare nei singoli paesi membri dell'Ue.
B - Tutti i paesi emergenti cominciano a reagire allo sfruttamento. Ad esempio, l'aumento dei salari in Cina provoca richieste di aumenti analoghi in Bangladesh. E anche altre zone del pianeta sono in ebollizione, che si tratti delle condizioni di lavoro (60 ore la settimana), delle problematiche ambientali, del lavoro minorile, della saklute e sicurezza sul posto di lavoro ecc. In Messico per le miniere d'oro, in Cile per il rame, in Brasile per le auto, e poi Senegal, Paraguay, Colombia, Gabon Africa. Per un motivo o un altro, la protesta cresce.
Dopo la grande crisi (finanziaria economica e sociale) del 2009, l'esigenza di Regole è oramai tornata in scena. E non solo per la finanza! Ma quali Regole? E a favore di chi? In tutti i negoziati in corso ( UE-USA, UE-Cina, tra i paesi Asiatici) saranno abbastanza definite anche regole e clausole per tutelare tutti i diritti dell'uomo, e delle lavoratrici e lavoratori, la libertà di associazione, l'ambiente e i consumatori?
A tal fine, a mio avviso, potrebbe esser utile l'avvio - nel quadro del G 20 - di due nuove Task Force su:
a. Diritto del lavoro, Diritto a un salario equo e Diritto al lavoro dignitoso
b. Definizione di uno Spazio sociale (qui inteso - come nel mio libro del 2010 – quale insieme sinergico di Politiche, Diritti e Doveri, Pari opportunità, Dialogo sociale, Responsabilità sociale e Relazioni industriali) e dell'Equità (intesa anche in termini di redistribuzione dei redditi)
Ci vogliono un vero Sviluppo e dei veri Diritti (e non formule caritative) - anche a costo di una profonda razionalizzazione di tutto (soft e hard low) quanto esiste. Ad esempio, è pensabile mettere in cantiere (in una o più organizzazioni internazionali - o in a Task force che le coordini) l'elaborazione di un Codice del diritto del lavoro, globale? Da un eccesso di norme nascono rigetto, senso di asfissia, e mancato rispetto per dolo o per mera ignoranza.
A mio avviso, servono poche Regole – chiare e trasparenti – anche in questi campi. Servono anche Regole sociali, europee e globali. C'è una lacuna nell'Agenda dei 20 grandi della terra, e nella stessa Agenda per lo sviluppo dell'ONU?
Valori, etica, e rispetto dei Diritti umani e fondamentali – oggi più che mai – in Europa e nel resto del mondo devono ricomparire in scena da protagonisti.