Sono trascorsi due anni da quando il governo e il parlamento in Polonia hanno deciso di cancellare l’indipendenza della magistratura, mettere il bavaglio alla Suprema Corte e interrompere prematuramente il mandato del Consiglio Superiore della Magistratura adottando una raffica di leggi e di decisioni in un crescendo che si è – per ora – concluso con l’adozione di due leggi concernenti il potere giudiziario ora sottoposte alla firma del Presidente della Repubblica.
In più, il Parlamento polacco ha adottato il 15 settembre 2017 una legge che centralizza e sottopone al controllo del governo la distribuzione dei fondi alle organizzazioni della società civile.
Per due anni, il Consiglio ha assistito silenzioso alla progressiva evaporazione di un principio fondamentale dello “stato di diritto” in Polonia con una scandalosa complicità del Parlamento europeo, che si era già mostrato molto reticente nei confronti delle persistenti violazioni dei diritti fondamentali in Ungheria e che si è svegliato dal suo torpore solo il 15 novembre 2017.
Per due anni la Commissione ha tiepidamente dialogato con il governo polacco usando la nota e inefficace minaccia del penultimatum. Le tappe del dialogo fra Bruxelles e Varsavia sono illuminanti.
1. Le prime decisioni delle autorità polacche contro la magistratura risalgono alla fine del 2015 ma la Commissione ha atteso sette mesi (27 luglio 2016) prima di mandare a Varsavia una prima raccomandazione chiedendo al governo polacco di agire “as a matter of urgency” (primo penultimatum)
2. Avendo la Polonia ignorato il primo avvertimento di Bruxelles, la Commissione ha inviato dopo cinque mesi (21 dicembre 2016) una seconda raccomandazione intimando a Varsavia di agire entro due mesi (secondo penultimatum).
3. Trascorsi inutilmente sette mesi, la Commissione ha inviato a Varsavia una terza raccomandazione il 26 luglio 2017 con un’intimazione ad agire entro un mese (terzo penultimatum).
4. Nel frattempo si sono moltiplicate le denunce del Consiglio d’Europa, della Commissione di Venezia, dell’OSCE, delle Nazioni Unite e di numerose organizzazioni non governative.
5. Il terzo penultimatum è trascorso invano e, come abbiamo detto più sopra, Camera e Senato polacchi hanno adottato l’8 dicembre le due leggi che cancellano l’indipendenza della magistratura.
A questo punto la Commissione, avendo messo in mora per ben tre volte il governo polacco, avrebbe potuto usare l’arma dell’art. 258 TFUE e trascinare la Polonia di fronte alla Corte di Giustizia di Lussemburgo senza doversi sottomettere alle forche caudine delle maggioranze elevatissime nel Consiglio e nel PE e al voto all’unanimità del Consiglio europeo.
Essa ha preferito invece abbaiare alla luna annunciando con gran fracasso l’uso dell’art. 7 TUE che prevede un tortuoso labirinto solo alla fine del quale sarebbe possibile sospendere i diritti di voto di uno Stato in cui fosse stata constatata la violazione grave e persistente dei valori dell’Unione fra cui lo “stato di diritto”.
Secondo la procedura iscritta nell’art. 7 TUE (molto più complicata di quella immaginata nell’art. 44 del Progetto Spinelli del 1984 che affidava alla Corte il potere di constatare la violazione e al Consiglio europeo a maggioranza semplice con l’accordo del PE la decisione sulla sospensione della partecipazione dello Stato “inadempiente”):
- Il Consiglio deve constatare a maggioranza superqualificata l’esistenza di un rischio grave di violazione dei valori dell’Unione dopo aver ascoltato lo Stato in questione e aver ottenuto l’approvazione del PE a maggioranza qualificata. In questo caso può indirizzargli - ancora una volta a maggioranza superqualificata – delle raccomandazioni.
- Se, dopo una verifica “regolare”, lo Stato in questione non si conformasse alle raccomandazioni del Consiglio, il Consiglio europeo – su proposta di un terzo degli Stati membri (9) o della Commissione e con l’approvazione del PE a maggioranza qualificata – può constatare all’unanimità l’esistenza di una violazione grave e persistente chiedendo al Consiglio di decidere a maggioranza superqualificata di sospendere taluni diritti che derivano dall’applicazione dei trattati.
Il governo ungherese ha già annunciato il suo veto e una posizione simile è prevedibile da parte di tutti i paesi che appartengono ormai all’area di un inedito e novello “impero” austro-ungarico: Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Bulgaria dove sono al potere partiti populisti e euroscettici.
Pensando ai due anni trascorsi dall’inizio delle prime violazioni polacche allo stato di diritto è facile immaginare che trascorrerà inutilmente tutto il 2018 sotto le presidenze dei governi bulgaro e austriaco prima che venga affidata al governo rumeno nella primavera del 2019 la patata bollente della questione polacca.
E’ venuto il momento di una forte ed europea mobilitazione della società civile che manifesti la sua indignazione da Varsavia a Budapest, da Vienna a Bratislava, da Praga a Sofia per evitare che le metastasi della democrazia “illiberale” (come è stata definita dal premier ungherese Orban) si diffondano in tutta Europa.