Premessa - La migrazione è una questione complessa e con molte sfaccettature che devono essere soppesate insieme. E non riguarda solo l'Europa. I paesi del Medio Oriente, in particolare Turchia, Giordania e Libano, sono maggiormente interessati dalla questione relativa ai rifugiati (in particolare, siriani, iracheni, palestinesi). In Nord-Africa, invece, la questione più pressante (oltre a quella dei rimpatri e delle riammissioni) è quella dell'immigrazione irregolare e della gestione dei flussi migratori in uscita verso i paesi europei.
Paesi come il Marocco – rilevano studi recenti - sono diventati sempre più Paesi non solo di transito ma anche di destinazione, mentre la Libia (in preda a un conflitto civile che dura da anni) è oramai vista come un Paese di solo transito verso l'Europa, per l'impossibilità di trovarvi un futuro, e allo stesso tempo, per l'instaurazione di vere e proprie reti di traffici di migranti. Da parte sua, l'Unione europea si è trovata nuovamente a confrontarsi con il tema dell’immigrazione, in particolare, con due ondate, in concomitanza dello scoppio delle cosiddette Primavere arabe a partire dal 2011 e, successivamente nell’estate del 2015, quando il numero di migranti richiedenti asilo nei Paesi dell’UE (molti dei quali in fuga dalla violenza in Siria, in Iraq e in Afghanistan) raggiunse più di un milione (1.300.000). Attualmente, dopo una pausa durante il picco europeo della pandemia - principalmente dalla Libia - fragili imbarcazioni tentano di raggiungere le coste europee.
Dopo il salvataggio in mare, i governi europei litigano su chi ha la responsabilità e dove farli sbarcare. E’evidente che una svolta è necessaria ed urgente. Il che -qualora ce ne fosse stato bisogno - è stato dimostrato anche dallo spaventoso incendio del 9 settembre del campo Moria (che ospitava più di 12 000 persone invece delle previste 3 000) nell'isola di Lesbo in Grecia; e dalle tensioni tra Grecia e Turchia nel Mediterraneo orientale e i timori ad esse connessi di possibili ricatti turchi di carattere migratorio. Serve una vera politica europea migratoria e d’asilo.
Ma, nell'Unione europea - pur essendo essenziali (almeno per alcuni settori economici che dalla primavera si sono trovati sprovvisti di decine di migliaia di lavoratori stagionali) – ancor più in era Covid-19, le migrazioni sono preda di narrazioni populiste, e xenofobe. E oramai, in Europa, Erdogan non è più il solo a difendere la politica delle frontiere in Europa. Ora la Commissione – presentando la proposta di un nuovo Patto europeo su migrazione e asilo – ha di certo il merito di tentare di rilanciare il dibattito, e di uscire da un'impasse. Ma cosa propone? Cosa ha preceduto queste sue proposte? E che reazioni sta suscitando?
1. Il post- Trattato di Lisbona - Il Trattato modificativo di Lisbona - abolito il terzo pilastro - ha creato lo Spazio di Libertà Giustizia e Sicurezza (Titolo V del TFUE artt. 67-89) che ricomprende le politiche in materia di controlli alle frontiere, asilo e immigrazione, cooperazione giudiziaria in materia civile e penale, cooperazione di polizia, ed ha esteso la procedura legislativa ordinaria. Ma che si tratti di visti, asilo, immigrazione, controllo delle frontiere, il livello di armonizzazione europea degli ordinamenti interni resta tuttora insoddisfacente, e nella normativa - e nella sua attuazione - permangono criticità. Il quadro giuridico della politica di immigrazione legale, ovvero relativa ai canali di ingresso (lavoro, ricongiungimento familiare, studio ecc.) non legati alla ricerca di protezione, resta frammentario. E, tuttora, sul tema dell'ingresso per lavoro restano forti le resistenze degli Stati.
Nel luglio 2013 è entrato in vigore il Regolamento di Dublino (Regolamento 2013/604/CE) che insieme a EURODAC (che istituisce una banca dati a livello europeo delle impronte digitali per chi intende presentare richiesta di asilo e per chi entra irregolarmente nel territorio dell’UE) costituisce ad oggi il c.d. sistema di Dublino. Questo regolamento (che aggiorna il regolamento di Dublino II) si basa sullo stesso principio dei due precedenti Regolamenti: lo Stato membro competente per la domanda di asilo è lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nel territorio dell'Unione europea. Inoltre, se una persona attraversa illegalmente le frontiere verso un altro Paese, deve essere riconsegnato al primo Stato. Di fatto già superato, questo Regolamento è inefficiente ed ingiusto verso i Paesi di frontiera, in particolare, Italia Grecia Spagna Malta. Ed ha prodotto effetti perversi: Campi di accoglienza disumani, tempi di esame lunghi, naufragi e morti nel Mediterraneo, il recente caso Moria in Grecia, timori di pressioni e ricatti di carattere migratorio ecc. A riformarlo, ci hanno già provato – inutilmente - il Parlamento europeo e la Commissione, poi frenati dal Consiglio, e cioè, dai governi degli Stati membri dell’UE. Le proposte di revisione del sistema di Dublino, di una re-distribuzione da attuarsi in caso di notevoli afflussi (nella proposta della Commissione) e in maniera ordinaria (proposta dal Parlamento europeo), si sono arenate, nello stallo dei negoziati protrattisi senza successo fino al termine del mandato (2019) del Parlamento europeo uscente, cui è poi subentrato, nel 2019, il nuovo PE in carica nel momento in cui si scrive.
Su spinta combinata di eventi, crisi, nativismi - nazional-populismi di destra - e fenomeni xenofobi risorti in diversi Stati membri, da anni si assiste a un arretramento rispetto allo spirito del primo programma di Tempere (2009) che inaugurava un approccio integrato al fenomeno dell’immigrazione, basato sul partenariato con i Paesi di origine volto
“combattere la povertà, migliorare le condizioni di vita e le opportunità di lavoro, prevenire i conflitti e stabilizzare gli Stati democratici, garantendo il rispetto dei diritti umani, in particolare quelli delle minoranze, delle donne e dei bambini”.
L'attenzione è passata dall’equo trattamento dei cittadini di Paesi terzi e dal riconoscimento agli stessi di diritti analoghi a quelli dei cittadini europei, al tema della criminalità e della sicurezza, diventato leit-motiv della politica di immigrazione, con ricadute significative nella definizione dello status giuridico dei cittadini di Paesi terzi e delle garanzie loro riconosciute. Per il contenimento dell’immigrazione irregolare è stata tra l'altro adottata la controversa Direttiva. 2008/115/UE c.d. “rimpatri”. Il Programma pluriennale di Ypres (2015-2020) ribadisce, da una parte, la volontà di portare avanti la politica di asilo, e d’altra parte, la gestione efficace delle frontiere e la lotta all’immigrazione irregolare.
Dal 2015, la politica di fatto dell'Unione europea sulla migrazione è unanimemente considerata quella di “fortezza Europa”.
Un vero punto di svolta lo si è avuto con l'Agenda europea sull’immigrazione (2015) adottata per affrontare la “crisi dei rifugiati” o “crisi migratoria”. L’Agenda dà un ruolo di primo piano alla Cooperazione (successivamente sono stati individuati dei Paesi terzi -Turchia e Libia per primi- come “partner privilegiati” da coinvolgere, in cambio di finanziamenti assistenza tecnica e liberalizzazione dei visti, per prevenire partenze verso l’Europa tramite controlli di frontiera, la creazione in loco di Centri di accoglienza/detenzione per i richiedenti asilo, e altre azioni).
Altre azioni riguardano la lotta alla tratta degli esseri umani, il rafforzamento delle operazioni di ricerca e soccorso una più efficiente gestione delle frontiere esterne, ricollocazione e reinsediamento per quote, il rimpatrio degli irregolari, la revisione del Sistema comune di asilo (per procedure, accoglienza, qualifiche), e l’avvio di una politica europea in materia di migrazione destinata ai lavoratori altamente qualificati. I tentativi di redistribuzione - concretizzatisi in particolare, con il meccanismo di ricollocamento attuato tra il 2015 e il 2017 – si sono poi scontrati, in particolare, con l’ostruzionismo di alcuni dei Paesi del gruppo di Visegrad, in particolare Polonia, Ungheria e Repubblica ceca, condannate per inadempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell’UE.
Al Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018 - su spinta di sovranisti e Paesi dell’Est - nonostante il grosso lavoro fino ad allora fatto per un Sistema di quote ripartite, sono stati previsti ricollocamenti (dei rifugiati) solo volontari; e, nei Paesi di primo ingresso - per bloccare sul loro territorio nazionale i migranti che arrivano in Europa - “Centri sorvegliati/controllati” in cui rinchiuderli. Successivamente, il 23 settembre 2019, a Malta, in presenza della Commissione europea, c'è stato un Vertice tra cinque Paesi membri: Italia e Grecia (Stati di frontiera più direttamente interessati dai flussi) e anche Francia, Germania e Finlandia (che allora esercitava la presidenza del Consiglio dell’Unione europea). Vi è stato deciso un meccanismo inteso a consentire il ricollocamento in altri Paesi europei di una parte dei richiedenti asilo soccorsi in mare. Alla luce della specificità delle frontiere marittime, i cinque paesi hanno chiesto: ( a ) ricollocazione obbligatoria tra tutti gli Stati membri dei migranti che sbarcano sulle coste meridionali dell’Unione, a seguito di operazioni di salvataggio compiute nelle varie aree di ricerca e salvataggio (SAR) ( b ) l’adozione di un Sistema comune europeo per i rimpatri ( c ) il superamento del criterio della responsabilità del Paese di primo ingresso stabilito dal Regolamento di Dublino. Per i cinque paesi Med, un futuro Regolamento dovrà prevedere un meccanismo “prestabilito, obbligatorio e automatico” basato su una ridistribuzione ‘pro quota’ tra gli Stati membri.
Da tempo, nell’Unione europea è emersa – quindi - una certa unità di visione in merito al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne e al contrasto dell’immigrazione irregolare. Ora, il nuovo Patto europeo (dalla Commissione presentato il 23 settembre 2020) sembra focalizzare il dibattito sull'asilo (cioè richiesta di protezione), sulla distinzione tra immigrati regolari e immigrati irregolari (da rimpatriare) e sulla necessità di far fronte alla questione dell’immigrazione dall’Africa per alleggerire gli oneri che spettano ai Paesi di primo ingresso (quali Italia Spagna Grecia e Malta). Ma c'è anche chi si chiede se è accettabile una discriminazione, tra rifugiati e migranti economici, cioè, tra chi fugge da guerre e persecuzioni, e chi (aspirando a lavoro e migliori condizioni di vita) fugge da sfruttamento, miseria e fame,
E c’è chi - come la Rete sindacale delle migrazioni mediterranee e sub-sahariane (RSMMS) che raggruppa 30 organizzazioni sindacali di 16 Paesi europei e africani – ha fatto delle Raccomandazioni in vista di un futuro Patto europeo su migrazione ed asilo, dopo essersi interrogata su come creare Canali legali - per soddisfare le esigenze di lavoro in Europa – ma anche per evitare conflitti e rivalità tra lavoratori migranti e quelli nazionali, per politiche eque di assunzione e sviluppo delle competenze, e per regolarizzare i lavoratori senza documenti; sul ruolo delle comunità locali per politiche locali di reale inclusione socio-economica di migranti e dei rifugiati; su misure alternative alla detenzione di migranti irregolari e dei richiedenti asilo; sul monitoraggio e l’applicazione delle norme sul lavoro (ivi incluso adeguarti standard di salute e sicurezza) per tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status, dal Paese di origine e dal settore in cui operano; sulla riforma del Regolamento di Dublino, necessaria per un Sistema comune europeo di asilo “obbligatorio” (in merito la RSMMS appoggia la proposta di riforma del Parlamento europeo del 2017 che dà la possibilità di scegliere il luogo di asilo, promuovendo il ricongiungimento familiare e tendendo conto di una distribuzione equa e solidale dei rifugiati tra i paesi membri); sull’opportunità, nel quadro della libera circolazione, di una revisione del Codice dei visti Schengen (che consente solo soggiorni turistici, senza armonizzare l’ingresso per motivi di residenza e/o lavoro nei paesi dell’UE), ecc.
Ciò detto, cosa propone la Commissione?
3. Il “nuovo” Patto della Commissione – Premetto che il Patto, dalla Commissione europea a guida vond der Leyen, presentato il 23 settembre 2020, dovrà ora “essere negoziato tra gli Stati membri e il Parlamento europeo.
Sarà un negoziato molto duro. Come si è visto, è dal 2016 che si negozia un Accordo sulla gestione dell’immigrazione, senza risultati. C'è chi chiede più solidarietà. E c'è chi vuole solo la chiusura delle frontiere. A differenza dei Paesi in prima linea, quali Italia Spagna Grecia e Malta che chiedono una ridistribuzione, i Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria), i Baltici e l’Austria (come da loro già ribadito anche il 23-24 settembre 2020) sono contrari ai ricollocamenti e ridistribuzioni (con quote) obbligatori - per i migranti economici - e, almeno oer i momento, anche a contribuire a rimpatri o altro. Le posizioni dei 27 restano ancora distanti. E la solidarietà europea è sempre molto difficile in questo campo. Ma, cosa propone la Commissione europea?
Il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo (che non ha molto di nuovo) lancia un messaggio importante: quando una persona sbarca in Italia o in Grecia sbarca nell’Unione europea, dunque, ci deve essere un approccio europeo, e solidarietà automatica per i salvataggi in mare. Ma non supera del tutto il sistema di Dublino. E, tranne poche eccezioni, resta il principio della responsabilità del primo Paese in cui un migrante arriva. Il nuovo Patto non prevede più ricollocamenti obbligatori di migranti, secondo il principio ‘sharing the burden'. Punta a coinvolgere i paesi dell’Europa centrale unendo il tema dei migranti a quello della protezione delle frontiere esterne. Salvare le vite in mare non è un “optional”. E l'Europa non intende derogare ai suoi valori, ma chi non ha diritto andrà rimpatriato: per sconfiggere l’immigrazione illegale, secondo la Commissione europea, è fondamentale concentrarsi su rimpatri e su Accordi con i Paesi di origine e di transito. Per la Presidente della Commissione europea von der Leyen:
“C’è necessità di un nuovo bilanciamento tra responsabilità e solidarietà. Non si tratta più se aiutarsi a vicenda, ma di come farlo. L’Europa deve abbandonare le soluzioni ad hoc per mettere in atto un Sistema di gestione delle migrazioni prevedibile e affidabile”.
Nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione la presidente von der Leyen si è anche impegnata affinché la Commissione europea presenti una “legge Magnitsky” europea, esortando gli Stati membri ad adottare il voto a maggioranza qualificata sulle relazioni esterne “almeno per quanto riguarda l’applicazione delle sanzioni relative ai diritti umani”. A breve la Commissione adotterà anche un nuovo Piano d'azione globale sull'integrazione ed inclusione per il periodo 2021-2024. Intanto il 18 settembre 2020 ha proposto un Piano di azione dell’Unione europea contro il razzismo 2020-2025, che tra altro prevede il reclutamento di un Coordinatore europeo per la lotta al razzismo.
Per Margaritis Schinas, il nuovo Patto europeo è paragonabile a un edificio di tre piani. Al Primo piano, c’è la dimensione esterna, cioè collaborazione con Paesi esterni all’UE basata su un partenariato “win-win” per entrambi, e Accordi con i Paesi di origine e di transito. La finalità è aiutarli ad aiutare le persone nei loro Paesi di origine. Al Secondo piano della casa, ci sarà un solido sistema di screening (selezione) alla frontiera esterna con una nuova guardia di frontiera e costiera europea, con molto più personale, imbarcazioni e strumentazione. Tutte le procedure di identificazione saranno rafforzate per orientare le persone attraverso il percorso che devono affrontare. Questo per evitare la confusione dell’attuale sistema o meglio ‘non sistema’ che ci governa. Al piano superiore, ci sarà un “meccanismo rigoroso ma giusto di solidarietà che, per i profughi arrivati in Europa, prevede un sistema di “ritorni sponsorizzati”. I Paesi che rifiutano di accogliere, si facciano carico del ritorno in patria di coloro che non possono restare, o di supporto attivo: propone la Commissione. Il paese in cui un migrante entrerà per la prima volta nell'UE riceverà rassicurazioni sul fatto che sarà “alleviato dallo stesso numero di persone” di cui aveva diritto in base al programma di ricollocazione.
Per Ylva Johansson, Commissaria europea per gli Affari interni:
"Abbiamo bisogno d'immigrazione però dobbiamo gestirla bene. Come? Riducendo i migranti irregolari e al tempo stesso creando canali per un'immigrazione legale, di lavoratori o di rifugiati. Questa serie di proposte definirà procedure di frontiera chiare, eque e più rapide, in modo che le persone non debbano rimanere nel limbo. Ciò significa una cooperazione rafforzata con i Paesi terzi per garantire rimpatri rapidi, più percorsi legali e azioni forti per combattere i trafficanti di esseri umani. Tutto questo fondamentalmente tutela il diritto di chiedere asilo. Quello che proponiamo oggi creerà le basi per una politica migratoria a lungo termine in grado di tradurre i valori europei in una gestione pratica...Non ci saranno quote obbligatorie per la redistribuzione dei richiedenti asilo. Ma focalizzarsi solo sulla loro ripartizione è sbagliato. Circa due terzi di chi presenta la domanda di protezione internazionale in Europa non ne ha diritto, per questo c’è l’esigenza di concentrarsi sui rimpatri. Così aiuteremo Paesi come Malta e Italia... Perché si è rinunciato alla redistribuzione obbligatoria? Perché bisogna rispettare anche i Paesi che sono contrari. Inoltre si dibatte pure della discutibile tesi, secondo cui la redistribuzione sarebbe un fattore di attrazione”.
“Attualmente – ha precisato la Commissaria Johansson – l’UE ha accordi di riammissione con 24 Paesi, alcuni funzionano, altri meno. Rafforzeremo i negoziati su questo, ma intendo anche usare per la prima volta la normativa entrata in vigore a febbraio sui visti: preparare Relazioni annuali per i Paesi terzi in cui sarà valutato il livello di cooperazione sulle riammissioni. Questo potrà avere effetti sulla politica dei visti dell’Unione europea verso quei paesi”. La Commissione nominerà un “Coordinatore per i rimpatri” che fornirà un sostegno tecnico agli Stati membri e creerà un Network di rappresentanti degli stati membri sui rimpatri per garantire coerenza in tutta l'UE. Sarà anche creato un database comune per l’asilo ed è previsto un Sistema di identificazione rapido. Un ruolo centrale sarà ricoperto dal corpo permanente della Guardia di frontiera e costiera europea - il cui impiego è previsto a partire dal 1º gennaio 2021 – che fornirà un maggiore sostegno ovunque necessario. FRONTEX- l’agenzia per il controllo delle frontiere verrà rafforzata anche con mezzi aerei e navali, e dl 2021 interverrà a sostegno degli Stati di confine.
Cosa succederebbe con le nuove regole quando un migrante arriva in territorio UE? “Innanzitutto – chiarisce Johansson - ci sarà una procedura standard per un primo screening (selezione) che dovrà concludersi entro 5 giorni. E questa sarà responsabilità dello Stato in cui il migrante arriva”. La verifica di pre-ingresso dei migranti serve a identificare le persone che attraversano in modo illegale le frontiere dell’Ue.
A questo punto, parte poi la procedura al confine, di richiesta d’asilo (non per i migranti fragili) o di rimpatrio. “Ci sarà una procedura accelerata se il soggetto rientra in determinate categorie, per esempio, nazionalità con un basso tasso di riconoscimento del diritto di asilo: in questo caso entro 12 settimane il Paese dovrà decidere asilo o rimpatrio”. Per il migrante che entra illegalmente nell’UE ci saranno quindi due strade: un iter standard per la richiesta di asilo, o una “procedura di frontiera” veloce per i migranti che hanno livelli bassi di concessione dell’asilo (come ad esempio marocchini o tunisini).
La “procedura di frontier”a al confine” (in 12 settimane) salvaguarda il diritto alla richiesta di asilo, ma in caso di risposta negativa accelera i tempi di rimpatrio. Durante queste procedure, la Commissione non propone la detenzione dei migranti, ma neanche la proibisce: “dipende dalle leggi nazionali.
Su come partecipare, gli Stati potranno scegliere tra opzioni flessibili, e cioè:
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sponsorizzazione dei rimpatri - La decisione sul rimpatrio deve arrivare in 12 settimane. Con “i rimpatri sponsorizzati – spiega la Commissione europea - gli Stati dovranno rimpatriare entro otto mesi una quota di migranti dal Paese di primo ingresso. Se entro otto mesi non saranno effettuati tutti i rimpatri, lo Stato sponsor dovrà accogliere sul suo territorio quanti restano da allontanare”
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ricollocamento su base volontaria
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supporto operativo immediato
Il meccanismo di solidarietà scatterà in modo automatico per i migranti che vengono salvati in mare: ricollocamenti volontari fino al 70% e un sistema correttivo se non vi saranno le adesioni necessarie da parte degli Stati partner.
Verranno creati preventivamente gruppi di Paesi disposti ad accogliere i richiedenti asilo, in modo da avere un sistema stabile, senza dover decidere di volta in volta. Il peso per i Paesi Mediterranei viene un po' alleggerito anche tramite altre norme: ad esempio se un migrante ha già un parente in un altro Paese Ue o vi ha già studiato o lavorato, quel Paese sarà responsabile anche per il nuovo arrivato. Resta il principio del Regolamento di Dublino in base al quale la responsabilità del trattamento della domanda d’asilo rimane in carico al Paese di primo arrivo, ma - per facilitare i ricongiungimenti familiari - viene estesa la definizione di «familiare» per includere i fratelli, le sorelle, e le famiglie formate durante il viaggio, e il Paese che ha concesso il visto ai familiari sarà responsabile della pratica di asilo. Non viene, quindi, risolto il problema principale per l’Italia rappresentato dai migranti economici che entrano illegalmente nel Paese e che sono la maggioranza degli irregolari. Circa le ong (organizzazioni non governative) la Commissione ritiene - e raccomanda - che “le ong impegnate sul fronte umanitario non potranno essere criminalizzate. E propone anche un meccanismo di cooperazione tra di loro e gli Stati, coordinato dalla Commissione.
3. Alcune reazioni al nuovo Patto – Il premier Conte vuole essere positivo: “E' un passo importante verso una politica migratoria davvero europea”. Ma lui stesso sottolinea che serve certezza sui rimpatri e sulla redistribuzione”. C'è il rischio che gli Stati scelgano di farsi carico solo dei rimpatri, e non della redistribuzione. Per Enzo Amendola, Ministro agli affari europei, si fanno passi in avanti soprattutto perché si riconosce un meccanismo di solidarietà - obbligatoria per i soccorsi in mare - per alcuni Paesi indigesta anche se declinata in più forme. Sulle pagine del quotidiano la Repubblica (29 settembre 202) il ministro Amendola sottolinea:
“Alla presidenza tedesca mandiamo questo messaggio: “Un accordo serio sull'immigrazione chiuderebbe 10 anni di debolezze europee. In pochi mesi metteremmo in soffitta l'austerity e la mancanza di solidarietà sui migranti che sono stati la causa del populismo e di molti problemi di politica interna. Ovvio che sarà un Accordo complicato. La bozza della Commissione comunque è importante perché apre finalmente un negoziato, anche se c'è ancora molto lavoro da fare. Su alcune cose siamo contenti, il meccanismo di Malta che abbiamo messo in moto l'anno scorso in questa bozza diventa obbligatorio - parlo della solidarietà per i salvataggi in mare. Ma la politica di entrata e uscita, di gestione dei confini, cioè di entrate legali e rimpatri, è ancora troppo poco delineata. L'opzione della sponsorizzazione va approfondita. Angela Merkel dal 2015 ha assunto un ruolo positivo e importante sul tema. Ma ci vuole uno sforzo in più. Quali sono le linee rosse dell'Italia? Dublino non esiste più nei fatti. E i flussi non provengono mica tutti dal Nordafrica. Giungono anche via Balcani dall'Asia, che esprimerà in futuro il 57% della popolazione globale. Nessuno può sentirsi estraneo a questa vicenda storica. Dobbiamo elaborare un sistema condiviso di rimpatri ma anche corridoi di entrata che siano regolati in modo comune. La proposta della Commissione è un inizio, ma ovviamente per noi è insufficiente rispetto alla realtà che stiamo vivendo”.
Da parte sua, Luciana Lamorgese Ministra degli interni precisa:
“Anche se ci sono elementi di discontinuità, non c’è quel netto superamento del sistema di Dublino da noi auspicato. L'Italia continuerà a chiedere il completo superamento dell'attuale sistema che ruota attorno alla responsabilità dello Stato di primo ingresso”.
Pietro Bartolo, eurodeputato per 30 anni medico a Lampedusa, boccia la proposta: “Così è inaccettabile. Sono deluso, amareggiato da quanto ho sentito. Quando Von der Leyen ha detto che avrebbe abolito il Regolamento di Dublino mi aspettavo che sarebbero finalmente cominciati i ricollocamenti obbligatori, invece la solidarietà di cui si parla non è verso i migranti, bensì verso gli Stati membri”. “Dovremo batterci in Parlamento affinché i ricollocamenti siano obbligatori” sostiene anche l’europarlamentare Pierfrancesco Majorino (Pd). Per Oxfam il piano Ue “è un passo falso nella direzione sbagliata”.
In risposta al Patto presentato dalla Commissione europea, da parte sua, il Segretario confederale della Confederazione europea dei sindacati, Ludovic Voet ha precisato:
“I sindacati conoscono il significato della solidarietà e ciò che si è presentato non lo è. La fortezza Europa sembra più forte che mai. La proposta della Commissione allontana l'UE da un approccio a migrazione e asilo basato sulla solidarietà e sui diritti umani, e l'avvicina a un sistema che privilegia il ritorno delle persone vulnerabili nella povertà e in zone di conflitto il più rapidamente possibile, con l’obiettivo di placare i populisti. Questo Patto verte sulla gestione dei rapporti tra Stati membri, e non sui bisogni dei migranti - il che avrebbe dovuto essere il punto di partenza dell’UE. L’Unione europea ha un obbligo di solidarietà verso i migranti, e frontiere più forti e rimpatri non possono essere imballati in belli discorsi come della solidarietà. Quello di cui i lavoratori in Europa hanno bisogno, è l’azione per migrazione di lavoro per via legale, per evitare lo sfruttamento dei migranti - da parte di datori di lavoro senza vergogna - che crea competizione sleale con i lavoratori locali. Le strade proposte mirano ad attirare i talenti – non si tratta di un approccio fondato sui diritti, ma di una fuga di cervelli, organizzata. Nel momento dell’incendio e del quinto anniversario della morte di Alan Kurdi, L’UE avrebbe dovuto introdurre dell’umanità di fondo nel suo approccio alla migrazione. Ha fallito”.
Da parte sua, Le Monde ha titolato:“Europe et migrants: la nécessité d’un compromis”: “Niente è più pericoloso per la pace sociale e la democrazia del veleno lento della xenofobia da anni instillato dallo spettacolo prolungato della cacofonia europea”. El Pais ha titolato: “El Pacto migratorio europeo ignora las pretensiones de Espana”. Madrid chiede una "solidarietà obbligatoria" basata sul ricollocamento delle persone. L'aiuto degli altri Paesi per rimpatriare i migranti non rappresenta un grande cambiamento. La Spagna ha più di trenta accordi in materia di migrazione e riammissione con Paesi terzi e mantiene rapporti privilegiati con i Paesi di origine delle principali nazionalità dei migranti (soprattutto Marocco e Algeria) che arrivano sul suo territorio. Inoltre, dal 2006, le autorità spagnole incoraggiano le Politiche di cooperazione. La solidarietà più vincolante - attivata su richiesta del Paese interessato da sbarchi di naufraghi – è stata pensata a favore di Malta e dell'Italia, paesi restii ad accettare lo sbarco delle navi di soccorso delle ONG. Non tiene conto del fatto che la Spagna è impegnata ad offrire un servizio pubblico di soccorso marittimo. Inoltre, la Spagna non condivide il modello proposto da Bruxelles volto a fare una selezione rapida dei nuovi arrivati, e separarli tra immigranti economici (che sono espellibili) e potenziali rifugiati. E non apprezza la procedura rapida alla frontiera per espellere nel più breve tempo possibile coloro che non hanno il diritto a restare nel territorio europeo. La Spagna ha sostenuto negli ultimi mesi che l'asilo è un diritto che deve essere esercitato su base volontaria e non con la forza. E ha mostrato preoccupazione per un modello che, prevedibilmente, richiederà la reclusione degli immigrati, e difficilmente potrà inserirsi nel quadro giuridico attuale della Spagna”.
E i paesi Visegrad? Come stanno reagendo al nuovo vecchio pacchetto? Nel corso degli ultimi cinque anni, l’Ungheria ha costruito una recinzione di confine, ed ha aumentato le pattuglie di confine. Polizia e guardie di frontiera sono lì. Se migranti illegali tentano di attraversarlo, parte una vera spaventosa caccia all’uomo: è testimoniato da alcuni film abbastanza impressionanti. E ora? “Le persone nei campi di Moria, le persone sulle barche nel Mar Mediterraneo, le persone che pagano tutto quello che hanno ai trafficanti di esseri umani per cercare di venire in Europa – sottolinea, a Euronews, l’europarlamentare Balsz Hldveghi (Mep popolari ungheresi) - sono vittime. ...E hanno la nostra simpatia. Ma sbagliano a credere che una volta entrati in qualche modo nel territorio dell’UE potranno rimanervi tutto il tempo che vogliono (come accaduto negli ultimi anni). L’Europa non è in grado di accogliere il mondo intero qui, nell’UE. È contro la volontà del popolo europeo. E la migrazione è qualcosa che alla fine deve rimanere competenza degli Stati membri”. L’Ungheria è contraria all’accettazione dei rifugiati? “Ovviamente no – sottolinea Balsz Hldveghi - Quelle persone che hanno diritto allo status di rifugiato, hanno ottenuto lo status di rifugiato anche in Ungheria. Non è un dibattito. Il dibattito riguarda davvero la migrazione economica illegale di massa. Non è accettabile. Tutto questo deve essere fermato”. Per Orban, una svolta potrebbe essere quella di una forma di “hotspots” all'esterno dell'Unione europea per gestire i richiedenti asilo, “in modo che nessuno possa mettere piedi sul territorio dell'Unione europea senza avere il permesso di farlo affinché la loro richiesta di asilo non sarà accolta”. E i quattro Paesi del gruppo Visegrad, (Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria) - sottolinea il primo ministro polacco Morawiecki - hanno una “posizione molto unita” in materia di migrazione”.
Sarà oramai chiaro, che sarà un Accordo difficile da raggiungere. Serve certezza sui rimpatri e sulla redistribuzione. Inoltre, la strategia di esternalizzazione della gestione dei migranti non è esente da: rischi di priorità diverse tra UE e Paesi Terzi; rischi di porre in secondo piano, sia la volontà di contribuire a risolvere le questioni alla radice dei fenomeni migratori (e cioè, conflitti, miseria, cambiamenti climatici ecc.), sia la lotta ai trafficanti di esseri umani e la difesa dei diritti umani; accordi riammissione (spesso verbali) senza controllo democratico; corruzione, arresti, criminalizzazione dei migranti e della solidarietà nei loro confronti, banalizzazione della xenofobia, ecc.
Limitandomi al continente africano, se l'UE non supera un approccio meramente difensivo, non si andrà lontano. Non basta. Possiamo aiutare i Paesi di origine e di transito a rafforzare le loro economie, e allo stesso tempo affrontare la questione delle migrazioni. In Africa, servono più risorse di quante finora previste per investimenti verdi (in energie alternative), digitali (anche per una alfabetizzazione digitale), in infrastrutture - rispettose dei bisogni locali e dei diritti umani - in ospedali e fognature, in istruzione e formazione, in cultura?
E ancora - come rivendicato dalla Rete sindacale migrazioni mediterranee e sub sahariane (RSMMS), anche per superare conflitti e rivalità tra lavoratori nazionali e migranti, c’è da lavorare a un Quadro - basato sul dialogo sociale – per Canali legali e sicuri per immigrazione per motivi di lavoro, per coerenza tra politiche migratorie nazionali e politiche dell’occupazione, e per un’iniziativa sui salari minimi nei paesi dell’UE che includa i lavoratori migranti ? C’è da prestare maggiore attenzione: alle condizioni di lavoro dei lavoratori stagionali; a maggiori garanzie di accesso alla giustizia per le vittime di organizzazioni criminali; alla sicurezza sociale, e portabilità dei diritti sociali per i migranti; alla possibilità di scegliere il luogo di asilo per promuovere il ricongiungimento familiare? Ci sarà da lavorare.