di Monica Frassoni *
Il testo presentato qualche giorno fa da Fassina, Mélenchon e Varoufakis ha il merito di tentare di organizzare una chiamata alla riscossa contro le politiche economiche, i metodi tecnocratici e autoritari, la strategia del "There is no alternative" che hanno caratterizzato un'Unione europea a guida teutonica e conservatrice.
Ma ha l'importante demerito di sparare sul nemico sbagliato, l'euro. E di buttare con l'acqua sporca dell'austerità Uber Alles, anche le istituzioni europee e gli strumenti comuni che esistono. Il testo rimane ambiguo sulla battaglia per una democrazia sovranazionale, illudendosi che si possa distruggere per poi meglio ricostruire e che, peggio, sia possibile ricostruire dentro i confini nazionali di ognuno, limitandosi a un vago richiamo "internazionalista" di bolscevica memoria. Anche il continuo richiamo al concetto molto antipatico di periferia denota un complesso di inferiorità che non rispecchia la realtà. Perché i fronti sono ovunque misti, sfumati e non facilmente catalogabili. E, francamente, a me di essere periferia per nazionalità non piace per nulla.
Inoltre, forse perché i firmatari sono tutti uomini e marxisti - cascano nella stessa identica logica dei loro avversari, e cioè di pensare che l'Ue non sia altro che una costruzione economica: la considerano essenzialmente una moneta unica malcostruita da una banda di liberisti senza cuore, dai quali è urgente liberarsi attraverso una rivoluzione che mandi tutto all'aria.
Io, che non ho mai creduto alla virtù salvifica della rivoluzione, penso che sia sì necessaria una grande mobilitazione e la costruzione di un'alternativa, ma secondo parole d'ordine e priorità totalmente diverse e riconoscendo che esistono oggi strumenti che possono essere usati bene o male a seconda delle maggioranze politiche. Se il fronte anti-austerità si divide e perde tempo a convocarsi per definire complicati modelli di monete alternative che nessuno capirà, rischiamo di fare vincere eternamente Merkel, Rajoy o Orban e di contribuire alla continua subordinazione ideologica della socialdemocrazia europea alle logiche dell'equilibrio di bilancio a tutti i costi.
Sono convinta che la vittoria netta di Tsipras in Grecia su Nuova Democrazia e su Unità Popolare, con le sue ambizioni fossili e nazionaliste, sia un elemento positivo (pur se l'alleanza con il piccolo partito di destra resta discutibile). Sono altrettanto convinta che serva un'alleanza ampia alternativa a Mas in Catalunya, a Rajoy in Spagna e a Passos Coelho in Portogallo, anche se questo vuole dire essere meno duri e puri. E che Corbyn, novello vincitore contro il modello del New Labour, debba chiarire la sua posizione sull'Europa, senza lasciarsi tentare dal populismo nazionalista di Cameron e UKIP.
Insomma, se è vero che la democrazia greca è stata "schiacciata" nel triste negoziato sul memorandum, è anche vero che non si può pensare che essa abbia una legittimità maggiore rispetto alla democrazia finlandese o tedesca, che neppure volevano l'accordo; la responsabilità, oltretutto, non è solo di Tsipras, ma in questo caso anche di Renzi e Hollande che non hanno voluto portare avanti una linea diversa, come avrebbero benissimo potuto fare, se il fronte ecologista, libertario e di sinistra fosse più unito e costruttivo in entrambi i paesi.
D'altra parte, se Juncker sta dove sta è perché, nonostante anni di austerità e ricette sbagliate, il Partito Popolare ha comunque vinto le elezioni europee del 2014. E ha vinto anche perché nel 50% degli elettori ed elettrici che hanno scelto di rimanere a casa, c'erano anche molti che protestavano contro le politiche europee, ma non hanno fatto nulla per cambiare le maggioranze che le mettono in atto. Se le elezioni europee le avesse vinte il fronte anti-austerità e pro-Europeo, magari facendo a meno di operazioni identitarie e fallimentari come la Lista Tsipras e puntando da subito ad alleanze ampie e aperte in grado di andare oltre lo stretto recinto della sinistra detta radicale, le cose sarebbero molto diverse.
È la politica, bellezza. Non ci sono scorciatoie. Per vincere bisogna convincere, battendosi spesso e volentieri nel totale blackout mediatico e in presenza di una propaganda facilona e brutale, laddove ci sarebbe un disperato bisogno di voci sagge e precise, capaci di costruire ponti e convergenze.
È per questo che trovo un vero peccato che persone mediaticamente forti come i firmatari dell'appello usino a fini così poco costruttivi la loro notorietà. Non che mi aspettassi nulla da conservatori nazionalisti come Oskar Lafontaine e Jean-Luc Mélenchon. Ma sono sorpresa che amici come Varoufakis e Fassina abbiano scelto quegli alleati per l'importantissima sfida di cambiare l'Europa che abbiamo di fronte.
Arrivando alla proposta di Piano B per l' Europa, ci sono secondo me alcune gravi contraddizioni nel testo. Innanzitutto, se il Piano B viene dopo il Piano A, non si capisce perché non si concentri tutta l'attenzione su vincere la battaglia principale e si chieda la convocazione di un' iniziativa internazionale sul Piano B e cioè sull'uscita dall'euro per sostituirla con non si sa bene cosa. Forse l'euro non ci protegge dalla crisi, ma è evidente che se domani avessimo di nuovo dracma o lira, risparmi e salari non varrebbero una cicca, le importazioni costerebbero un botto e il vantaggio economico di una svalutazione sarebbe rapidamente spazzato via da nuovi dazi e ostacoli che i Paesi che restano nell'euro frapporrebbero ai nostri prodotti. Inoltre, il danno politico e psicologico della fine della moneta unica in tempi di Brexit e di revival dei confini, sarebbe davvero il colpo finale all'Unione europea.
Oltretutto non ho capito molto della differenza tra moneta unica e moneta comune. Si dice poi che in realtà il Piano B deve essere pronto nel caso in cui il Piano A non funzioni. Anche qui, c'è un po' di confusione nell'argomentazione. Da un lato si dice giustamente che bisogna lanciare una battaglia per la riforma dei Trattati e per il cambiamento radicale delle politiche.
Dall'altro si individua come unica iniziativa la rottura della Ue - o con la Ue attuale - prospettando un'uscita dall'euro e chiamando ad organizzarsi a livello dei singoli Stati. Sarebbe come se Obama, invece di battersi sul "Yes we can" per tutti gli americani, avesse prospettato la dissoluzione degli Stati Uniti e l'uscita dal dollaro per battere Repubblicani e Tea party. O se per costruire un'alternativa al Partito della nazione di Renzi ci ponessimo come obiettivo di tornare alla Lega dei comuni o al tallero.
Insomma, questa mi pare davvero una battaglia di retroguardia, che è e rimarrà minoritaria, a meno di non voler allearsi con i vari Le Pen e Salvini o Grillo. È invece davvero indispensabile non lasciare nelle mani della destra europea il futuro della Ue, progetto sicuramente incompiuto, ma prezioso e necessario per il nostro vecchio continente.
Il fronte per la battaglia che ci aspetta deve secondo me essere organizzato su due grandi linee, politiche e istituzionali insieme: da un lato il superamento vero della priorità del pareggio di bilancio e dell'austerità e dall'altro il rilancio dell'iniziativa per la Costituzione europea, perché, che ci piaccia o no, gli statarelli europei che oggi si agitano e bloccano ogni azione positiva e comune dietro l'illusione di una sovranità ottocentesca, saranno sempre più irrilevanti nella grande partita del futuro. Lasciamo quindi da parte Piani B che prefigurano già la sconfitta sul Piano A di una nuova Europa.
* con il consenso dell'autrice: articolo pubblicato originariamente su Huffington post