* Intervento tenuto in occasione dell’incontro organizzato dal Gruppo del Senato del Partito Democratico in collaborazione con la Federazione provinciale di Latina del PD. Hotel Europa, Latina, 22 settembre 2016.
“Per unire l'Europa, vi è forse più da distruggere che da edificare”. Alcide De Gasperi
La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale (…) e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale.
Per un'Europa libera e unita - Progetto di Manifesto, Ventotene, 1941
L’8 settembre scorso Federica Mogherini, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha rilasciato un’intervista al quotidiano italiano la Repubblica(1). Nella criticità del momento storico per il progresso dell’integrazione europea – ritiene la Mogherini e condivido come federalista europeo – “la futura uscita della Gran Bretagna dalla Ue ha tolto un comodo alibi dietro cui molti si nascondevano”, quindi, “senza il Regno Unito, il ruolo dell'Europa nel mondo può essere efficace solo con una maggiore integrazione”. In quali settori? In alcuni attualmente strategici come la difesa, la sicurezza, la politica estera e gli aiuti allo sviluppo. Negli ambienti accademici e nel mondo delle Istituzioni si discute molto su come attuare questa “maggiore integrazione”. La ricetta straordinaria (alla quale rinvio più avanti per le prospettive future) si trova nella revisione costituzionale dei Trattati, ma oggi lo strumento più idoneo sta nella c.d. “cooperazione rafforzata”.
Ma prima di affrontare l’argomento farei un passo indietro nel tempo.
La battaglia per l’unificazione politica dell’Europa si concretizza nell’esperienza maturata da alcuni confinati sull’isola di Ventotene durante il regime fascista, quando nel 1941 Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi elaborarono (con la collaborazione di tanti compagni di vita e di lotta antifascista, come Eugenio Colorni, Ada Montanari e Ursula Hirschmann), il cosiddetto Manifesto di Ventotene.
Quel “progetto per una Europa libera e unita” di riforma della società innanzitutto aveva ed ha ancora di più oggi, una valenza rivoluzionaria. Il presidente del Consiglio italiano, Renzi, ha capito e riversato nell’azione di politica europea questo spirito, compiendo, da ultimo il 22 agosto scorso, la visita sulla tomba dI Spinelli a Ventotene insieme alla cancelliera tedesca Merkel e al presidente francese Hollande. L’idea, quindi, di avviare un percorso di riforma istituzionale su modello federale attraverso il metodo costituente nasce da questo piccolo lembo di terra nel mar Tirreno.
La maturazione delle idee del Manifesto si ritrovano nel Congresso dell’Aja del 1948 e, sei mesi dopo la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, in seno all’Unione Europea dei Federalisti nel novembre a Strasburgo. In una Conferenza internazionale tenutasi a Lugano nell’aprile 1951, i federalisti europei presentarono un progetto di Trattato per convocare una “Costituente Europea”. Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano, ispirato da un memorandum di Altiero Spinelli, riuscì a far “digerire” ai Sei paesi fondatori della CECA, il principio dell’Assemblea costituente inserendo nel Trattato per la Comunità Europea di Difesa (CED) l’idea dello statuto della Comunità Politica e di un mandato per l’Assemblea della CECA (detta “assemblea ad hoc”), quasi un’assemblea costituente. La CED venne “abbattuta” nell’agosto 1954 con l’inerzia dell’assemblea nazionale francese che rinviò il voto “sine die”, con l’Italia in tiepida attesa dell’esito prima di essere l’ultima a doverla ratificare. Con essa cadde il primo vero tentativo di azionare il processo costituente che sarà poi sostituito dal metodo “comunitario”, dai Trattati di Roma del 1957 fino all’attuale Trattato di Lisbona che regolamenta la vita della nostra Unione.
Davanti alle sfide della globalizzazione ci siamo fermati solo agli effetti del mercato comune; abbiamo dotato la nostra Unione di una moneta unica, l’euro, dal riavvio del percorso di unificazione con il trattato di Maastricht abbiamo “dimenticato” però l’aspetto sia istituzionale, adagiandoci sul metodo intergovernativo, sia economico, senza erigere un organo comunitario a governare l’economia dell’Unione, lasciando il campo alla speculazione finanziaria trasformatasi, dal 2008, in una devastante crisi economica. Questa, iniziata negli USA, dove ha distrutto vari settori della società col proprio effetto domino, non ha trovato la stessa forza dirompente in Europa, dove, invece, si è continuato a rafforzare la stabilità con misure tipo Fiscal Compact anziché garantire il futuro investendo nella crescita. Molti additano questo come “difetto”. Giusto, corretto, ma va contestualizzato. Nel 2012, al termine di un cammino tortuoso, tra le cancellerie si è giunti al Patto di bilancio europeo, quello che è l’ulteriore strumento di governo europeo, il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria, per porre un vincolo ai bilanci nazionali, per mitigare gli effetti di una sovraesposizione dei deficit pubblici. L’effetto, da un lato ha limitato i danni dell’alta volatilità degli investimenti finanziari, causa le ridotte capacità di spesa dei cittadini europei, dall’altro ha mortificato gli investimenti in beni materiali e immateriali, perché gli Stati europei sono stati impegnti a riordinare i conti in casa prima di poter liberare le risorse per stimolare il mercato. A ciò aggiungiamo il ruolo della straordinaria macchina che è la BCE, il cui presidente, Mario Draghi ha avviato un continuo ricorso ad acquisti sul mercato dei titoli con la manovra straordinaria del Quantitative easing. Una decisione con rilievi di politica sociale notevoli, venuta dall’unica Istituzione europea realmente sovrana e indipendente dai governi nazionali.
Oggi siamo di fronte ad una sfida senza ritorno. Proprio Mario Draghi ha individuato due ordini di azioni, nel proprio intervento tenuto a Trento il 12 settembre in occasione dell’assegnazione del premio De Gasperi. “Il primo consiste nel portare a termine le iniziative già in corso, perché fermarsi a metà del cammino è la scelta più pericolosa. Avremmo sottratto agli Stati nazionali parte dei loro poteri senza creare a livello dell’Unione la capacità di offrire ai cittadini almeno lo stesso grado di sicurezza.” E questo obiettivo, per salvaguardare una società aperta, è il mercato unico. Il secondo intervento riguarda i nuovi progetti comuni in Europa, che “dovranno obbedire agli stessi criteri che hanno reso possibile il successo di settant’anni fa: dovranno poggiare sul consenso che l’intervento è effettivamente necessario; dovranno essere complementari all’azione dei governi; dovranno essere visibilmente connessi ai timori immediati dei cittadini; dovranno riguardare inequivocabilmente settori di portata europea o globale”, come ad esempio i settori dell’immigrazione, della sicurezza e della difesa.
Alcune soluzioni si ritrovano nell’intervista alla Mogherini, che individua nell’immediato cosa sia possibile fare, anzi, doveroso fare.
Bisogna attenersi a cose molto concrete, che “possono essere fatte senza bisogno di toccare i trattati ma che non sono mai state attuate”. Primo: i “battlegroups”. Sono unità multinazionali europee di intervento rapido. Esistono già da anni, lavorano e si addestrano insieme. Ma non sono mai stati utilizzati sul terreno. Potremmo e dovremmo decidere di farne uno strumento da utilizzare dove e quando serve un intervento europeo immediato. Secondo: ricorrere all'articolo 44 del Trattato, che prevede la possibilità di delegare ad un ristretto gruppo di Paesi il compito di condurre azioni militari in nome e per conto di tutta l'Unione. Anche questo articolo non è mai stato usato. Terzo: creare a Bruxelles un Quartier Generale comune che gestisca tutte le operazioni militari e civili presenti e future. Potrebbe diventare il nocciolo attorno al quale costruire una struttura comune di Difesa. Quarto: mettere insieme le risorse per i giganteschi investimenti che sono necessari nel settore della Difesa. La Mogherini ha presentato agli Stati membri e alla Commissione queste proposte. Il primo traguardo potrebbero essere le celebrazioni di marzo prossimo per il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma.
Si stanno, evidentemente, aprendo delle opportunità di sviluppo di una iniziativa europea nel settore della sicurezza interna ed esterna collegato ad una più efficace politica estera europea; opportunità che possono contare anche sulle disposizioni contenute nei trattati vigenti grazie all’istituto delle cooperazioni strutturate permanenti nel campo della difesa, come hanno chiesto e chiedono da tempo anche i federalisti europei.
Ricordo qui che non c’è bisogno di ricorrere a formule da stregoni per trovare gli avalli legali. E’ il Trattato di Lisbona che indirizza la possibile azione. Infatti l’art. 42 include la politica di sicurezza e di difesa comune nella politica estera e di sicurezza comune. L'Unione può avvalersi di mezzi civili e militari in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L'esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri. Inoltre, la politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell'Unione, che porterà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, avrà così deciso.
Ecco il vulnus della nostra costruzione europea. Un principio che non ha ragion d’essere oggi, perché mina la capacità d’azione della nostra Unione: il principio dell’”unanimità”.
Ed è lo stesso principio che, davanti alle crisi migratorie, aggrava il peso degli Stati esposti come l’Italia e la Grecia a tali flussi e alimenta il populismo dei paesi dell’Est europeo (come la Polonia e l’Ungheria in particolare), bloccando la capacità di decisione efficace.
Gli Stati membri che desiderano partecipare alla cooperazione strutturata permanente (che rispondono ai criteri e sottoscrivono gli impegni in materia di capacità militari specificati nel protocollo sulla cooperazione strutturata permanente) notificano la loro intenzione al Consiglio e all'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Una procedura snella perché entro tre mesi dalla notifica, il Consiglio adotta una decisione che istituisce la cooperazione strutturata permanente e fissa l'elenco degli Stati membri partecipanti, deliberando non all’unanimità ma a maggioranza qualificata.
Ma i Paesi dell’Unione devono avere la responsabilità storica di rilancio, non preferire formule generiche di stile. Il timore che il recente vertice straordinario di Bratislava tenutosi nel fine settimana scorso possa invece, per l’ennesima volta, rivelarsi una vuota tappa di uno stanco cammino.
Nella "tabella di marcia di Bratislava" (come è stata battezzata nella dichiarazione del Consiglio europeo) il presidente del Consiglio europeo, la presidenza del Consiglio e la Commissione hanno proposto un “programma di lavoro” poco incisivo.
Per quanto riguarda la migrazione e le frontiere esterne, è stato ribadito il “pieno impegno ad attuare la dichiarazione UE-Turchia e sostegno continuo ai paesi del Balcani occidentali”, l’impegno di alcuni Stati membri a offrire assistenza immediata per rafforzare la protezione della frontiera bulgara con la Turchia e a continuare a sostenere gli altri Stati in prima linea, puntando - prima della fine dell'anno - alla piena capacità di reazione rapida della guardia costiera e di frontiera europea, ora istituita ufficialmente.
In materia di sicurezza interna si è posto l’obiettivo di intensificare la cooperazione e lo scambio di informazioni fra i servizi di sicurezza degli Stati membri, di adottare “misure necessarie per garantire che tutti coloro che attraversano le frontiere esterne dell'UE, compresi i cittadini degli Stati membri dell'Unione, siano oggetto di controlli basati sulle pertinenti banche dati, che devono essere interconnesse”, avviando la creazione di un sistema di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS) per consentire i controlli preventivi e, se necessario, negare l'ingresso ai viaggiatori sprovvisti di visto.
Troppi rinvii ai prossimi appuntamenti istituzionali.
Per la sicurezza esterna e difesa un rinvio al Consiglio europeo di dicembre per prendere una eventuale decisione su un piano di attuazione concreto in materia di sicurezza e difesa e sui modi per utilizzare al meglio le possibilità offerte dai trattati, in particolare in materia di capacità.
Solo una piccola attenzione allo sviluppo sociale ed economico, ai giovani: anche qui un rinvio in dicembre sulla decisione sull'estensione del Fondo europeo per gli investimenti strategici e sulle decisioni sul sostegno dell'UE agli Stati membri nella lotta contro la disoccupazione giovanile e sui programmi rafforzati dell'Unione per i giovani; infine al Consiglio europeo di primavera 2017 per l’esame dei progressi realizzati in merito alle varie strategie del mercato unico (fra cui il mercato unico digitale, l'Unione dei mercati dei capitali, l'Unione dell'energia).
Non è così che si va verso l’unione politica europea.
Per farlo riprendiamo le parole di Mario Draghi, che si richiama allo spirito dei grandi leader del passato che, “in condizioni ben più difficili di quelle odierne”, ha permesso “di vincere le diffidenze reciproche e riuscire insieme anziché fallire da soli”.
Se vogliamo realmente sostenere la crescita e lo sviluppo, dare un futuro di pace e prosperità ai nostri giovani dobbiamo volere gli Stati Uniti d’Europa. Questo obiettivo va sostenuto in tutte le sedi Istituzionali.
Altiero Spinelli nella battaglia per la Federazione europea fece approvare dal Parlamento europeo a larghissima maggioranza il 14 febbraio 1984 il Progetto di Trattato sull’Unione europea. Il più grande progetto di edificazione di una struttura realmente sovrannazionale con un Trattato di natura costituzionale, e non elaborato da una Conferenza intergovernativa secondo il tradizionale metodo diplomatico. In quella sede, nel discorso finale egli disse: “Il nostro progetto di trattato non sarebbe potuto apparire sulla scena politica in un momento più appropriato, visto che è la sola risposta politicamente e intellettualmente valida al fallimento di Atene (oggi potremmo anche chiamarlo di Bratislava o di infiniti altri nomi di luoghi di vertici europei). La nostra risposta è, come tutte le cose vere e autentiche, al tempo stesso semplice e difficile da digerirsi. Può essere riassunta in pochissime parole: gli affari di interesse comune possono essere gestiti validamente solo da un potere veramente comune. Chi cerca seriamente di uscire dal vicolo cieco di Atene deve aderire al nostro progetto, ma quanti tabù bisogna superare per vedere le cose evidenti!”
Gli interventi politici concreti da promuovere utilizzando gli strumenti esistenti e l’avvio della riforma istituzionale, come ha messo in evidenza il confronto pubblico a Bruxelles il 1° settembre scorso, a cui hanno preso parte il parlamentare europeo Guy Verhofstadt ed il Sottosegretario Sandro Gozi (2), sono pertanto due facce della stessa medaglia. Le risposte politiche immediate sono dunque necessarie ma, per svilupparsi hanno bisogno di fondarsi su una visione ed un progetto politico di lungo periodo che preveda la realizzazione di istituzioni adeguate. E’ questa la lezione che ci viene dalla Storia e dai fallimenti storici di molti Stati. Oggi per gli europei la sfida consiste nel promuovere un passaggio di sovranità in settori chiave, in una configurazione, dopo Brexit, a due cerchi, con al centro un nucleo rafforzato politicamente che non può che basarsi sull’eurozona.
Da parte nostra, come MFE, per contribuire a far maturare un sempre maggiore consenso politico e popolare su questi temi, siamo impegnati a promuovere una mobilitazione di tutte le forze ed istituzioni a cui sta a cuore il destino del nostro continente in occasione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, il 25 marzo 2017, a Roma. Una scadenza ormai considerata come uno spartiacque nella politica europea. E un’occasione che, come sappiamo, non potrà essere semplicemente celebrativa, ma che dovrà servire per manifestare il bisogno di più Europa, di un nuovo patto politico, sia in termini istituzionali democratici, sia per quanto riguarda la realizzazione di vere politiche continentali.
Concludeva Altiero Spinelli nel testo da lui scritto del Manifesto di Ventotene:
“Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.”
Approfondimenti:
1) Repubblica, giovedì 8 settembre 2016, p. 13. Intervista a Federica Mogherini - Mogherini: "Difesa europea ecco come realizzarla subito" - "Dopo Brexit niente più scuse ora può nascere la Difesa europea" di Andrea Bonanni.
2) Per rilanciare l'Europa fuori dalle secche della Brexit a Bratislava servono "risposte concrete" alle preoccupazioni dei cittadini, mettendo realmente in atto quanto deciso finora a livello Ue, e allo stesso tempo sviluppare una "visione" per un'Ue del futuro, come per esempio un "vero governo" per l'eurozona, una "difesa comune" e "liste transnazionali per le elezioni del Parlamento europeo". E' il messaggio del sottosegretario per gli affari europei Sandro Gozi in un dibattito al Bozar a Bruxelles con il leader dell'Alde Guy Verhofstadt, in occasione della presentazione dei rispettivi libri "Generazione Erasmus al potere" e "Il male europeo e la riscoperta dell'ideale".