di Salvatore Sinagra*
Negli ultimi due anni, forse con un po’ di ritardo rispetto ad altri paesi europei, anche in Italia ha infuriato il dibattito su povertà e disuguaglianza.
Leggendo la stampa estera, frequentando corsi di lingua e viaggiando per l’Europa ho avuto la sensazione che nei paesi più ricchi e con la disoccupazione più bassa del continente vi sia più attenzione per gli ultimi ed un dibattito sull’esclusione sociale ben più profondo che in Italia.
Per esempio nel nostro paese mai avevo sentito parlare della relazione tra qualità dell’alimentazione ed uguaglianza, fino a sabato quando ho preso parte ad un workshop durante un gemellaggio tra la sezione di Milano della Gioventù Federalista Europea e la sezione di Lione di Les Jeunes Européens-France; al contrario dalla lettura della stampa britannica ho avuto l’impressione, già molti mesi fa, che oltre la Manica la cattiva alimentazione sia percepita come una declinazione delle disuguaglianze.
Nutrire il mondo doveva essere il filo conduttore di Expo: purtroppo molti di coloro che hanno partecipato a tale iniziativa sono andati fuori tema.
Parlare di alimentazione vuol dire trattare i temi cari a Stglitz, Krugman e Piketty. Vuol dire interrogarsi sulla sostenibilità dei nostri modelli economici. E’ meglio inseguire un decimale di Pil o far mangiare meglio i più poveri e far studiare i loro figli? Per gli Stati occidentali è più importante qualche milione di profitto in più per i propri campioni nazionali o dare stabilità ad aree come il medio-oriente e le grandi regioni dell’Africa dove povertà e disuguaglianza stanno creando squilibri inquietanti?
Ovviamente noi federalisti non possiamo non chiederci cosa può e deve fare l’Unione Europea.
La malnutrizione e la denutrizione sono problemi che sicuramente colpiscono l’Europa meno delle nazioni in via di sviluppo; nel mondo occidentale è invece rilevante la cattiva alimentazione, che porta per esempio all’obesità; anche quest’ultimo problema è spesso conseguenza delle disuguaglianze. Le cattive abitudini sono figlie del successo dei fast food e dei cibi acquistati in saldo al discount, dovute alla contrazione dei redditi avvenuta a partire dagli anni ottanta. Il quadro è completo aggiungendo che soprattutto nei paesi dove la sanità non è pubblica le cure dedicate a chi soffre di obesità sono veramente carenti. Quindi l’obesità non è una malattia del benessere e non è un paradosso difficile da spiegare in un mondo in cui centinaia di milioni di donne e uomini non hanno cibo a sufficienza.
Da questo punto di vista stupisce il fatto che vi siano tra gli sponsor di Expo multinazionali che hanno fatto la loro fortuna grazie al cambiamento, in peggio, delle nostre abitudini alimentari.
I lavori di sabato hanno portato conclusioni assolutamente condivisibili: 1) a Parigi, dal 30 novembre al 13 dicembre, vi sarà una importante conferenza sul clima, la COP 21: i federalisti dovrebbero portare in tale evento i temi della sicurezza alimentare; 2) il 2017 dovrebbe essere l’anno della nutrizione; 3) serve una direttiva che freni lo spreco di cibo imponendo, per esempio, di dare in beneficenza ciò che viceversa sarebbe buttato; 4) le istituzioni europee non sono riuscite a rispondere a problemi quali la qualità dell’alimentazione nell’Unione Europea, la fame nei paesi poveri e la tutela dell’ambiente. Serve un’organizzazione sovranazionale che con istituzioni simili a quelle della Comunità del Carbone e dell’Acciaio dia risposte alle questioni ambientali e della nutrizione: problematiche che, di certo, non sono state in cima alla lista delle nostre priorità negli ultimi decenni.
Nel 2000 gli Stati aderenti alle Nazioni Unite avevano assunto con i Millennium Development Goals l’impegno a sradicare la fame e la povertà, ridurre la mortalità infantile e migliorare la sostenibilità ambientale. Tali obiettivi non sono stati raggiunti; non basta il fatto che dal 1990 la mortalità infantile si sia ridotta molto o che milioni di persone siano uscite dalla povertà. Basta isolare le performance della Cina per capire che in molte parti del mondo in questi decenni le cose sono peggiorate, si pensi al fatto che nel 2005 vi erano ben 18 paesi che avevano un indice di sviluppo umano (1) inferiore a quello del 1980, 12 appartenevano all’Africa Subsahariana (2).
L’Unione Europea e gli Stati europei non sono stati in grado di dare risposte. La condizionalità, ovvero la politica per cui si subordinano aiuti e relazioni commerciali al rispetto degli standard democratici ed ad un impegno per migliorare le condizioni degli ultimi, non ha funzionato. La politica del bastone e della carota non può funzionare se non si può mai usare il bastone con chi ha gas e petrolio. Vicende disastrose come la guerra in Iraq hanno compromesso la credibilità degli Europei e il rapporto dell’Unione Europea con i paesi emergenti, in trasformazione o in via di sviluppo è stato spesso contraddittorio, a partite dalla politica di vicinato fatta con esperienze inutili come l’Unione per il Mediterraneo (3) ed il Partenariato orientale (4).
Servono azioni simboliche, conferenze ed un anno dedicato alla nutrizione, servono le direttive contro lo spreco di cibo e forse solo una nuova organizzazione può cambiare l’approccio dell’Unione nei confronti dell'ambiente e della fame nel mondo, tuttavia occorre partire dai piccoli passi. Bisogna cambiare la politica agricola comunitaria per superare le normative che limitano la produzione e tengono alti i prezzi dei generi alimentari e bisogna punire quei coltivatori europei che sfruttando gli immigrati pagandoli pochi euro al giorno, riescono a esportare in paesi in via di sviluppo a prezzi talmente bassi da distruggere l’agricoltura locale. La repressione del caporalato è il primo passo verso un’Unione più coerente con i suoi principi (5).
Approfondimenti:
1) HDI – Human development index, è un indice macroeconomico utilizzato dal le Nazioni Uniti in affiancamento al pil, pondera il reddito nazionale, l’aspettativa di vita e l’accesso all’istruzione dei singoli paesi.
2) D. HELD – A. MCGREW, globalismo e antiglobalismo, Il Mulino 2010, p. 142; K. KOSER, Le migrazioni internazionali, Il Mulino 2007, p. 39
3) Organizzazione internazionale fortemente voluta da Sarkozy, nata nel 2008, comprende i paesi UE etutti gli altri Stati che si affacciano sul mediterraneo. http://ufmsecretariat.org/
4) Partenariato tra Unione Europea e Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina http://www.consilium.europa.eu/it/policies/eastern-partnership/
5) http://archivio.internazionale.it/webdoc/tomato/