“Io non faccio una battaglia contro l'Europa, a differenza di quello che scrivono alcuni commentatori. Io faccio una battaglia per l'Europa. Ma l'Europa del sociale, della cultura, dell'innovazione, dell'occupazione. Non solo l'Europa dei numeri, dei parametri, dei vincoli. Tutto qui. Così facendo difendo l'interesse dell'Italia, certo. Ma difendo anche la dignità dell'Europa.” (Matteo Renzi, Enews 406, 21/12/2005).
Messa così, chi può dargli torto? Sono le stesse argomentazioni che spingono nell’azione quella nebulosa altermondialista a cui si richiamano vari alfieri della sinistra europea detta radicale. Questi fanno propria una narrazione basata sulla critica all’Europa esistente, considerata liberista e ad esclusivo beneficio di banchieri, delle burocrazie e delle multinazionali.
Allo stesso tempo però è una critica non molto lontana da quella che proviene dalla sponda opposta della Destra populista che sta avendo tanto successo in Francia, Polonia ed Ungheria, riproponendo antiche ricette basate sull’identità nazionale e sulla paura del diverso. Sempre contro comunque a quell’idea di Europa che vuole fare delle differenze il suo punto di forza, unendo nella diversità.
A priori di chi la fa, oggi la campagna contro l’austerità è molto popolare e sicuramente giusta dal punto di vista dell’equità sociale e dello sviluppo economico. Sorge però il dubbio che si usi l’attacco alla UE in modo strumentale per racimolare facile consenso, parlando più alle pance dei popoli che alle loro teste o ai loro cuori. In questo modo si trova un capro espiatorio a cui addossare responsabilità decennali di classi dirigenti e degli stessi governi nazionali che hanno causato questa crisi economica e sociale da cui con difficoltà alcune istituzioni comunitarie come la BCE stanno tentando di farci uscire con fatica.
A Sinistra il dubbio diviene certezza quando alla dovuta critica dell’Europa esistente non seguono proposte innovative, radicali e uniche in grado di governare la complessità del mondo globalizzato dei nostri tempi, ma si continuano a propinare vecchie ricette ormai sorpassate dalla storia.
Il caso greco è stato illuminante. Così accanto a scelte coraggiose compiute dal governo Tsipras che ha commutato il consenso ricevuto in una difficile negoziazione che tenesse insieme le giuste esigenze popolari con le ragioni dei creditori stranieri in nome del bene comune europeo, si è sviluppata l’ennesima scissione a sinistra, basata sulla scorciatoia dell’insolvenza, non curandosi degli effetti che avrebbe potuto creare sulla credibilità dell’intero sistema non solo in Grecia.
Benché l’approccio Varoufakis non abbia portato immediati successi elettorali, la sua linea inizia a trovare dei proseliti anche nella sinistra italiana. Mossi da una critica condivisibile dell’attuale governance finanziaria alcuni compagni si spingono fino a paventare una possibile uscita dall’Euro, senza prospettare una reale alternativa praticabile nel nostro mondo interconnesso e interdipendente. Ciò non vale per ogni esponente dei vari movimenti che stanno spuntando un pò ovunque nel vecchio continente, ma sembra non chiaro a tutti che il reale cambiamento richiede fatica negoziale per riuscire a unire ciò che è diviso, costruire prima di distruggere.
Si deve invece lavorare per convincere il maggior numero di soggetti possibile che solo insieme e con scelte coraggiose per un’Europa più condivisa, in primis dai cittadini, si può uscire dallo stallo. Solo, ad esempio, chiedendo più risorse proprie per il bilancio comunitario, una governance più stringente e democratica dell’Euro e, in sostanza, impegnandosi per un governo federale si riuscirà a ridare respiro al processo dell’integrazione europea.
Ciò vale ancor di più per il compagno Renzi, visti gli importanti incarichi che ricopre. Non basta dire che l’Italia è la migliore come se fosse un tifoso ad una partita degli azzurri, sfruttando il diffuso sentimento anti-germanico per pescare un facile consenso. Se vuole cambiare veramente l’Europa il governo italiano deve avere il coraggio di giocare il suo tradizionale ruolo di federatore, assumendo scelte che non guardino al particolare interesse nazionale, ma a quello generale comunitario. Solo così si dimostrerà nei fatti la differenza con gli altri, avendo la forza di proporre una alleanza tra tutte le forze progressiste presenti nella società europea e nelle istituzioni al fine di conseguire realmente il suo obiettivo del cambiamento. Infatti agendo per la costruzione dell’Europa federale non si difende solo l’interesse dell’Italia, ma quello di tutti i cittadini europei.
Se invece così non fosse e si limitasse solo a piccole rivendicazioni di interesse nazionale, fallirebbe nel suo disegno strategico di fondo e si rivelerebbe solo un ulteriore compagno che sbaglia sull’Europa.