di Antonio Mosconi *
Si è fatto gran rumore in agosto sulla cosiddetta “svalutazione del renmimbi”, tanto da far passare in secondo piano perfino il terzo salvataggio europeo della Grecia, che pure contiene innovazioni sostanziali per rimodulare il rapporto fra l’austerità e la crescita a favore della seconda. Si può capire che i giornalisti, animati da obiettivi di vendita, drammatizzino il fatto del giorno.
In fondo la Grecia è in scena da troppo tempo per non avere stancato i lettori, come sarebbe accaduto anche alle povere vittime della speranza, che si tramuta ogni giorno in tragedia nel nostro Mediterraneo, se Angela Merkel, da vera statista, non avesse determinato un cambio di marcia per l’Europa quasi-tutta e comunque per tutta la Zona-euro.
La modesta correzione del cambio del renmimbi è stata presentata come la causa del crollo delle quotazioni a Shanghai, dovuta invece alla precedente euforia. La principale contraddizione della globalizzazione neo-liberista, priva di regolazione macro-economica e di regolamentazione bancaria-finanziaria (al sole e all’ombra), si manifesta soprattutto nei mercati finanziari, come ormai sappiamo fin troppo bene. Il capitale non conosce confini. Solo le persone incontrano barriere di filo spinato.
Il debito totale del Mondo, denuncia la Banca dei Regolamenti Internazionali, continua a crescere. Naturalmente esso corrisponde al credito totale. Che cosa finanziano i creditori, considerato che le famiglie e le imprese lamentano il credit crunch? Finanziano la speculazione, l’arricchimento che si spera facile, con perdite – catastrofiche quando occorrono – a carico dei contribuenti. Gran parte del risparmio mondiale è gestita a Wall Street.
Quando le poche banche che si riuniscono ogni lunedì mattina lo decidono, è tutto il credito mondiale che può riversarsi o ritirarsi dalla Borsa di un singolo Paese. Sono cose che ormai formano oggetto di una letteratura sterminata. Soltanto il Premio Nobel Paul Krugman, pur essendo stato troppo impegnato per documentarsi, continua a scrivere articoli sui giornali di tutto il Mondo, infarciti dei soliti luoghi comuni anticinesi e neo-liberisti, in contrasto (poiché serve al prolungamento del privilegio internazionale del dollaro) con la stessa proclamata fede keynesiana dell’Autore.
Cos’è successo sul serio? Il 22 luglio il Comitato esecutivo del Fondo Monetario Internazionale ha concluso la consultazione con la Repubblica popolare cinese prevista dall’art. 4 dello Statuto per tutti i Paesi aderenti. Il verbale della riunione (IMF - Press Release N° 15/380 – August 14, 2015) prende atto del rallentamento dello sviluppo e della necessità di procedere ad una crescita dei consumi interni più sostenuta e più distribuita. Gli investimenti rappresentano già, nel 2014, il 46% del pil, e sono coperti da un risparmio nazionale pari al 48,1% del pil. L’eccesso di risparmio, pari al 2,1%, corrisponde (equivalenza di contabilità nazionale) al surplus delle partite correnti (merci e servizi) della bilancia dei pagamenti con l’estero, ridottosi della metà rispetto al 2010, e molto di più con riferimento ai livelli precedenti la crisi. Questi numeri ci dicono che la Cina ha fatto i famosi “compiti a casa” per contribuire alla riduzione degli “squilibri fondamentali” (surplus cinese/vs. deficit americano). Il verbale riporta poi le consuete raccomandazioni concernenti la politica economica e le riforme interne, in particolare per quanto riguarda il sistema bancario e finanziario. Qui c’interessa sapere cosa hanno raccomandato i Direttori del Fondo ai Rappresentanti cinesi in tema di politica valutaria.
Traduco alla lettera, ma le parentesi e i corsivi sono miei.
“I Direttori hanno sottolineato la necessità di ulteriori riforme strutturali per rendere l’economia cinese più aperta e basata sul mercato e per promuovere ulteriori ribilanciamenti interni. Queste includono: la promozione di un sistema finanziario e di un contesto di politica monetaria più fondati sul mercato, con il completamento della liberalizzazione dei tassi d’interesse e l’eliminazione delle garanzie implicite; la riforma delle imprese statali; il passaggio ad un sistema di cambi effettivamente fluttuanti; il rafforzamento del sistema fiscale, ivi inclusi le relazioni tra governo centrale e governi locali, il sistema di sicurezza sociale e la politica fiscale. (I Direttori) hanno riconosciuto che queste riforme sono nell’agenda delle Autorità (cinesi) e hanno apprezzato i passi già compiuti. Guardando avanti, hanno raccomandato una risoluta e tempestiva implementazione delle riforme previste.”…..”(I Direttori) hanno raccomandato di ridurre ulteriormente l’eccesso di risparmio e di raggiungere una bilancia esterna sostenibile. Hanno anche preso nota della valutazione dello staff secondo cui, a seguito del sostanziale apprezzamento del renmimbi in termini reali (al netto dell’inflazione) ed effettivi (ponderati con il peso delle monete di effettivo interscambio), il renmimbi non può più ritenersi sottovalutato. Alcuni Direttori (una minoranza) hanno sostenuto che un altro apprezzamento potrebbe facilitare ulteriormente l’aggiustamento esterno (la riduzione del surplus cinese). I Direttori hanno apprezzato i passi compiuti per liberalizzare i movimenti di capitale e hanno raccomandato di programmare attentamente questi sforzi.”
Detto fatto! Tornati a casa da Washington i Cinesi, nei primi giorni di agosto, prima ancora che il verbale della riunione fosse reso pubblico, hanno provato a lasciar fluttuare il renmimbi com’era stato raccomandato loro dai Sacerdoti del Capitalismo globale, col risultato di un modesto deprezzamento (per ora circa un decimo dell’apprezzamento realizzato negli anni precedenti e poco più di niente rispetto alle perdite di valore dell’euro o dello yen). Il grido di dolore che si è levato da gran parte del mondo per il piccolo deprezzamento ha convinto la Banca del Popolo Cinese a compiere acquisti della propria valuta per evitarne una svalutazione maggiore. Dev’essere a questo punto che Krugman è caduto in confusione, tanto che nello stesso articolo ha attaccato la Cina sia per aver lasciato che il renmimbi si svaluti sia per aver pensato di poter ordinare ai mercati cosa fare. La lingua (di Krugman) batte dove il dente (il futuro del dollaro) duole.
Sta di fatto che da febbraio la Cina ha ridotto le sue riserve di 243 miliardi di dollari, con una forte intensificazione delle vendite in agosto, e che probabilmente questo “alleggerimento” dovrà proseguire. Che cosa vende la Cina, valute asiatiche o dei BRICs? Escluso. Oro? Assolutamente improbabile. Euro? Molto improbabile. La Cina deve vendere i Treasury Bonds americani di cui è sovraccarica. Il deficit del bilancio americano, seppur ridimensionato, è ancora consistente e si aggiunge anno dopo anno al debito già accumulato. Chi comprerà il debito americano? La Cina vende, il Giappone non sta troppo bene, l’Europa, nel suo insieme, cerca di navigare senza surplus eccessivi, i Paesi esportatori di petrolio sono alle prese con una riduzione del prezzo a 40 dollari al barile, con prospettive ancor peggiori. Sarà la FED a dover comprare altro debito americano, monetizzandolo. La legittimità del dollaro come moneta internazionale, fondata nel 1944 sulla convertibilità in oro e dal 1973 sulla convertibilità in petrolio, riposa ormai soltanto sulla dinamite. Può la globalizzazione dell’economia mondiale procedere col dollaro come principale moneta di riserva, col terrore che una scintilla faccia esplodere la dinamite su cui esso si fonda?
Il comportamento della Cina, conforme alle raccomandazioni del Fondo, s’inscrive nel processo di de-dollarizzazione dell’economia mondiale, nella tendenza spontanea in atto verso un sistema monetario internazionale multi-valutario – di cui il renmimbi aspira a far parte - e nel progetto di ridurne i rischi attraverso un’àncora monetaria mondiale, il paniere rappresentato dai diritti speciali di prelievo sul FMI, rafforzato con l’inserimento – in corso di esame – della moneta cinese. I pianeti che ruotavano intorno ad un unico Sole, il dollaro, si sono a poco a poco riorganizzati in sistemi più piccoli. La strada è stata aperta dall’euro, che è diventato un Sole esso stesso, ed è ora seguita dai Paesi emergenti. Manca ancora un Sole dei Soli.
Nel 2010 il G20 aveva deciso, fra l’altro, di avviare una riforma della governance del FMI, ancora dominato dagli Stati Uniti (la cui quota consente un diritto di veto) e dall’Europa. Era stato previsto un modesto spostamento del 6% dei diritti di voto dai Paesi sviluppati a quelli emergenti e in via di sviluppo, ma neanche questo piccolo passo è stato fatto perché il Congresso americano si è rifiutato di cooperare. Conseguentemente, dopo aver stipulato una serie di accordi bilaterali e multilaterali diretti a eliminare completamente l’uso del dollaro nelle transazioni tra di loro, il 15 luglio dello scorso anno i BRICs – Brasile, Russia, India e Cina, cui si è aggiunto il Sudafrica – si sono riuniti a Fortaleza per varare due nuove istituzioni finanziarie. La prima, la New Development Bank (NDB), sede a Shanghai e primo presidente indiano, si aggiunge alle numerose banche di sviluppo, regionali o nazionali, i cui finanziamenti complessivi nel 2013 hanno surclassato i 52,6 miliardi di dollari erogati dalla Banca Mondiale. Il capitale della NDB, inizialmente di 50 miliardi di dollari, potrà essere aumentato a 100 miliardi. L’altra istituzione, il Contingency Reserve Arrangement (CRA) non è un fondo, ma un meccanismo: un insieme di promesse bilaterali di rendere disponibili riserve valutarie al Paese in difficoltà. Tali disponibilità sono assicurate per 41 miliardi di dollari dalla Cina, per 18 ciascuno dal Brasile, dalla Russia e dall’India e per 5 miliardi dal Sudafrica. La Cina partecipa a un altro meccanismo simile concordato con alcuni Paesi dell’ASEAN.
L’Europa è stata esempio e motore per altri processi d’integrazione regionale. Nello stesso tempo il processo impetuoso di globalizzazione, che il dogma neo-liberale ha abbandonato alla presunta perfezione dei mercati, ha posto in evidenza questioni che richiedono, invece, politiche mondiali. Gli Stati Uniti, da soli, non possono più garantire i beni comuni indispensabili (come la stabilità monetaria e la sicurezza) perché questo processo possa proseguire senza perturbazioni ancor più gravi di quelle già in atto. D’altra parte la distribuzione più equilibrata del potere economico fra le diverse aree del mondo impedisce di prevedere il passaggio del testimone da una potenza egemone a un’altra, come avvenne, per l’ultima volta e limitatamente al mondo occidentale, dal Regno Unito agli Stati Uniti.
Solo la cooperazione internazionale e la sua democratizzazione potranno consentire il governo della globalizzazione. Il “federalismo in un solo Paese” è precario, tende all’impero (come nel caso americano) oppure alla frammentazione nazionale (rischio non ancora scongiurato in Europa) . Il superamento della ragion di stato a livello mondiale è condizione necessaria per l’affermazione di federazioni regionali stabili. Ogni passo in questa direzione tende a realizzare l’aspetto di valore del federalismo: la pace. Non si deve avere difficoltà, restando vigili, a riconoscere la saggezza che ispira la Cina a promuovere una moneta-paniere di riserva internazionale proprio mentre il renmimbi si prepara ad affiancare l’euro e il dollaro nell’attuale sistema multi-valutario. Il loro messaggio è: siamo forti, ma disponibili a condividere la nostra forza. Obama l’ha compreso, ma il Congresso? Un’iniziativa europea sarebbe decisiva, come Juncker ha dimostrato di valutare quando ha inserito nel programma della sua Commissione la rappresentanza unitaria dell’Eurozona nel Fondo Monetario Internazionale.
* una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata sull'Unità Europea