di Pier Virgilio Dastoli (*)
L’idea di una riforma istituzionale delle Comunità secondo un modello federale attraverso una procedura costituente (cioè affidando a un’assemblea eletta direttamente dai cittadini per questo scopo o dando questo mandato al Parlamento europeo) non è nata con il progetto Spinelli. Essa è maturata in Spinelli dopo il Manifesto di Ventotene del 1941 e la creazione del MFE nel 1943, fu discussa al Congresso dell’Aja nel 1948 e fu poi lanciata dall’UEF nel novembre 1950 a Strasburgo sei mesi dopo la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950.
Nell’aprile 1951 – in una Conferenza internazionale tenutasi a Lugano – i federalisti europei hanno dato forma definitiva a un progetto di Trattato per la convocazione della Costituente Europea lanciando un appello alle organizzazioni europeiste perché ne facessero la bandiera della loro battaglia.
Come sappiamo, il principio dell’Assemblea costituente fu solo parzialmente accettato dai Sei paesi fondatori della CECA, che inserirono nel Trattato per la Comunità Europea di Difesa (CED) l’idea dello statuto della Comunità Politica e di un mandato per l’Assemblea della CECA (integrata da altri parlamentari nazionali che fu così chiamata “assemblea ad hoc” anche se un delegato propose nella prima seduta di auto-proclamarsi assemblea costituente) come suggerito da Alcide De Gasperi e ispirato da un memorandum di Altiero Spinelli.
Con la caduta della CED nell’agosto 1954 cadde dunque anche quell’embrionale processo costituente messo in moto dall’assemblea ad hoc. Nel frattempo, le diplomazie nazionali avevano già annacquato notevolmente il progetto di Statuto Politico che l’Assemblea, in sei mesi di lavoro, era riuscita ad approvare.
Dopo ventisei anni la strategia costituente indicata dall’UEF viene riproposta nel Parlamento europeo da Altiero Spinelli e dal suo Club del Coccodrillo in termini solo parzialmente simili a quelli portati avanti all’inizio degli anni ’50.
In primo luogo, la necessità di una fondazione o ri-fondazione politica dell’unità europea non era più basata sul vuoto di relazioni fra paesi – in gran maggioranza ex-nemici – appena usciti da due conflitti mondiali ma sull’esperienza di trent’anni di integrazione comunitaria con conseguenze in buona parte positive ma anche negative di cui il Parlamento europeo ha tenuto attentamente conto nell’elaborare il progetto di Trattato del 1984.
In secondo luogo, il ruolo costituente è stato assunto da un’assemblea già dotata di legittimità democratica (e quindi dell’autorità politica) che deriva a tutti i parlamenti eletti a suffragio universale e diretto.
In terzo luogo, l’Assemblea eletta nel 1979 non ha ricevuto un mandato dai governi dei paesi membri, ma ha deciso di fondare la sua iniziativa sul suo diritto-dovere di presentare proposte nell’interesse dell’insieme dei cittadini europei per la realizzazione della finalità (o vocazione) iscritta fra quelle prioritarie dell’integrazione comunitaria: la federazione europea.
In quarto e ultimo luogo, l’Assemblea ha deciso di consegnare il suo progetto non già al Consiglio dei ministri dei governi nazionali o a una Conferenza diplomatica ma direttamente ai parlamenti nazionali chiedendo loro di mettere in moto le procedure costituzionali per la ratifica dei trattati internazionali.
L’iniziativa di Spinelli, del resto, si è inizialmente fondata non solo sul rinnovato impegno delle organizzazioni federaliste ma sull’evidenza della crisi del progetto di integrazione comunitaria provocata dai contraccolpi politici, economici e finanziari dell’inadeguatezza del Sistema Monetario Europeo, dalla paralisi dei meccanismi di decisione delle Comunità, dai problemi crescenti nelle relazioni internazionali e – last but not least – dalla novità sostanziale delle elezioni a suffragio universale e diretto di un Parlamento che Willy Brandt aveva chiamato “assemblea costituente permanente” 1.
Dicevamo della crisi provocata dall’aggravamento degli squilibri interni provocati dall’inadeguatezza dello SME. A pochi mesi dal Consiglio europeo del luglio 1978 che ne aveva deciso la creazione, avvenne il primo scontro fra i governi e il PE sull’ammontare del Fondo Regionale che avrebbe dovuto essere fissato nel bilancio per il 1979. Nell’ottica del PE, si voleva sviluppare uno strumento finanziario, addizionale rispetto agli interventi nazionali, con l’obiettivo di contribuire a ridurre le disparità regionali e facilitare la convergenza fra le economie appartenenti all’area dello SME. Il Consiglio era deciso invece a usare strumenti intergovernativi come la concessione di rimborsi all’Italia e all’Irlanda destinati a progetti che né Italia né Irlanda erano in grado di finanziare. Sull’ammontare del Fondo Regionale vince il Parlamento non eletto sfruttando il fatto che si tratta di “spese non obbligatorie” sulle quali l’assemblea ha ultima parola e preparando in tal modo le sue armi per la madre di tutte le battaglie parlamentari e cioè il bilancio 1980 nelle mani del primo Parlamento eletto.
La storia di quei mesi è ben conosciuta dai federalisti: guidati da Spinelli e da Erwin Lange, diabolico presidente SPD della Commissione bilanci (nelle lunghe notti di concertazione fra ministri e parlamentari vietava agli uscieri di portare il caffè nell’aula dove si riunivano i governi!), i deputati europei colsero di sorpresa il Consiglio e respingono il 13 dicembre 1979 il bilancio per l’esercizio successivo. Spinelli sapeva perfettamente che sarebbe stata una vittoria di Pirro perché – con la complicità del lussemburghese Thorn, presidente della Commissione – i governi approvarono sei mesi dopo un bilancio peggiore di quello respint0 a dicembre 1979. Nacque da questa sconfitta l’iniziativa del Coccodrillo fondata sulla convinzione di Spinelli e di un nucleo iniziale di innovatori che il PE avrebbe dovuto aprire un grande dibattito sulla crisi istituzionale della Comunità, nominare una commissione ad hoc incaricata di preparare il progetto, discutere e votare questo progetto dandogli la forma di un Trattato-costituzionale, proporne formalmente l’adozione ai parlamenti nazionali.
All’inizio, il Club del Coccodrillo si concentrò su tre punti: l’importanza del collegamento con l’opinione pubblica (si direbbe oggi: la società civile), il metodo parlamentare per portare a termine l’iniziativa e il contenuto del progetto per escludere sia l’opinione di chi riteneva che dovessero essere sfruttate le potenzialità dei trattati sia la tesi di chi voleva limitarsi a proporre limitate modifiche ai trattati esistenti. Gli uni e gli altri abbandonarono rumorosamente le riunioni del Club, scegliendo o la via di un nuovo intergruppo (del Canguro) per puntare al rilancio del mercato interno o la via di un sistematico ostruzionismo parlamentare.
Conquistata nonostante queste opposizioni la maggioranza del PE, Spinelli ottenne nel luglio 1981 l’approvazione di una risoluzione con la quale si procedeva alla creazione di una nuova commissione “affari istituzionali” incaricata di elaborare delle modifiche ai trattati esistenti inviandole direttamente per ratifica agli organi istituzionali competenti in ogni Stato membro. Dal dibattito in aula emerse la convinzione che le proposte di riforma sarebbero state per il Parlamento e per le forze politiche il progetto di Costituzione dell’Unione europea facendo parte della vita interna democratica della Comunità.
Un anno dopo, il PE approvò – ancora una volta a larga maggioranza – una risoluzione sugli orientamenti relativi alla riforma dei trattati e alla realizzazione dell’Unione europea fondandosi sui principi di sussidiarietà, della separazione dei poteri, sulla legittimità e sul controllo democratico, sulla partecipazione degli Stati membri e sul miglioramento della capacità di decisione delle Comunità. Sulla base di questi principi Parlamento e Consiglio avrebbero dovuto condividere poteri legislativi, di bilancio e di ratifica dei trattati internazionali lasciando alla Commissione la pienezza dei poteri di iniziativa e di esecuzione.
L’elaborazione del contenuto politico del Trattato fu quindi articolata in sei settori (struttura giuridica e diritti fondamentali, politica economica, politica della società, relazioni internazionali, politica finanziaria e di bilancio, istituzioni).
Vale la pena di ricordare i punti più controversi del dibattito parlamentare che mantengono una forte attualità.
Per quanto riguarda la struttura giuridica la discussione principale si è concentrata sull’attribuzione diretta della cittadinanza europea (che alcuni avrebbero voluto rendere autonoma da quelle nazionali) e sull’estensione della dimensione dei diritti che i “laici” avrebbero voluto estendere a quelli di natura etica e morale come l’eutanasia. Più in generale, l’opinione dei giuristi e di Spinelli era fondata sulla non opportunità di inserire nel trattato un nuovo catalogo di diritti, un’opinione seguita poi dalla commissione e poi dall’aula che decise di rinviare alle istituzioni dell’Unione il compito di redigere un catalogo autonomo rispetto agli altri strumenti internazionali come la Convenzione del Consiglio d’Europa.
Per quanto riguarda la politica economica la polemica fra i “liberisti” e i “keynesiani” si concluse con il successo dei secondi poiché il Trattato capovolse, attualizzandola, l’impostazione libero-scambista dei trattati di Roma.
Per quanto riguarda la politica della società il tema maggiore di contrasto fu la dimensione della politica regionale con la conclusione di un rovesciamento della sua funzione da politica di accompagnamento a obiettivo prioritario dell’azione economica dell’Unione.
Per quanto riguarda le relazioni internazionali, il testo finale – obiettivamente al di sotto delle aspettative dei federalisti – rappresentò il frutto di un difficile compromesso fra competenze gestite direttamente dall’Unione e competenze (come la sicurezza e la difesa) affidate ancora al metodo della cooperazione fra gli Stati.
Il dibattito in materia di finanze dell’Unione si concentrò sulle risorse proprie e la perequazione finanziaria. Nel primo caso fu rovesciato il principio di un bilancio dettato dalle entrate a favore di un bilancio dettato dai compiti dell’Unione pur con il limite di mantenere invariato il carico fiscale complessivo sui cittadini. Per quanto riguarda la perequazione finanziaria fu accolto il principio che Stati, regioni e cittadini debbono contribuire – ciascuno in funzione dei propri mezzi – al finanziamento delle azioni comuni.
Infine il dibattito sulle istituzioni presenta una forte attualità soprattutto nella parte riguardante la nomina della Commissione. Essendo stata esclusa l’ipotesi di un’elezione diretta del Presidente della Commissione (considerato un primus inter pares per privilegiare il carattere collegiale dell’esecutivo) le posizioni di partenza andavano dal modello svizzero di una nomina congiunta e in seduta comune del Parlamento e del Consiglio, a un esecutivo di nomina solo parlamentare al sistema in vigore della nomina affidata ai soli governi. La soluzione finale appare molto vicina al sistema del Trattato di Lisbona (designazione da parte del Consiglio del Presidente della Commissione, potere del presidente di scegliere i suoi ministri e voto di fiducia del Parlamento sull’intero esecutivo) con la sola eccezione del sistema imposto dai partiti nel 2014 della designazione dei candidati alla presidenza della Commissione alla vigilia delle elezioni europee.
Il dibattito finale prima dell’approvazione del Trattato non riservò sorprese salvo la questione della sua entrata in vigore dove prevalse il principio della “Europa della volontà” – che aveva consentito già alle Comunità di compiere i loro primi passi – contro il metodo dell’unanimità e la decisione di considerare il progetto non un documento di lavoro da consegnare a un’imprecisata assemblea interparlamentare (tesi sostenuta dal Movimento Europeo) ma il compromesso democratico da inviare direttamente agli Stati membri per la ratifica. “E’ evidente – scrisse Spinelli ai federalisti – che approvare la procedura del Movimento Europeo significa fondare il progetto del Parlamento europeo sulla sabbia e votarlo al fallimento”.
Mentre rischia di evaporare il consenso delle opinioni pubbliche verso il progetto di unificazione del continente e crescono movimenti che descrivono il sogno di Spinelli come un incubo da cui bisognerebbe fuggire, vale la pena di ricordare oggi le innovazioni proposte dal progetto del Parlamento europeo.
Esso fu solo apparentemente sconfitto dal metodo intergovernativo perché molte di quelle innovazioni hanno trovato, una dopo l'altra, collocazione nelle revisioni dei trattati.
Ricordiamole brevemente: l'unione politica come premessa indispensabile per sovranità condivise nei settori della moneta e della politica estera, la cittadinanza europea e i diritti fondamentali, il principio di sussidiarietà e la ripartizione delle competenze fra Unione e Stati membri, il ruolo legislativo del Parlamento europeo, l'estensione del ruolo dell'Unione a quella che Willy Brandt aveva chiamato politica della società, la semplificazione degli atti normativi, il rafforzamento del ruolo della Commissione e l'istituzionalizzazione del Consiglio europeo, il bilancio pluriennale finanziato da risorse proprie, un fondo monetario europeo e un'autorità centrale unica di controllo del sistema delle banche, una vera politica estera e della sicurezza aperta alla dimensione della difesa per contribuire al disarmo internazionale.
E’ utile ricordare anche ciò che è rimasto ancora inattuato del progetto del Parlamento europeo.
Pensiamo in particolare ad alcune competenze essenziali per garantire il ruolo dell'Unione nello sviluppo della politica della società come la cultura, l'educazione e la formazione ma anche le altre competenze che il trattato di Lisbona ha costretto nella limitata dimensione delle competenze di sostegno e che dovrebbero essere invece condivise fra Unione e Stati in particolare nella dimensione sociale.
Pensiamo alla pienezza del ruolo esecutivo della Commissione.
Pensiamo alla riduzione degli atti normativi a tre categorie: leggi-quadro, leggi organiche o costituzionali da utilizzare anche per modificare il trattato sul funzionamento dell'Unione europea e leggi di bilancio con una più rigorosa applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e l'estensione del diritto di iniziativa a una camera degli stati e al Parlamento europeo in caso di rifiuto della Commissione ad agire.
Pensiamo alla creazione di una camera degli stati con l'eliminazione degli attuali nove consigli tematici come propose Giuliano Amato nella Convenzione europea.
Pensiamo alla soppressione del potere di veto in settori chiave per lo sviluppo dell'Unione come la politica estera, la giustizia penale, la politica fiscale e le risorse proprie rafforzando contemporaneamente i poteri democratici del Parlamento europeo.
Pensiamo all'introduzione di un sistema di perequazione finanziaria come quello in vigore in Germania e agli strumenti dei prestiti e mutui per garantire l'indispensabile solidarietà europea.
Pensiamo infine alla codecisione costituente a maggioranza rafforzata fra camera degli stati e Parlamento europeo.
Qualcuno potrebbe dire, come dissero a Spinelli nel 1980: "volete uscire a caccia di farfalle" ma l'influenza del progetto del Parlamento europeo del 1984 mostra che aveva ragione Spinelli.
(* testo dell'intervento tenuto al Seminario di Ventotene "Il federalismo in Europa e nel mondo" lunedì 31 agosto 2015)