Davanti al vecchio tormentone tedesco, a quel «nein» (zu allem) di Jens Weidmann, governatore della banca nazionale (calmierato dalla sagacia politica – silente, consenziente – della Merkel) Mario Draghi ha superato un nuovo esame.
L’Europa è lontana dalla quota “salvezza” (permettetemi un eufemismo calcistico). I problemi economici alla finestra sono evidenti, dalla stagnazione, alla deflazione, al rischio di un nuovo trend di disoccupazione, ai debiti pubblici nazionali inossidabili. A questo vanno ad aggiungersi gli allarmi direi più che sociali, visto che ne influenzano l’andamento e spesso le richieste di aiuti più o meno psicologici, come il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nella UE e la catastrofe umanitaria dei migranti.
La BCE presieduta da Draghi per l’ennesima volta si mette al centro del processo di “tutela” del progetto non di unificazione europea ma di “mantenimento”. Ebbene sì, Draghi con quella che alcuni osservatori hanno definito “cassetta di attrezzi” convenzionali e non convenzionali, aveva in mano la pompa della liquidità finanziaria, di stimolo alla politica monetaria. Alla vigilia dell’intervento di ieri questi strumenti, sintetizzando, erano: tassi negativi con esenzione, Quantitative easing (Qe3) più lungo e ampio, nuovi Tltro e se necessario, l’“elicottero”.
Quindi dopo un anno un nuovo bazooka (altra metafora in voga) dopo quello, il primo, del 9 marzo 2015 che aveva “sparato” acquisto di titoli pubblici insieme ad altre misure di stimolo, il che ha fatto dire a Draghi che «le nostre misure stanno funzionando», ma il Qe è rimasto, appunto, lontano dal proprio obiettivo ultimo, cioè riportare l’inflazione dell’Eurozona vicina al 2%.
La BCE col nuovo Qe ha tagliato il tasso di riferimento (refinancing rate) dallo 0,05% a zero, la marginal lending facility (liquidità a brevissimo termine - un giorno - agli istituti di credito in cambio di garanzie) dallo 0,30 allo 0,25 per cento, il deposit facility (deposito di liquidità sempre a brevissimo termine) da -0,30 a -0,40%, ha annunciato l’incremento degli acquisti mensili di titoli di Stato da 60 a 80 miliardi a partire da aprile (con termine marzo 2017), e questi tassi resteranno ai minimi a lungo «anche ben oltre l’orizzonte temporale dei nostri acquisti» di titoli di Stato, ha detto Draghi. La Bce, infine ha anche alzato al 50% dal 33% il limite acquistabile di ciascuna singola emissione di bond e inserito (per la prima volta) bond in euro emessi dalle aziende non finanziarie nel programma Qe, programmando 4 nuove Tltro (Targeted Long Term Refinancing Operations), operazioni di rifinanziamento a lungo termine alle banche, da giugno 2016 a marzo 2017 con durata di 4 anni e un tasso che potrà scendere dal tasso di 10 punti base sopra quello di riferimento fino al livello del nuovo tasso sui depositi (-0,40%).
Come osservato da Vincenzo Visco (1), il Qe non ha avuto il successo sperato perché, pur avendo contribuito alla discesa dei tassi di interesse, alla svalutazione dell’euro e ai profitti delle banche, non è stato in grado di stimolare la crescita. «Il fatto è che il Qe europeo nasce condizionato dai limiti previsti alla attività della banca centrale europea, senza condivisione dei rischi che vengono accuratamente decentrati, e con acquisti limitati ai titoli pubblici. Esso si è quindi concretizzato nell'acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario, in misura strettamente proporzionale alla partecipazione dei vari Stati al capitale della Bce, e quindi è risultato poco efficace anche ai fini della riduzione degli spreads. Così facendo si riducevano i tassi di interesse e aumentava il prezzo dei titoli spesso ben al di sopra del valore nominale, soprattutto (nel caso dell’Italia) per i titoli emessi nel 2011-12. In conseguenza le banche commerciali si sono impegnate in una intensa compravendita dei titoli nazionali realizzando cospicui guadagni di capitale con la cessione finale alla Banca Centrale nazionale. Ciò significa che le banche beneficiano di fatto di un sussidio per questa loro attività di trading, senza avere nessun reale incentivo ad aumentare il credito all'economia».
“Il pericolo non è l’inflazione bensì la deflazione e la stagnazione”. La crisi del 2007-08 ha messo in evidenza la carenza maggiore nell’assetto governativo, la netta separazione della politica fiscale e di quella monetaria, da una parte, e il rifiuto di ogni condivisione dei rischi all’interno della Eurozona, dall'altra.
Tagliare i tassi e rivedere le regole del Qe non serve, la Bce dovrebbe abolire il principio di acquisti proporzionati al peso di ogni Paese e inoltre non può fare tutto da sola, deve essere accompagnata da politiche fiscali espansive e da riforme strutturali più aggressive. "E servono gli eurobond e l’unione fiscale", così si è espresso Jeremy Lawson (2) chief economist del gruppo assicurativo britannico Standard Life (che ha in gestione 343,5 miliardi di euro di masse di risparmio). Con ciò allineando le preoccupazioni non solo per gli strumenti utilizzabili ma anche per una certa idea che il mondo finanziario londinese ha del processo di unificazione, con o senza la Gran Bretagna, dando una risposta implicita al problema.
Nella “ricetta” di Visco c’è qualcosa che supera, è vero, i trattati istitutivi della Bce caldeggiando l’adozione di una recente proposta di un economista tedesco, Andrew Watt.
Un cambiamento di rotta anche nella politica fiscale, con la BCE che acquista obbligazioni della Banca europei degli investimenti (sul mercato secondario) così da scavalcare i settori finanziario e delle società per andare direttamente ai consumatori a medio a basso reddito finanziando programmi di spesa pubblica dei singoli Paesi, rendendo tra l’altro operativo il piano Juncker (3), e sostenendo senza costi per i bilanci pubblici, il rilancio della domanda nella Eurozona.
Perché tassi di interesse reali sotto zero, se quasi permanenti, minano l'efficiente allocazione del capitale e contribuiscono anche a promuovere la concentrazione del reddito danneggiando i piccoli risparmiatori; la politica dei tassi deve essere integrata in una strategia fiscale e distributiva più ampia, implementato la spesa pubblica sulle infrastrutture e sull’aggiornamento delle competenze. A dirlo, in sostanza, è Kemal Derviş (4) già capo del programma di sviluppo delle Nazioni Unite, che conclude sottolineando come l'espansione dovrebbe finanziare un programma globale di investimenti in infrastrutture fisico e umano, concentrandosi sulle due sfide fondamentali del nostro tempo: l'energia pulita e le competenze per l'era digitale.
Sviluppo, competitività e creazione di nuovi posti di lavoro. Questo è il motto dell’azione dei federalisti oggi. Come non ricordare che il bilancio dell'UE, al di sotto della soglia del 1% del PIL europeo, non consente la mobilitazione di risorse necessaria a stimolare lo sviluppo dell'economia e l’occupazione. Quindi il piano di investimenti di 315 miliardi proposto dalla Commissione europea, è solo un passo delle richieste della campagna “New Deal for Europe”(5) anche a sostegno del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) avviato dalla Commissione europea. L’opportunità è rappresentata dalla tassa sulle transazioni finanziarie (TTF) e da una tassa sulle emissioni di anidride carbonica (CT), nonché l'emissione di euro project-bonds per finanziare investimenti in beni pubblici europei.
Approfondimenti:
1 “Un «helicopter money» per finanziare investimenti Ue”, il Sole 24 Ore, giovedì 10 marzo 2016, pagina 32.
2 Intervista a Jeremy Lawson - «Tagliare i tassi non serve, rivedere le regole del Qe» di Isabella Bufacchi, il Sole 24 Ore, giovedì 10 marzo 2016, pagina 3.
3 «Al via il “Piano Juncker”: gli investimenti come motore per far ripartire lo sviluppo e l’integrazione europea» di Mario Leone: http://europainmovimento.eu/europa/al-via-il-piano-juncker-gli-investimenti-come-motore-per-far-ripartire-lo-sviluppo-e-l-integrazione-europea.html
4 «Time for Helicopter Money?» di Kemal Derviş, 3 marzo 2016: http://www.project-syndicate.org/commentary/coordinated-monetary-policy-revive-growth-by-kemal-dervis-2016-03
5 Il sito della Campagna New Deal for Europe: www.newdeal4europe.eu dove è possibile firmare la petizione al Parlamento europeo.