Una decina di giorni fa ho partecipato ad una conferenza dal titolo “Good Europe event” organizzata dalla Friedrich Ebert Stiftung, una fondazione politica tedesca di orientamento progressista che ha la finalità di diffondere la cultura della democrazia e che lavora molto con i giovani. E’ stato un evento organizzato su un’intera giornata, con una plenaria iniziale ed una finale intervallate da gruppi di lavoro. Io ed altri sette ”ospiti internazionali” abbiamo avuto la possibilità di fare un intervento di circa dieci minuti.
Molti mi chiedono se auspico un’Unione senza o con la Gran Bretagna. Si tratta una domanda di assai ardua risposta. E’ un vero e proprio dilemma: se da un lato un cattivo compromesso con la Gran Bretagna può diventare un duro colpo per l’integrazione europea e può essere un precedente per la Francia con un fronte repubblicano messo alle strette dai lepenisti, dall’altro l’abbandono della Gran Bretagna, come scrive un brillante giornalista federalista Bernard Guetta, potrebbe essere l’ultimo chiodo sulla bara dell’UE, con costi economici difficili da quantificare. Gli effetti sull’Unione e sull’Euro delle avventure di Cameron dipenderanno più che dall’esito della partita che si gioca a Londra dalle risposte che daranno le cancellerie dei paesi dell’area euro.
Ancora più difficile è per me il pronostico sull’esito del referendum. Non so se vincerà il si o il no, ma mi pare che non lo sappiano nemmeno i sondaggisti. Sono stato due volte a Londra ed una in Scozia e mai come l’ultima volta la Gran Bretagna mi è sembrata un paese diviso: tra la Londra della bolla immobiliare e le modeste case di campagna dei paesini vicini all’aeroporto di Gatwick, tra l’elegante quartiere di Covent Garden e gli internet point negli scantinati di Charing Cross (a dieci minuti a piedi da Covent Garden), tra il 36% che ha votato Cameron alle ultime elezioni e coloro che hanno scelto i liberali, i laburisti, gli indipendentisti scozzesi o qualche altro piccolo partito localista, tra la Londra di Boris Johnson e le periferie del regno Scozia in testa.
Ho avuto la fortuna di parlare dopo tre interventi che mi hanno ispirato molto. Il responsabile esteri di uno dei principali sindacati polacchi ha affermato che per lui, nato nel 1977 e cresciuto negli anni della legge marziale del generale Jaruzelski, l’Unione Europea, seppure alle prese con mille fatiche, continua ad essere un modello; una speranza per i tanti polacchi che non si riconoscono nelle politiche autoritarie del partito di Kaczynski che oggi esprime in Polonia presidente e governo; una garanzia che non ci saranno ritorni al passato. Un’attivista impegnata nell’accoglienza dei migranti nelle stazioni ferroviarie di Praga ha denunciato il governo ceco, purtroppo guidato da un socialdemocratico, che ha accolto solo 200 profughi a fronte dei 200.000 entrati in Svezia e del milione arrivato in Germania e chiede dieci euro ai migranti per passare una notte in prigione. Una collaboratrice del partito socialdemocratico della ricca Svezia ha denunciato l’esplosione delle disuguaglianze.
Infine io sono partito dal titolo della conferenza, “la buona Europa”. In un certo senso a Londra anche gli europeisti sull’Europa devono inseguire Cameron, che spesso dice di non volere più Europa ma un’Europa che funziona meglio e nella sua prospettiva l’Europa funziona se è caratterizzata da una competizione quasi senza paletti che si gioca soprattutto sul piano fiscale. Ho esordito dicendo che è ora di finirla di dire se ci serve più Europa o meno Europa, ma dobbiamo chiederci che tipo di Europa vogliamo. Occorre ripartire da un’idea che ha almeno cinquant’anni: le “piccole patrie europee” devono mettere insieme le forze per fronteggiare sfide gigantesche come le crescenti disuguaglianze, la crisi dei migranti e i disordini esplosivi a partire da quelli dell’Africa e del Medio Oriente. Serve un’Europa federale che abbia istituzioni adeguate per ridurre le disuguaglianze tra gli Stati membri ed all’interno degli Stati membri, che abbia una politica comune per l’immigrazione e per l’asilo e che abbia un ministro degli esteri. Serve un vero compromesso tra solidarietà e responsabilità, i muri che si costruiscono oggi dimostrano che questo compromesso manca da molti anni. Ho sintetizzato dicendo che senza un’Europa federale e senza una politica europea dell’immigrazione non c’è futuro.
Ancora una volta sono rimasto stupito perché qualcuno mi ha ringraziato per aver rappresentato una posizione originale, eppure le mie idee sono le stesse di Altiero Spinelli. Le cento persone che ho incontrato a Londra non rappresentano la Gran Bretagna, le cento persone che ho incontrato a Londra non si sono convertite grazie a me ad un nuovo credo politico, ma so che ricorderanno per un po’ quell’italiano che, in una Londra spaccata a metà tra chi vuole meno Europa e chi zero Europa, ha rappresentato le posizioni federaliste. E’ innegabile che stiamo vivendo anni drammatici ed il futuro della casa comune europea è assai dubbio: o si va avanti o si smantella tutto! In giro per l’Europa esistono milioni di persone che credono in un futuro di pace e solidarietà, stiamo aspettando solo qualcuno capace di unire questo popolo in un grande progetto.