Di nuovo sul banco degli imputati e come al solito senza avvocato difensore. Parliamo dell’Unione europea e della rivolta dei trattori.
Iniziamo col dire che gli agricoltori hanno tante buone ragioni per essere arrabbiati. Quello appena trascorso può essere definito annus horribilis per chi lavora nei campi. IL 2023 è iniziato con un inverno eccezionalmente mite e siccitoso. Poi le alluvioni in Grecia, Francia, Germania ed Italia, che hanno causato danni per circa 17 miliardi (9 dei quali riguardano la sola Emilia-Romagna). Come se non bastasse la guerra in Ucraina ha causato almeno due conseguenze particolarmente gravi per l’agricoltura: l’impennata dei costi energetici ed il calo dei prezzi dei cereali, crollati di circa il 30% nel 2023.
E’ colpa dell’Unione europea? Evidentemente no. Ma stando ad alcune posizioni molto diffuse, invece bisognerebbe prendersela proprio con l’ottusa Commissione europea, e le sue folli idee, se nelle campagne infuria la protesta. In particolare, il primo responsabile sarebbe l’ormai ex super Commissario Frans Timmermans, ideatore e responsabile del famigerato Green Deal europeo.
Questo provvedimento, di cui si sente tanto parlare ma dai contenuti poco noti, è stato adottato nell’ormai lontanissimo dicembre 2019 con l’avallo di tutti i Capi di Stato e di governo dei 27 paesi membri della UE. L’obiettivo principale è quello di invertire la rotta attuale, che sta portando le nostre economie a trasformare il mondo in un luogo inospitale. Per riuscirci però, bisogna dare vita ad un nuovo corso ecologicamente sostenibile, a partire dal raggiungimento della neutralità climatica, che vuol dire fermare l’immissione nell’atmosfera di gas che innalzano la temperatura globale.
Quando venne approvato il Green Deal sembravano tutti contenti. Anche perché i dati forniti dagli scienziati dell’Agenzia europea per l’ambiente, ci dicono che dal 1980 ad oggi i danni causati dai cambiamenti climatici ammontano, solo in Europa, a quasi 1.000 miliardi. Perdite economiche che sono in costante crescita.
Se davvero si vuole passare dalle parole ai fatti, però bisogna darsi da fare. E quindi apportare dei veri cambiamenti ed essere anche disposti a sostenere qualche costo iniziale.
Concentrandoci sull’agricoltura, i passi consigliati dall’Europa sono indicati nella poco nota Strategia dal produttore al consumatore del maggio 2020, che propone di intervenire in quattro ambiti: innovare le imprese agricole; rendere più sicuri e sostenibili i modi di produzione; modificare i modelli di consumo; investire nella ricerca.
In concreto questo vuol dire, ad esempio: dare vita ad imprese agricole che si occupino di catturare il carbonio (carbon farming); creare bioraffinerie (per utilizzare, come business e non come costo, i gas prodotti dal bestiame, che inquina più delle automobili); espandere gli ambiti delle produzioni biologiche; mettere a riposo o diversificare le produzioni agricole nei campi per evitare il progressivo impoverimento del terreno.
Per rendere più sicuri i modi di fare agricoltura, si pensa tra l’altro, a: ridurre i pesticidi con prodotti e tecniche alternative; limitare l’uso di nutrienti e fertilizzanti del suolo (come azoto e fosforo), che creano inquinamento e perdita della diversità biologica; abbattere il ricorso a prodotti antimicrobici nell’alimentazione animale, che ha effetti deleteri per la salute umana (calcolati nella morte di circa 33.000 persone all’anno per l’innalzamento della resistenza ai farmaci).
E poi intervenire per ridurre lo spreco alimentare (buttiamo oltre il 20% di quello che produciamo) e incentivare la ricerca in ambito agricolo.
L’Unione però non si limita a dare buoni consigli, ci mette pure i soldi, tanti soldi. Per il quinquennio 2023-2027 sono ben 300 i miliardi del bilancio europeo destinati agli agricoltori. Finanziamenti che crescono ulteriormente se aggiungiamo quelli per la ricerca e per l’ambiente.
Oltre ai soldi poi la UE per certi tipi di intervento detta anche le regole che tutti sono tenuti a rispettare. Regole tra le quali ci sono quelle sulle Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali dei terreni (le cosiddette norme BCAA). Quelle tanto in odio ai conducenti dei trattori, che impongono la regola del riposo dei campi o della loro diversificazione produttiva (invece di lasciare il suolo incolto si possono impiantare legumi, siepi o piante ad alto fusto). Anche in questo caso però non è che l’Europa è sorda e cieca.
Prima di adottare o modificare delle norme la UE sente i diretti interessati. E tra questi ci sono da sempre le principali rappresentanze degli agricoltori. Se vede che ci sono dei problemi nell’applicare le norme, facilmente concede delle deroghe. Come è già accaduto proprio con le famigerate norme BCAA nel 2022, per le quali anche l’Italia ha applicato delle deroghe con apposite circolari governative.
Allora, il colpevole è l’Unione europea? Ed i comportamenti incriminati sarebbero il Green Deal, con il quale si vogliono eliminare le principali cause che hanno portato all’ annus horribilis degli agricoltori. Oppure la Strategia europea dal produttore al consumatore, che indica la strada da seguire per rafforzare in modo serio e sostenibile il settore dell’agricoltura. O le norme europee, adottate in modo partecipato e pronte a accogliere deroghe e modifiche con grande rapidità, come sta avvenendo anche a fronte dell’attuale protesta.
Almeno, però, all’Unione dovremo riconoscere le attenuanti generiche. Per i tanti soldi che da quando esiste, immette nel settore agricolo per sovvenzionarlo, sostenerlo e rafforzarlo. Settore, che in assenza delle Istituzioni di Bruxelles sarebbe già scomparso in Europa, perché travolto dalla concorrenza spregiudicata delle big farm americane e dai prezzi stracciati dei prodotti asiatici e del resto del mondo.
Infine, un po’ di clemenza. Per l’assenza di voci a difesa (i media e la politica, in Italia almeno, non spendono una parola a favore della UE), e per l’utilizzo ripetuto e sistematico dell’Unione come capro espiatorio di ogni male, oggi quello delle giuste preoccupazioni degli agricoltori.