Obama, l’ordine internazionale e l’Europa free-rider
In una lunga intervista di Jeffrey Goldberg, publicata su The Atlantic (April 2016), intitolata The Obama Doctrine, il Presidente americano Barack Obama discute delle linee fondamentali della sua politica estera, fornisce qualche indicazione sul futuro dell’ordine internazionale e fustiga l’Europa per la sua incapacità di assumersi responsabilità internazionali. Una breve sintesi di questa intervista e qualche commento sono necessari per evidenziare i meriti di un Presidente che si è trovato a gestire una difficilissima situazione interna e internazionale.
Una rivoluzione copernicana nell’agenda internazionale
(*) Secondo Aristotele la vittoria più grande è la conquista di sé stessi. Il dominio di sé è uno degli ostacoli individuali più importanti da affrontare.
Dodici anni di ostracismo mondiale hanno congelato le relazioni dell’Argentina dal concerto delle nazioni, svelando l’assenza di dominio di sé nella stesura di un’agenda globale e confinando le relazioni internazionali ad un mero piano di politica domestica.
Oggi assistiamo ad un cambio olistico. Dall’inizio del 2016 il Presidente Mauricio Macri si è riunito, al Foro Economico di Davos (Svizzera), con il Primo Ministro inglese, David Cameron. Il 16 di questo mese ha ricevuto il premier italiano, Matteo Renzi, mentre il 25 febbraio incontrerà il Presidente francese, Francoise Hollande.
Ruggine americana e modello sociale europeo
In questi anni i mezzi di informazione ci hanno dato l’idea che mentre gli Stati Uniti, dove è nata la crisi, ripartivano l’Europa rimaneva nel pantano. La stampa anglofona definisce l’Unione Europea come un sistema non riformabile e considera il nostro welfare insostenibile. Si pensi a Wolfgang Münchau (1), che afferma tutti i giorni che l’euro imploderà domani, sostiene che il sistema pensionistico tedesco collasserà e considera la Francia una Germania dell’Est dei nostri giorni, salvo poi dover ammettere che probabilmente Parigi ha beneficiato dell’euro almeno quanto Berlino. Federico Rampini (2) che da molti anni vive dall’altra parte dell’Oceano afferma che per gli americani l’Europa è una grande repubblica di Weimar, incapace di guarire dai suoi mali. Eppure non sono così sicuro che da un latro vi sia l’America che corre e dall’altro l’Europa che sprofonda.
Cosa ci aspetta nel 2016?
Il 2015 non è stato certo un anno sereno, il Medio oriente ha continuato a bruciare, non è stata trovata una soluzione alla questione ucraina, sono cresciuti nazionalismi e fondamentalismi, Parigi e tante altre città sono state colpite da attentati terroristici, infine sui mercati hanno pesato notevoli tensioni che probabilmente non dipendono solo della Cina.
L'Accordo sul Clima di Parigi: obiettivi ambiziosi, strumenti inadeguati
L’Accordo sul Clima di Parigi del 12 dicembre 2015 va considerato di portata “storica” non solo perché "universale", in quanto approvato da quasi tutti i Paesi della Terra (195 Stati), ma perché questi hanno riconosciuto (sebbene con almeno 20 anni di colpevole ritardo) che il riscaldamento globale è un fenomeno di dimensioni mondiali e quindi va affrontato "insieme" da tutti. L’Accordo ha inoltre riconosciuto che è necessario il rapido superamento dell’era dell’energia primaria prodotta mediante l’utilizzo di carburanti fossili (carbone, petrolio, gas naturale) in quanto esso comporta rischi incalcolabili, ad opera dell’uomo, per la sopravvivenza stessa del genere umano.