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Europa in Movimento

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Aprile 2020. Milano. Sono nel mercato del lavoro dal 2007. In 13 anni ho vissuto tre grandi crisi, il credit crunch, il debito sovrano ed il coronavirus. Quest’ultima è sicuramente di gran lunga la più angosciante non solo per le ripercussioni economiche ma anche per lo strascico di morti che si porterà dietro. Siamo di fronte ad una crisi drammaticamente inedita che pure sotto il profilo economico pone sfide che somigliano a quelle delle crisi precedenti. La crisi nuova si differenzia dalle vecchie più per quantità che per qualità.

Stupisce e non poco che l’epidemia abbia colpito più duramente le regioni più avanzate del paese, in ordine Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, anche se è bene dirlo chiaramente, se i numeri definitivi fossero prossimi a quelli di oggi, e io mi auguro di cuore che i numeri smettano di crescere, il disastro registrato in Lombardia non sarebbe in alcun modo paragonabile a quello di nessun altra regione italiana. Ad oggi in Lombardia si contano oltre 12.000 decessi ufficiali, ovvero il 52% di quelli riportati sul territorio nazionale e il 7-8% dei morti di tutto il mondo. La Lombardia ha poco più dello 0,1% degli abitanti del mondo. Altro parametro che deve fare riflettere è l’incidenza dei morti sulla popolazione. In Lombardia è lo 0,12%. In Emilia Romagna è lo 0,07%, in Piemonte lo 0,05%, in Veneto lo 0,02%.

Ora la giunta regionale, probabilmente sostenuta in questo da una parte consistente dei lombardi, sta provando a negare in tutti i modi che in Lombardia le cose siano andate molto peggio che nelle altre regioni italiane, ma si tratta di una prospettiva che allo stato attuale stride parecchio con i numeri. A tal proposito reputo illuminate leggere lessons from Italy’s response to coronavirus, scritto da Gary Pisano, Raffaella Sadun e Michele Zanini per Harward Business Review. I tre ricercatori sottolineano che la Lombardia è stata colpita in modo enorme (letteralmente disproportionately hit) dal Covid-19 nonostante sia tra le regioni più ricche e avanzate d’Europa (letteralmente wealthiest and most productive). Ora bisogna dirlo con chiarezza, nessuno vuol fare un processo al modello Lombardia o ancora peggio allo stile di vita lombardo tout court, ma certamente la Lombardia (ed in misura minore anche l’Emilia Romagna) deve chiedersi cosa è andato storto. Occorreranno di certo approfondimenti ma la regione con più risorse in Italia, di fronte alla più grossa sfida sanitaria degli ultimi cento anni ha avuto una performance assai inferiore quella di regioni meno attrezzate. Una possibile lettura è che la sanità lombarda è una macchina da guerra che in tempi ordinari contribuisce a salvare migliaia di italiani molti dei quali non residenti in Lombardia, ma in tempi straordinari e di fronte a sfide nuove ha reazioni inferiori rispetto a quelle di altri sistemi. Occorre quindi migliorare dove si registrano le perfomance peggiori, non certo buttar via il bambino con l’acqua sporca.

Il mio pensiero va quindi a quello che ho vissuto in una precedente grande crisi. Nei giorni di Lehman Brothers lavoravo per un noto professionista che assisteva molte società quotate, e ricorderò per sempre le sue parole. Disse una mattina “tu puoi redigere il tuo bilancio dicendo che non sei per nulla intaccato dalla crisi, magari i revisori te lo firmano anche, nessuno ti porta in tribunale, ma il tuo bilancio non lo guarderà più nessuno”. Di fronte ad una grande crisi ogni società quotata rileva in bilancio un impatto negativo, le posizioni del management della società che si rifiutasse di ammettere l’esistenza della crisi non verrebbero più prese in considerazione dal mercato e gli analisti terzi quantificherebbero da fuori l’effetto le perdite, penalizzando moltissimo la società reticente per la sua opacità. Ora noi tutti cittadini residenti in Lombardia dobbiamo essere consapevoli che ci guarda tutto il mondo. La Lombardia è la regione più ricca di un paese nel suo complesso nelle primissime posizioni al mondo per efficienza del sistema sanitario. Se continuiamo a dire che tutto è andato bene osservatori terzi decideranno cosa è andato male prescindendo da quello che diciamo noi. Non avremo alcuna voce in capitolo sulla questione . Le produzioni delle economie moderne tanto si fondano sulla reputazione, ed un impatto negativo sulla reputazione dovuto ad un rifiuto più che totale di rimettere in discussione non un intero modello regione, che resta comunque vincente, ma alcune cose che non hanno funzionato avrebbe conseguenze più drammatiche di una settimana in più di lockdown.

Io temo che la Regione stia insistendo su un approccio che forse fino ai primi giorni di marzo era spostato anche dal governo: non fermare l’economia e non dare spiegazioni sulle cose che non stanno funzionando. Tale approccio ha il grosso limite di guardare al fatturato del prossimo mese e di prescindere dalla reputazione. Se continuiamo a dire che non abbiamo sbagliato nulla nessuno ci riconoscerà che non abbiamo sbagliato nulla, quasi tutti penseranno che non impareremo nulla dai nostri errori. Se non facciamo una zona rossa in due o tre comuni altamente industrializzati salviamo il fatturato del prossimo mese delle imprese di quei due o tre comuni ma massacriamo il fatturato del prossimo anno delle imprese dell’intero paese. Se decidiamo di superare le misure restrittive contro il parere della comunità scientifica, se poi l’epidemia ha una nuova impennata allunghiamo i tempi del ritorno alla normalità e diamo l’idea di non avere alcuna strategia. Ecco che forse essere trasparenti e salvare vite umane vuol dire fare il bene dell’economia. E sia bene inteso essere trasparenti non significa dire che non ne abbiamo mai azzeccata una in vita nostra, ma che questa volta abbiamo sbagliato qualcosa.

Autore
Salvatore Sinagra
Author: Salvatore Sinagra
Bio
Nato a Palermo nel 1984. Laureato in Economia e legislazione per l’impresa all’Università Bocconi. Vive a Milano. Si occupa di valutazione di partecipazioni industriali e finanziarie. È un convinto sostenitore del federalismo europeo e della necessità di piani di investimento europei che rilancino il tessuto industriale europeo puntando sulle nuove tecnologie. E' membro del comitato centrale del Movimento Federalista Europeo dal 2015.
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