Le forze del nazional-populismo stanno assediando i partiti di centro-destra e centro-sinistra che hanno guidato i paesi dell’Unione europea sin dalla sua fondazione. I governi europei non riescono più ad arginare l’assalto. Nel 2017 tutti aspettano con preoccupazione i risultati elettorali di Olanda, Francia, Germania e Italia per fare qualche cosa, ma nessuno dice cosa succederà alla fine dell’estenuante attesa. L’Unione europea è bloccata.
L’effetto domino, iniziato con la Brexit, può continuare in modo drammatico se uno dei paesi fondatori dell’Unione sarà travolto dall’ondata euroscettica. Un piano per contenere lo tsunami non esiste. L’europeismo dei partiti tradizionali non è certo la risposta adeguata. L’europeismo può significare genericamente un atteggiamento culturale a favore dei valori europei oppure – questo è il significato politico che intendo discutere – è un’ideologia intergovernativa dell’unificazione europea. E’ un’ideologia che si pronuncia a favore dell’unificazione europea, ma a patto che si conservi la sovranità nazionale in alcuni settori vitali, come la fiscalità e la difesa. L’europeismo è dunque un punto di vista contradditorio che consente ai governi e ai partiti di dichiararsi a favore dell’unità dell’Europa e, nel contempo, mantenerla divisa. Oggi si dichiarano europeisti anche economisti di destra (come Sinn) e di sinistra (come Stiglitz) che propongono il ritorno a cambi semi-flessibili tra le monete europee, con l’argomentazione che l’unione monetaria va smantellata, ma che l’integrazione europea può continuare senza problemi.
La realtà politica internazionale sta, tuttavia, evolvendo rapidamente in una direzione che costringerà le forze politiche a soccombere alle forze del nazionalismo, oppure a superare il paravento intergovernativo dell’europeismo, accettando apertamente nuovi progetti sovranazionali e federalisti di governo dell’Unione.
Possiamo tentare di chiarire il bivio di fronte al quale si trova la politica europea mediante una sommaria analogia con la situazione degli anni Venti e Trenta, tra le due guerre mondiali. Gli USA, dopo aver proposto la Società delle Nazioni, hanno scelto la via dell’isolazionismo, abbandonando gli stati europei al loro destino. Ben presto si sono riaccesi i conflitti tra gli stati nazionali, in particolar il conflitto franco-tedesco, alimentato dalla contesa sulle residue riparazioni belliche, ha fatto deragliare il sistema europeo degli stati dai binari tracciati da secoli di diplomazia. Le fragili democrazie europee non hanno retto all’urto delle forze sovversive, interne ed esterne, alimentate da partiti violenti, xenofobi, anti-parlamentari e anti-democratici.
L’Italia è stata il primo paese a cedere al fascismo, i cui germi si sono diffusi ovunque, dalla Spagna, al Portogallo, dalla Polonia, alla Romania e all’Ungheria. Il colpo di grazia è stato assestato dalla conquista del potere da parte del Partito nazional-socialista. Hitler dopo la sua vittoria elettorale ha dichiarato all’ex-Cancelliere della Repubblica di Weimar, Brüning: “è una tesi fondamentale della democrazia che tutto il potere deriva dal popolo”. La democrazia non impedisce che un dittatore riesca a conquistare il governo di uno stato; è una forma di governo che può affermarsi e svilupparsi liberamente solo in un sistema internazionale pacifico. Il fermento democratico degenera facilmente in demagogia e populismo se le istituzioni di governo non sono tali da garantire che le richieste popolari si traducano, seguendo canali costituzionali ben delineati, in politiche efficaci. Quando la lotta politica diventa violenza verbale, fisica e militare, la democrazia soccombe alle forze del totalitarismo. Per questo, i tentativi di curare le disfunzioni dei sistemi democratici mediante riforme limitate alle costituzioni nazionali e ai regimi elettorali – com’è avvenuto con la Repubblica di Weimar – sono illusioni prive di sbocchi rilevanti.
La situazione politica europea, oggi, differisce tuttavia da quella degli anni Trenta. Mentre la SDN, priva della guida statunitense, si è dimostrata un velo pacifista troppo fragile per non essere lacerato dalle esplosioni di violenza in Europa, oggi esiste l’Unione europea, che ha basi sovranazionali più solide. E’ proprio per questo che le forze eversive del populismo e del nazionalismo si accaniscono contro le istituzioni europee. Vogliono avere mano libera per ripristinare le frontiere e la sovranità nazionale, nel tentativo impossibile di riprendere il controllo di una sovranità popolare che, nel quadro nazionale, non esiste più; è solo un ingannevole mito, perché la sovranità popolare senza poteri effettivi di governo nella politica internazionale è un miraggio. Oggi, le grandi decisioni sul futuro del mondo sono prese dalle potenze continentali. Gli stati europei non sono indipendenti e sovrani; divisi diventeranno una facile preda delle grandi potenze, che stanno già sviluppando politiche attive, secondo la massima del divide et impera: basti ricordare le lusinghe di Putin ai partiti nazionalisti di Francia, Italia, Ungheria, Ucraina, ecc. E politiche non dissimili si stanno manifestando da parte degli USA e della Cina. Se l’Unione europea si sgretolasse, assisteremmo alla balcanizzazione dell’Europa, con risultati tragici, non dissimili da quelli che si sono manifestati in occasione della dissoluzione della ex-Jugoslavia, compresa la pulizia etnica.
L’europeismo intergovernativo non rappresenterà certo un baluardo sufficiente contro le promesse e i ricatti provenienti dalle grandi potenze continentali. L’europeismo non è stato sufficiente per arginare i danni della crisi finanziaria del 2008: l’economia europea è oggi la palla al piede dell’economia mondiale. L’europeismo è stato la causa della crisi ucraina, perché ha illuso i suoi vicini senza saper opporre alcuna barriera significativa a una prevedibile reazione russa. L’europeismo ha fallito nei confronti della politica di sviluppo che ha più volte promesso per l’Africa e il Medio Oriente. L’europeismo, incapace di avviare una seria politica per l’accoglienza e l’assistenza di popolazioni disperate, ha fallito nei confronti delle ondate migratorie verso l’Europa, trasformandola in una terra di conquista. L’europeismo intergovernativo è il maggiore ostacolo alla creazione di una polizia europea contro la minaccia terroristica. Se i governi europei continueranno a ingannare i loro cittadini con slogan del tipo ‘più Europa’ senza affidare reali poteri a un governo europeo, finiranno per essere travolti da chi denuncia, con ragione, la sostanziale irrilevanza di maldestre promesse. L’europeismo ha raggiunto il suo limite estremo: al di là vi è solo la scelta tra la morte dell’Unione o la sua trasformazione in un’unione federale.
L’Unione europea ha ancora un futuro? Rispetto alla SDN, l’unione europea ha un vantaggio consistente: ha istituzioni federali, come la Commissione, il Parlamento europeo, la Corte di Giustizia e la BCE. E’ vero che il Consiglio, dove si decidono le politiche intergovernative, ha oggi preso il sopravvento, a causa del vento nazionalista che spira sull’Europa e sul mondo. Ma la partita per le forze favorevoli al federalismo europeo non è affatto persa. La Commissione e il Parlamento possono, se lo vogliono, agire come il federatore dell’Unione. La contro-offensiva è iniziata anni fa grazie al Gruppo Spinelli nel Parlamento europeo. Recentemente si è concretizzata con l’approvazione, nella Commissione costituzionale, dei due rapporti Bresso-Brock e Verhofstadt. Con il primo si possono avviare alcuni processi di tipo sovranazionale, come una cooperazione rafforzata per la difesa europea. Con il secondo, si possono portare a compimento riforme che prevedono la creazione di un’unione fiscale, l’istituzione di un Ministro del Tesoro e di un Ministro degli esteri, una difesa europea e la trasformazione della Commissione in un governo democratico europeo. Il rilancio europeo costringerà i nazional-populisti a esprimersi su progetti innovativi e su programmi di governo. E’ facile protestare contro governi inetti. E’ più difficile criticare proposte efficaci per risolvere i problemi sociali, economici e di sicurezza dei cittadini europei.
Esiste dunque un nucleo di resistenza al nazionalismo e al populismo che può invertire la tendenza attuale verso la disgregazione. Va solo aggiunto che la lotta politica che i ‘federatori’ dovranno affrontare non potrà avere successo se non si denunceranno con fermezza le mezze misure. La scelta è ormai tra avanzare uniti verso la federazione o accettare la resa di fronte all’ondata reazionaria. La linea di divisione tra forze progressiste e forze reazionarie, tracciata nel Manifesto di Ventotene, oggi divide nelle loro città i cittadini europei, non solo i partiti dentro il Parlamento europeo, com’è avvenuto con il Progetto Spinelli del 1984. La battaglia sarà a tutto campo e a viso aperto: o si vince o si perde. I cittadini europei si aspettano che forze politiche nuove e coraggiose propongano loro delle prospettive di progresso e di governo dell’Unione che i vecchi partiti europeistici non hanno mai avuto il coraggio di concepire. Uniti, ‘i federatori’ vinceranno.