*di Ottavio Lavaggi
A trent’anni dalla scomparsa di Altiero Spinelli, la crisi, ora manifesta, del processo d’integrazione europea, permette di apprezzare la piena validità della battaglia federalista da lui ingaggiata nel primo Parlamento Europeo eletto a suffragiouniversaledirettonel1979’84, e l’immane costo della sconfitta allora subita.
In quegli anni si confrontarono due diverse visioni del processo d’integrazione europea. La tesi, federalista, impersonata da Altiero, considerava la riforma istituzionale di una CEE, che si voleva trasformare in embrione di vera Unione Politica, come una premessa indispensabile per trasferire a istituzioni comuni competenze delimitate ma sostanziali. Istituzioni dotate, necessariamente, di legittimazione democratica diretta. La visione degli europeisti“pragmatici”,invece,preferiva evitare un “balzo in avanti” istituzionale, che poteva essere politicamente traumatico in alcuni paesi membri,ritenendo che il procedere dell’integrazione economica e monetaria avrebbe consentito di raggiungere il medesimo risultato con gradualità, senza bisogno di“rotture”.I successivi vent’anni di vita europea, in effetti, sembravano dar ragione alla prudenza dei “pragmatici”: la Comunità è divenuta Unione, le frontiere interne quasi totalmente soppresse, gli Stati membri aumentati da 12 a 27, la moneta comune una realtà consolidata. Gli ostacoli politici incontrati nei successivi tentativi di approvare una vera riforma Costituzionale dell’unione, portavano ulteriore acqua al mulino dei “gradualisti”:lasciate mercato e moneta lavorare per un’integrazione reale e irreversibile... le riforme politiche seguiranno poi naturalmente...La solidità politica ed economica del modello “gradualista” è stata messa però alla prova dalla crisi economica globale deflagrata nel 2008, e dagli sconvolgimenti politici nei paesi islamici prossimi al vecchio continente. L'architettura “monetaria” dell’unione, nonostante la violenza della tempesta, ha sostanzialmente “tenuto”... ma i fatti hanno mostrato chiaramente che il “re” della BCE resta irrimediabilmente “zoppo”in assenza di una comune e pro-attiva politica fiscale. La crisi finanziaria si è rapidamente trasformata in crisi economica, e da questa, in crisi politica. L'abolizione delle frontiere interne, realizzata in assenza di una politica europea dell' immigrazione e di una comune difesa delle frontiere esterne, ha reso evidente la profonda fragilità dell'equilibrio esistente. L'interazione tra il profondo disagio sociale generato da una crisi economica che perdura da otto anni, e i timori suscitati dalla fragilità delle frontiere esterne dell'Unione, ha prodotto un risultato politico senza precedenti nell'ultimo cinquantennio europeo: una rinascita virulenta dei nazionalismi. Come l'Europa possa uscire da questa impasse,è difficile prevedere, e il compito di trovare il cammino giusto spetta necessariamente a generazioni successive a quella dei federalisti che molti anni fa condivisero le battaglie europee di Altiero Spinelli. Internet, la globalizzazione dei mercati, l’uso dell’inglese come “lingua franca” ed Easyjet hanno prodotto nuove generazioni di europei intrinsecamente molto più cosmopolite delle precedenti. C'è forse dunque consentito sperare che i giovani europei abbiano la perspicacia di comprendere che le ragioni profonde dalla crisi che stiamo attraversando non si trovano in un eccesso d’integrazione, in un eccesso di libertà di muoversi e di intraprendere, ma nella fragilità delle istituzioni democratiche e delle politiche comuni poste in essere per salvaguardare efficacemente le libertà e la prosperità degli europei. E ci auguriamo che questa consapevolezza emerga, e si concreti in azione politica coerente, senza dover prima sperimentare la perdita di libertà e agi che tendiamo a dare per scontati, abituati come siamo da decenni a goderne, dimenticando quanto dolorosa possa essere la loro mancanza, e quanto ardua la lotta per riconquistarli, se perduti.