“Terra arsa e rossa
Terra di sud, terra di sud
Terra di confine
Terra di dove finisce la terra”
Ho voluto iniziare con alcuni versi della canzone Il ballo di San Vito, di Vinicio Capossela, proprio per esprimervi il significato che attribuiamo noi calabresi alla militanza politica federalista.
Lo potremmo definire un federalismo “di confine”, sia nel senso fisico, geografico, sia nel senso culturale, economico, sociale.
Si tratta di un confine come luogo di osmosi tra culture, popoli, idee.
Di conseguenza, uno spazio di contaminazione, di conflitto positivo e generatore di novità.
Non solo quello, però: confine anche nel senso di una zona grigia, nella quale ciò che è lucido può diventare opaco, ciò che è bello può divenire brutto, ciò che è sano può essere corrotto. Il tocco mortifero della ‘Ndrangheta che, al contrario di Re Mida, trasforma l’oro in nient’altro che ruggine senza metallo.
Una zona, quindi, nella quale il conflitto può anche non essere creativo, né positivo, ma generare nient’altro che morte, in tutti i sensi voi possiate o vogliate spingervi a intendere questa parola.
Contraddizione e paradosso.
Impegnarsi in una battaglia come quella per unire l’Europa e magari il Mondo, perciò, vuol dire in Calabria lavorare parimenti per creare le condizioni necessarie e sufficienti affinché siano rispettati e garantiti a tutti degli standard di libertà, uguaglianza e giustizia sociale, insomma diritti umani, politici, sociali.
La pace, fine ultimo della battaglia storica di noi federalisti, non è infatti, almeno a nostro modesto avviso, la semplice assenza di guerra, ma va intesa, in senso più ampio, come la possibilità per tutte le persone di vedersi garantiti in ogni momento della loro vita, in qualunque luogo essi si trovino, i diritti che gli spettano dalla nascita, in quanto esseri umani e cittadini.
Qui arriviamo a Riace.
È proprio qui che si sviluppa il conflitto.
Un conflitto creativo che è riuscito a diventare un’occasione di rigenerazione economica, politica, sociale per un paese che, all’anno 1999, stava irreversibilmente spopolandosi e morendo, stava sparendo.
Quella di Riace è una storia di confine, una storia di umanità, la storia della cosiddetta “utopia della normalità”.
Potrei raccontarvi di case abbandonate da decenni a se stesse e adesso abitate di nuovo, di botteghe che si pensava avessero chiuso per sempre e che hanno invece riaperto i battenti, di piazze e vicoli vuoti e silenziosi rianimatisi con le voci di bambini (scuri di carnagione e con l’accento calabrese, non molto differenti dall’originale, in fondo!).
Potrei ancora parlarvi dell’acqua pubblica, gratuita e potabile che si beve a Riace, così come della raccolta differenziata a dorso di mulo e della villa del boss che il Comune sta trasformando in ostello della gioventù.
Preferisco però non soffermarmi su tutto ciò, bensì affrontare il tema più rilevante, quello che fa più paura, che intimorisce la ‘Ndrangheta: Riace è il luogo dell’umanità, Riace è il luogo dove locale, nazionale ed europeo si incontrano, si integrano e generano novità.
È lì che oggi si realizza, certo in piccolo, quella pace che non è altro che l’affermazione e la garanzia dei diritti umani, politici e sociali cui accennavo prima.
Lì l’integrazione avviene a scuola e per tutti, bianchi e neri, lì l’integrazione avviene a lavoro, dove nelle botteghe, nelle cooperative, nelle imprese lavorano assieme cittadini italiani di nascita e di acquisizione. Se vi capiterà di passarci, e vi consiglio di farlo, potrete anche assaggiare le prelibatezze di Donna Rosa, una trattoria che ha nel suo menù piatti tipici calabresi e africani insieme!
Al di là di questa nota di colore, mi ha sempre colpito cosa dichiarò Giovanni Brusca, il mafioso che fece saltare in aria Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, al giornalista Saverio Lodato nel 1999: “Cosa Nostra scomparirà se i «capi» resteranno senza «eserciti»; se il suo progetto non sarà più vincente, come negli anni in cui impugnando una pistola o un fucile potevi fare i soldi o morire; se certi politici siciliani smetteranno di corteggiarla, anche se solo nei periodi delle elezioni”1.
La realtà dei fatti è questa: il modello Riace, che è vincente, replicabile e soprattutto già replicato in altri comuni della Locride, sta contribuendo a svuotare in maniera imprevista gli “eserciti” della ‘Ndrangheta, ha creato e sta creando una comunità di “disertori”, per così dire, che sta costruendo qualcosa di nuovo.
Magari qualcuno di voi starà chiedendosi cosa c’entri tutto ciò con il federalismo.
Ve lo assicuro, non si tratta dell’ennesimo piagnisteo calabrese, al contrario.
La ‘Ndrangheta rappresenta oggi forse la vera prima big company tutta europea con un fatturato annuo stimato per difetto intorno ai 53 miliardi di Euro: essa gestisce in tutto il Continente, tra le tante altre cose, oltre l’80% del traffico di cocaina e buona parte di quello di cannabis, eroina etc., e ha compreso infatti, fin dalla fine degli anni ’70, la necessità di espandersi e darsi una struttura e una forma nazionali prima e continentali poi.
Difendere Riace dunque, vuol dire giocare d’attacco nei confronti di una criminalità organizzata che è qualcosa di più di una semplice organizzazione criminale, è una mentalità, è una (non)cultura non più soltanto meridionale che ti penetra dentro, quasi una specie di peccato originale, qualcosa che sciupa, violenta, distrugge tutto ciò che di sano e bello c’è nella società, e non solo in Calabria ma in tutta Europa.
Le mafie si nutrono delle disuguaglianze sociali, delle paure, dei bisogni della gente, per questo lottare per un’Europa giusta, democratica, federale, UMANA, mi appare nient’altro che la normale continuazione della battaglia di Lucano a Riace, ma pure di tanti altri Sindaci nella Locride e non solo. Almeno, se ancora pensiamo che il militante federalista sia “colui che fa della contraddizione tra i fatti e i valori una questione personale”2.
Le cose, non so a voi, ma a me appaiono chiaramente nella loro complementarità.
Ricordiamolo sempre: compiere azioni illegali è sbagliato, è reato; ricordiamoci allo stesso modo, tuttavia, che anche chi denunciò Anna Frank, settant’anni fa, agì nel perimetro della legalità.
Voglio concludere allo stesso modo nel quale ho iniziato, cioè citandovi alcuni versi di una canzone di Mimmo Cavallaro, L’Europa che danza:
Arcobaleno dentro al mare
L'Europa è da cambiare
Al ritmo ancestrale della musica popolare
Al ritmo ancestrale della musica popolare.
E l'Europa canta e suona da Berlino a Kaulonia, da Reggio a Lisbona,
da Zurigo a Barcellona,
da Parigi fino a Roma uniti nella stessa
danza i popoli dell'Europa, dell'Europa che danza
i popoli dell'Europa, dell'Europa che danza.
Da Nord a Sud, da Est a Ovest, il cambiamento arriverà dai confini. Non lasciamoci travolgere, facciamo in modo che la nostra Civiltà Europea non venga travolta.
#RiaceNonSiArresta
Intelligenti pauca.
1 Lodato S., Ho ucciso Giovanni Falcone, 2018, pag. 153.
2 Albertini M., Una rivoluzione pacifica. Dalle nazioni all’Europa, 1999, pag. 139.