Dal 2010 il presidente della Commissione tiene annualmente un discorso sullo stato dell'Unione. Si tratta evidentemente di un passaggio istituzionale mutuato dagli Stati Uniti con l'obiettivo di avvicinare le istituzioni europee ai cittadini. Tale discorso aveva poco senso quando il presidente della Commissione veniva scelto dai capi di governo, ha un po' più di rilevanza oggi che abbiamo un presidente ché e' stato scelto perché era il candidato della famiglia politica che alle elezioni europee ha ottenuto più voti e potrebbe diventare assai importante se socialisti, popolari, verdi e liberali decidessero di diventare veri partiti europei.
Non si può parlare di stato dell'Unione Europea senza inquadrare il presidente della Commissione Juncker, lussemburghese, 52 anni, premier del suo paese per quasi vent'anni, per la sua carriera dentro e fuori dal mondo della politica; ha una grandissima conoscenza delle istituzioni europee, e' un popolare vecchio stampo vicino per prospettive a tanti che dal Partito Popolare Europeo sono usciti, perché non condividevano gli allargamenti a destra. E' assai riconosciuto nell'arena internazionale per le sue capacità ma purtroppo è delegittimato perché per troppi anni e' stato il leader di un paese che dando ospitalità ai grandi evasori ha sottratto moltissime tasse agli altri partner europei.
Juncker nel 2014 viene candidato dal Partito Popolare Europeo alla presidenza della Commissione con un programma che sostanzialmente difende l'operato del suo predecessore Barroso, enfatizzando la necessità dell'austerità e quella che gli Stati di frontiera continuino a difendere l'Unione dall'immigrazione e accusando i socialisti di sponsorizzare politiche irresponsabili che favorirebbero l'inflazione e gonfierebbero la spesa pubblica. Quando diventa presidente della Commissione, anche con i voti dei socialisti, con almeno un paio di iniziative prende le distanze dal suo stesso programma elettorale che probabilmente ben pochi in Europa hanno letto: afferma di voler lanciare un piano di investimenti privati con contributo e regia pubblica per 350 miliardi e si fa promotore di un sistema di ripartizione degli immigrati che arrivano da paesi extra UE in prevalenza in Italia e in Grecia. La Commissione inoltre, facendo leva sulla normativa della concorrenza apre inchieste sugli accordi tra alcuni Stati membri e multinazionali come Fiat, McDonald's, Apple e Starbucks. Purtroppo la Commissione ha problemi di sottodimensionamento rispetto agli obiettivi di Juncker: non ha le risorse e gli strumenti per fare una vera manovra keynesiana, non ha il potere di imporre agli Stati membri un accordo sull'immigrazione e non ha veri strumenti per arginare in modo diretto la grande evasione.
Solo in questo contesto può essere inquadrato il discorso di Juncker dello scorso 14 settembre. Il presidente non nasconde che l'Unione Europea sta vivendo una crisi profonda che definisce esistenziale. Non solo dice giustamente che nel mondo la debolezza dell'Unione e' imputata ad un processo di integrazione non completato ed occorre una visione di lungo periodo ma afferma che i prossimi dodici mesi saranno cruciali: potranno essere quelli dell'integrazione oppure dell'esplosione. Non solo attacca i governi protagonisti di vertici che rimandano sempre i problemi al futuro, ma afferma che la Commissione Europea proverà a farsi carico di grandi questioni che riguardano la sicurezza e gli stili di vita degli europei.
Juncker ammonisce che per l'Unione i diritti umani sono fondamentali e che, quindi, la Commissione non tollererà atti di violenza come quelli subiti dai lavoratori polacchi in Inghilterra o governi autoritari che minacciano di usare la pena di morte. Aggiunge che tra i requisiti imprescindibili di uno stato di diritto vi sono anche i tribunali indipendenti. In questo modo redarguisce il governo polacco, quello ungherese o qualsiasi altro governo voglia tollerare episodi di violenza. In sostanza Juncker, come ha fatto il presidente Draghi con un discorso mirato in occasione della consegna del premio De Gasperi, riconosce che le paure che portano milioni di europei a guardare ai populisti sono reali, ma a tali paure vuol dare risposte serie.
Juncker rivendica che sono stati utilizzati circa 155 dei 350 milioni previsti dal suo piano e dichiara la sua intenzione di raddoppiare l'ammontare e la durata del piano. Afferma che serve una direttiva sul lavoro per impedire il dumping sociale che dovrebbe incidere sui paesi dell'est con bassissimo costo del lavoro e facilitare la parità retributiva tra uomo e donna. Aggiunge che non si rassegnerà ad un continente ad evelata disoccupazione giovanile ed ad una generazione che sta peggio di quella che l'ha preceduta; sostiene la necessità di attivare un servizio civile europeo con 100.000 volontari entro il 2020 e infine dice di voler combattere l'evasione fiscale transnazionale. Pochi giorni dopo il caso Apple garantisce che nessuno vuole stabilire le aliquote fiscali che l'Irlanda deve applicare ma nessuno degli Stati membri può con accordi opachi prestarsi a frodi fiscali.
Altro fronte su cui Juncker vuol dare risposte ai cittadini e' quello dell'immigrazione e della stabilità politica. Il presidente vuole creare in tempi brevi una guardia costiera europea e un vero database dove vengono censiti tutti coloro che entrano ed escono dall'UE; inoltre aggiunge che l'Unione deve dotarsi di una politica estera facendo parlare solo l'alto rappresentante ai tavoli che contano, come quello della Siria, fondamentali per la nostra sicurezza. A parere di Juncker e' importante per l'Europa lanciare un piano di investimenti di diverse decine di miliardi per rilanciare l'Africa.
In conclusione il presidente riconosce che sull'economia e l'immigrazione può crollare l'Unione e fa anche proposte concrete e lungimiranti come il Piano Marshall per l'Africa; rimangono sul tavolo due grossi dubbi: Juncker, ex premier di un paradiso fiscale, riuscirà ad avere la credibilità necessaria per guidare una Commissione che deve fare molto ed in un contesto difficile? Per guadagnarsi la fiducia degli europei non sarebbe stato meglio fare subito proposte forti sull'economia, pestando anche i piedi al Consiglio, per esempio sponsorizzando un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione o arrivando a dire che serve almeno sulle grosse società un'armonizzazione forte della tassazione, quindi anche su aliquote e basi imponibili? Il mio timore è che i discorsi progressisti di Juncker, senza un'azione della Commissione con impatti visibili sull'economia, continuino ad apparire conservatori a molti europei che non vedono i posti di lavoro creati dal piano Juncker ma le ferite di una crisi decennale e che non si accontentano certo dell'abbattimento dei costi del roaming.