Il fatto ed il contesto
La Commissione Europea ha stabilito che le agevolazioni fiscali garantite dalla Repubblica d'Irlanda alla Apple sono incompatibili con la normativa dell'Unione Europea. Dublino ha un'aliquota fiscale del 12,5% sulle imprese eppure questo non basta per attrarre le multinazionali con potere di ricatto illimitato, così gli irlandesi hanno sottoscritto con il colosso di Cupertino un private agreement che permette alla multinazionale di pagare un'aliquota effettiva sui profitti inferiore all'1%.
Diversi decenni fa, tra gli anni settanta e gli anni ottanta qualcuno pensò che un mercato unico non potesse prescindere da un'armonizzazione fiscale e che si dovessero fissare range di aliquote minime e massime per l'imposta sul valore aggiunto, per l'imposta sui redditi delle società e sui dividendi. All'epoca non avevamo una valuta comune ed era molto più facile capire in quale paese le grandi imprese conseguivano i loro redditi, eppure non solo i socialisti ma anche gli autentici liberali pensavano che un mercato unico non potesse prescindere da regole minime sulla tassazione diretta (imposta sui redditi di persone fisiche e società) ed indiretta (imposta sul valore aggiunto). Con grande difficoltà si stabilì che tutti i paesi UE dovevano applicare un'aliquota iva ordinaria compresa tra il 15 ed il 25% con la possibilità di un'aliquota ridotta sui beni di prima necessità. Analogo percorso si doveva fare e non si è fatto segnatamente alle imposte dirette. Le aliquote sulle imposte sui redditi erano una questione troppo politicamente sensibile per i governi nazionali, non delegabile ad alcun potere sovranazionale. Così abbiamo creduto ad un mercato unico in cui di fatto ogni Stato membro poteva fare quello che voleva in merito alle imposte sui redditi. Poi e' arrivata l'era della globalizzazione, delle riforme e dell'austerità competitiva. Prima i paesi dell'est, poi quelli del nord Europa (con parziale esclusione della Germania), la Gran Bretagna e la Spagna hanno ingaggiato una gara al ribasso sulle imposte sui redditi che ha particolarmente penalizzato paesi come l'Italia con una spesa pubblica più difficilmente comprimibile di quella di altri paesi e con governi incapaci di spalmare su tutti i cittadini il costo della crisi.
E' chiaro che la lotta all'ultima aliquota rischia di degenerare in un sistema in cui pochi paesi, se non solo uno, rimangono in piedi con grossi sacrifici, mentre tutti gli altri perdono drammaticamente. La Commissione non solo non ha mai avuto la forza e gli strumenti per sanzionare gli Stati membri che applicano alle società ed ai grandi contribuenti imposte troppo basse e rimangono in piedi solo perché rubano base imponibile agli altri partner europei ma non ha nemmeno un mandato pieno per sanzionare paesi come l'Irlanda che prestano assistenza alle grandi imprese che occultano base imponibile.
Le interpretazioni errate ma ricorrenti
1) E' fuori dal mondo chi critica una Commissione che non avendo poteri in materia di imposte usa uno strumento improprio ed insufficiente come gli aiuti di Stato per contrastare la macroevasione, perché l'evasione non altera la concorrenza meno dei dazi e di altre misure protezionistiche.
2) Ha poco senso affermare che gli irlandesi hanno il diritto di decidere se e a chi abbonare le tasse in cambio di investimenti, perché l'Irlanda e' entrata volontariamente a far parte di un'Unione monetaria e nemmeno troppi anni fa le sue banche sono state salvate con i soldi dei cittadini europei (1). Tra l'altro e' assai difficile chiedere a paesi in crisi di risanare i loro conti se non riescono a tassare le multinazionali sui profitti fatti sul loro territorio a causa di paradisi fiscali che battono bandiera UE.
3) Esagera chi afferma che con tale decisione della Commissione verranno bruciati posti di lavoro qualificati sia perché la Apple fa l'attività di ricerca e sviluppo integralmente in California, sia perché il colosso di Cupertino ha la necessità di avere un hub in Europa.
4) Dice il falso chi sostiene che la decisione della Commissione mina la certezza dello stato di diritto perché fissa con una decisione senza precedenti retroattivamente carichi fiscali, sia perché già in passato la Commissione ha condannato paesi che avevano concluso "accordi privati" con multinazionali estere (2), sia perché l'obbligo dello Stato di recuperare l'aiuto illegittimo e' una sanzione applicata da molti anni.
5) Sorprende che dopo anni di esagerata retorica sui benefici che le piccole e medie imprese hanno sul sistema paese l'opinione pubblica non si schieri con la Commissione e contro i privilegi accordati ad una multinazionale che opera tra l'altro in un settore con limitata concorrenza.
6) Tuttavia nulla stupisce di più di un amministratore delegato di una multinazionale che chiede ai cittadini irlandesi ed alla "comunità di Apple in Europa" di ribellarsi contro un intervento della Commissione Europea che uccide la sovranità di uno Stato in materia di imposte, perché proprio la globalizzazione di cui le multinazionali sono protagoniste ha annullato la sovranità fiscale degli Stati che oggi non sono per nulla liberi di fissare le loro aliquote d'imposta e devono sobbarcarsi gare al massimo ribasso.
Cosa abbiamo imparato e cosa si può fare
La morale dello scontro Apple-Commissione e' assai semplice: in un mondo dominato da grandi attori quali multinazionali, agenzie di rating e altri potentati finanziari, organizzazioni non governative, gruppi criminali e terroristici il potere dei singoli stati e' assai compresso. Le piccole patrie europee non possono quindi fare altro che cercare di mettersi insieme per recuperare insieme la sovranità perduta. La tassazione dei redditi delle grandi imprese e delle persone fisiche con grandi redditi o grandi patrimoni e' un esempio importante di materia che difficilmente oggi può essere disciplinata dai singoli stati europei, ma analoghe considerazioni possono essere fatte per esempio sulla regolamentazione del settore finanziario, sulla normativa dell'ambiente o sulla politica estera. Oggi la Commissione purtroppo si trova a combattere i paradisi fiscali con l'anomalo strumento della normativa sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato; sarebbe auspicabile che venissero attribuite ad un'istituzione federale dell'Unione o dell'area euro competenze almeno in materia di tassazione di grandi imprese, grandi redditi e grandi patrimoni. Solo così si potrebbe iniziare una lotta contro i paradisi fiscali tra cui purtroppo oggi non si annoverano solo isole tropicali, ma anche almeno cinque o sei stati UE. Un'Europa che parli con una sola voce potrebbe infine cercare di modificare il consolidato ma errato approccio secondo cui può essere sanzionato il paese che non scambia informazioni con gli altri o che pratica trattamenti di favore ai contribuenti esteri ma non un paese che applica aliquote troppo basse.
Approfondimenti
1) Thomas Piketty ne "Il capitale nel ventunesimo secolo" (originale pubblicato in francese nel 2013 da Editions du Seuil e tradotto in italiano nel 2014 da Bompiani) scrive che nell'Unione Europea esistono molti paradisi fiscali e l'Unione dovrebbe metterli fuori legge. L'unione monetaria dovrebbe essere basata sulla repressione della competizione fiscale sleale e l'Irlanda se non rinunciasse alle sue pratiche fiscali scorrette dovrebbe essere escluda dall'euro "riformato". In "Si può salvare l'Europa", una raccolta di articoli di Piketty tradotta in Italiano da Bompiani, l'economista francese critica la decisione dello troika di concedere all'Irlanda i prestiti per salvare le sue banche senza alcun mutamento nella sua politica fiscale
2) B.ROMANO, UE: Fiat e Starbucks devono rimborsare 20-30 miliardi a Lussemburgo e Olanda 21 Ottobre 2015
3) T. COOK. Sentenza UE, la lettera di Tim Cook alla comunità Apple in Europa. Corriere della Sera. 30 Agosto 2016