La Francia è croce e delizia dell’integrazione europea. I francesi Jean Monnet e Robert Schuman furono i padri delle prime istituzioni europee nel secondo dopoguerra; il ministro della difesa francese René Pleven fu il primo politico europeo a proporre un’integrazione politica quando presentò un piano per l’integrazione della difesa europea nei primi anni cinquanta; infine il presidente francese François Mitterrand fu il padre dell’Unione così come la consociamo.
D’altra parte fu però il parlamento francese a rigettare il piano di un esercito comune partorito da Pleven, che sarebbe stato ragionevole fosse bocciato durante un passaggio parlamentare in Germania perché in verità imponeva condizioni asimmetriche a danno dei tedeschi; fu Charles De Gaulle a paralizzare le istituzioni partorite in Francia con la politica della sedia vuota e a creare un precedente purtroppo poi spesso utilizzato da tanti paesi che nei momenti di svolta hanno posto condizioni per andare avanti legate più all’interesse contingente dei singoli Stati che ad una visione di lungo periodo(1); infine sono stati i francesi con il referendum sulla costituzione dell’Unione Europea a bocciare le evoluzioni del trattato che probabilmente Mitterrand considerava l’evoluzione naturale del trattato di Maastricht.
Ad oltre tre anni dall’elezione di Hollande è d’obbligo chiedersi dove va la Francia. Nel secondo paese più grande dell’area euro la povertà è aumentata meno che in molti altri contesti compresa la “ricca Germania”,(2) eppure la globalizzazione fa tremendamente paura. Se da un lato grazie ad un welfare con significativi livelli di copertura il tessuto sociale ha tenuto, dall’altro i nuovi posti di lavoro creati sono precari, poco pagati e talvolta penalizzanti(3); inoltre la questione dei migranti sta peggiorando la situazione facendo esplodere veri e propri problemi di convivenza. I cosiddetti migranti di seconda e terza generazione appaiono molto meno integrati dei loro genitori. Il paese è confuso e la classe politica non sembra avere le idee più chiare della gente comune. Hollande è stato eletto con un programma di austerità temperata con sacrifici per i più ricchi; nominando premier Manuel Valls ha fatto pensare che si volesse votare ad un approccio “offertista” per certi versi simile alle riforme fatte in Germania con Agenda 2010, adesso pare voler fare politiche keynesiane basate su investimenti pubblici. Non meno confusi appaiono presidente e governo sugli affari europei: pochi giorni fa il ministro della difesa francese Jean-Yves Le Drian ha scatenato non poche polemiche affermando che da Lampedusa, mischiati ai migranti, di sicuro arrivano in Europa numerosi terroristi. In realtà dall’analisi delle due stragi di Parigi si arriva alla conclusione che molti criminali che disseminano paura in Francia ed in Belgio sono nati in Europa; il terrorismo non è, se non in piccolissima parte, un problema di flussi migratori ed anzi forse avrebbero qualche ragione a recriminare contro Francia e Belgio che hanno lasciato fuggire attentatori come Salah Adeslam. Il ministro delle difesa francese sta di fatto affermando che o si cambia Schengen o bisogna ritornare alla sovranità nazionale; si tratta delle solita tattica con cui i politici si nascondono dietro al vincolo esterno per mascherare la loro incapacità di risolvere i problemi.
Negli ultimi giorni il presidente della banca centrale francese François Villeroy, in una dichiarazione congiunta con il suo omologo tedesco Jens Weideman, ha sostenuto che l’eurozona è ad un bivio, o si istituisce un ministro dell’area euro per l’economia, che si adoperi per la costituzione di un tesoro europeo o si dovrà scegliere tra due alternative: il ritorno alle valute nazionali o vincoli molto più stringenti per gli Stati membri. Al netto della soddisfazione di Mario Draghi, che ha appreso che uno dei suoi più significativi detrattori ha ammesso che la BCE non ha gli strumenti per lavorare bene, bisogna fare una riflessione sul fatto che ancora una volta le migliori proposte sull’integrazione europea in Francia non arrivano dai politici. Ha forse ragione Thomas Piketty quando afferma che Hollande e i socialisti francesi, con cui ha spesso lavorato, come i neogollisti sono consapevoli del fatto che solo una federazione può salvare l’Europa, ma hanno tremendamente paura che le proposte federali vengano bocciate dai francesi.(4) In sostanza i politici francesi sono intrappolati in una sorta di trauma da referendum sulla costituzione europea che la porta ad evitare l’unica soluzione possibile: il federalismo.
Il presidente della camera bassa Jean Claude Bartolone ha sottoscritto insieme a Laura Boldrini ed agli omologhi tedesco e lussemburghese una dichiarazione che va nella direzione del federalismo; pochi giorni fa Laura Boldrini ha lanciato una consultazione sull’UE e il ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni parla di unione più stretta tra i tre paesi fondatori. La risposta della politica francese sarà decisiva: la partita più importante per l’Europa si giocherà a Parigi.
(1) Si citano qua alcuni esempi, senza aspirazioni di completezza. Tutte le modifiche ai trattati relativi al funzionamento delle istituzioni europee devono essere ratificati con referendum, nel 2001 gli irlandesi bocciarono il trattato di Nizza, l’anno dopo lo approvarono con referendum in cambio della concessione di un secondo seggio in Commissione. Analogamente è difficile pensare che il Fiscal Compact avesse ottenuto il consenso dell’Ungheria se la Commissione Europea fosse stata inflessibile fin dall’inizio in merito alle derive autoritarie di Orbán
(2) F. DAVERI, La politica europea nella trappola della povertà, LaVoce.info, 23 giugno 2015
(3) Particolarmente sentito in Francia è il problema del ricollocamento nel mercato del lavoro di chi si trova disoccupato dopo in quaranta o i cinquanta anni. Si pensi alle reazioni che ha suscitato anche tra gli economisti il film la legge del mercato Stéphane Brizé, che racconta la storia di un over50 che ritorna nel mercato del lavoro dopo un periodo di disoccupazione. Il problema dei disoccupati anziani in Francia tanto sentito è probabilmente più acuto in molti altri contesti europei come l’Italia o anche la stessa Germania dove l’allora ministro del lavoro Ursula Von der Leyden arrivò un paio di anni fa a chiedere alle imprese di assumere disoccupati over50 che hanno un’esperienza che serve alla Germania
(4) T. PIKETTY; Un’unica soluzione: il federalismo. 5 giugno 2012, tradotto in Italiano in Si può salvare l’Europa, Bompiani 2015 pag. 284