La nuova costituzione non è stata scritta né dagli eurocrati né da JP Morgan
Nell'Unione esiste un meccanismo di concertazione delle politiche economiche, dove il potere di veto di Bruxelles tra l'altro non è neanche troppo lineare e chiaro, non esistono programmi europei di allineamento delle istituzioni e delle costituzioni. In compenso due organizzazioni internazionali che non hanno poteri vincolanti, l’OCSE e il Consiglio d’Europa(1) hanno censurato la scelta del 2006 del governo Berlusconi di modificare la legge elettorale a pochi mesi dalle elezioni perché indietro nei sondaggi. L’OCSE ci dice che non si cambia la legge elettorale a meno di un anno dalle elezioni(2), il Consiglio d’Europa ci dice che sarebbe opportuno che le leggi elettorali venissero approvate con procedure appesantite rispetto a quelle della legge ordinaria. Io sono perfettamente allineato a tali affermazioni non perché le hanno espresse due organizzazioni internazionali, ma perché i principi in questo caso affermati sono sacrosanti.
Questa riforma non è stata scritta da qualche grande network della finanza internazionale. Qualche tempo fa JP Morgan aveva prodotto un rapporto che sottolinea che i paesi mediterranei hanno economie deboli e debiti alti perché le costituzioni antifasciste tutelano troppo il lavoro. Si tratta di un’affermazione assai discutibile che deve essere contestualizzata nella prospettiva di un pensiero liberal-anglofono che ritiene che vi sia una relazione diretta tra l’efficienza economica da un lato ed i sistemi presidenziali e maggioritari dall’altro. In Italia tale prospettiva è rappresentata da alcune posizioni espresse dal Professor Tabellini in merito alla legge elettorale che io reputo abbastanza confuse (3). Faccio solo notare che anche la Germania ha una costituzione scritta dopo la fine di una dittatura e cresce e che la Spagna nonostante la sua costituzione antifascista ha un mercato del lavoro selvaggio. L’Italia ha un debito molto elevato ed è cresciuta meno degli altri paesi OCSE non per la prima parte della sua costituzione, ma perché una parte della sua base produttiva non si è adeguata, soprattutto sotto il profilo tecnologico, ai tempi; perché paralizzata da evasione e corruzione, per i tempi troppo lunghi della giustizia.
In ogni caso il dato essenziale è che verosimilmente gli articoli della nostra costituzione contestati da JP Morgan sono il 36 che sancisce il diritto ad un’equa retribuzione, commisurata alla qualità ed alla quantità del lavoro svolto e in ogni caso sufficiente a soddisfare i bisogni del lavoratore e della sua famiglia e il 37 che stabilisce la parità, anche retributiva, tra uomo e donna. Si tratta di articoli che per fortuna non vengono toccati dalla riforma, ma che purtroppo dal 1948 in avanti non hanno trovato attuazione. Nelle costituzioni liberali dei paesi anglofoni sarebbe impensabile scrivere il principio dell’equa retribuzione, eppure in molte città americane esiste un salario minimo che nelle più grandi arriva anche a venti dollari mentre in Italia non siamo mai riusciti a fare rispettare il salario minimo nazionale stabilito per esempio per l’agricoltura e non siamo mai riusciti a combattere il lavoro ad un euro l’ora che si nasconde nel sommerso. Altrettanto disarmanti sono i dati sul gap retributivo tar uomini e donne.
Perché non corriamo il rischio di una deriva autoritaria
Una falsa convinzione, tra l’altro alimentata dallo stesso governo per ragioni elettorali, è che questa riforma sacrificherà i pesi ed i contrappesi della nostra democrazia sull’altare della velocità. Possiamo affermare che la riforma comprimerà la nostra democrazia solo se pensiamo che un sistema in cui molte leggi vengono approvate da una sola camera sia meno democratico di un sistema che funziona con il bicameralismo perfetto. Il governo, con la riforma, andrà avanti solo con la fiducia della sola Camera ed avrà la possibilità di chiedere alla Camera di approvare un disegno di legge, essenziale per il suo programma in 70 giorni (procedimento a data certa), tuttavia esplicitamente ed implicitamente vengono introdotti non pochi contrappesi.
Le leggi relative alle regole del gioco, ovvero le leggi costituzionali, quelle che impattano sulla nostra partecipazione all’Unione Europea e quelle relative ai rapporti tra Governo e Territori verranno approvate da entrambe le camere.
E’ teoricamente possibile un abuso del procedimento a data certa, ma è la Camera che decide se sussistono i presupposti per utilizzarlo ed un governo ripetutamente battuto su questioni che esso stesso definisce essenziali si delegittima da solo
Il procedimento a data certa dovrebbe limitare l’abuso di decreti legge e fiducie. Vengono costituzionalizzati alcuni limiti all’uso del decreto legge definiti dalla corte costituzionale e poi imposti con legge ordinaria ma soprattutto quando il Presidente della Repubblica deciderà di rinviare la legge di conversione alla camera il termine per la conversione del decreto verrà prorogato di 30 giorni. Il presidente non si troverà, come con l’attuale Costituzione, costretto a scegliere tra approvare una legge di conversione discutibile e fare decadere un decreto legge, scelta che spesso provoca significativi problemi
Anche qualora venisse approvata una legge maggioritaria che dia 340 seggi a chi vince le elezioni, la maggioranza di governo dovrebbe disporre di ben 98 seggi al Senato per eleggere senza accordo con le opposizioni il Presidente della Repubblica. Il partito di governo non disporrebbe di questi numeri nemmeno vincendo con il 60 o il 70% 19 elezioni regionali e le due elezioni delle province autonome
Le leggi elettorali potranno essere modificate solo con procedimento bicamerale, in questo modo recepiamo l’indicazione del consiglio d’Europa di stabilire per le modifiche della legge elettorale un iter aggravato rispetto a quello di approvazione della legge ordinaria. Tra l’altro si noti che la legge elettorale dovrà essere approvata anche dal Senato dove non ci sarà un chiaro legame di fiducia con il governo
Non potrà essere facilmente addomesticato il senato né con la mozione di fiducia, che non potrà essere utilizzata per le leggi bicamerali, né con la minaccia dello scioglimento anticipato, perché il senato verrà rinnovato parzialmente in occasione delle elezioni regionali
Non siamo di fronte ad una riforma come quella proposta dalla bicamerale di D’Alema che ci avrebbe portati ad una repubblica semipresidenziale, forma di governo che a mio parere cercando di raggiungere troppi obiettivi non ne raggiunge nessuno (4), né ad una riforma come quella fortunatamente bocciata nel 2006 che avrebbe dato troppi poteri al premier, conferendogli il potere di sciogliere le camere e rendendo molto difficile la sfiducia (5).
La riforma e l’Unione Europea
Il nuovo senato avrà funzioni di raccordo tra lo Stato, le sue suddivisioni territoriali e l’Unione Europea. Di certo tale ruolo si concretizzerà in meccanismi di consultazione dei Consigli e delle Giunte regionali, probabilmente potrebbe concretizzarsi anche in una collaborazione con il Comitato delle Regioni, istituzione dell’Unione Europea che ha non poche similitudini con il nuovo senato (6). Il senato parteciperà all’attuazione delle politiche dell’Unione Europea approvando insieme alla camera la legge generale di partecipazione all’Unione Europea che stabilisce le regole, anche di consultazione delle Camere, con cui il governo adegua il nostro ordinamento alla normativa comunitaria. Infine il senato valuterà l’impatto sui territori delle politiche dell’Unione Europea. Tale ultimo compito deve essere inquadrato nelle più ampie competenze di studio che verranno attribuite alla seconda camera. In tempi in cui il lavoro dei tecnici assume connotati sempre più politici, si vuol riportare tale lavoro tra le mura del parlamento. I senatori dovrebbero essere scelti quindi in base alle loro competenze, ma scegliere politici capaci è una necessità con qualsiasi costituzione.
Senato e autonomie locali
In nuovo Senato sarà un ibrido tra una camera di garanzia ed una camera delle autonomie. Come la Costituzione del 1948 e quella del 2001 l’Italia continuerà a non essere un paese federale. Con l’abolizione delle competenze concorrenti si farà chiarezza sulla ripartizione di poteri tra Stati e Regioni. Si conferiranno nuovamente allo Stato competenze su materie erroneamente devolute alle Regioni, grandi reti di trasporti ed energetiche e tutela dell’ambiente, che ormai si discutono sempre più su tavoli internazionali. Si attribuiranno di nuovo allo Stato competenze su materie che la storia recente ci ha dimostrato hanno rilevanza nazionale se non internazionale, si pensi alla regolamentazione delle banche locali. Il nuovo Senato vigilerà sul rispetto del principio di sussidiarietà. Poiché nel nuovo Senato troveranno, almeno nelle regioni che eleggono più di 4 o 5 senatori rappresentanza i consigli regionali e non i governi regionali, non verrà abolita la conferenza Stato-Regioni (7), che è bene ricordare esiste in molti Stati federali.
Un giudizio complessivo
Concludendo, la riforma, contrariamente a quanto hanno fatto spesso intendere anche alcuni hooligans del SI, non sacrificherà la democrazia e il ruolo del parlamento sull’altare della velocità; più probabilmente creerà nuovi equilibri tra governo e parlamento. In anni in cui è necessario dare risposte rapide, probabilmente il parlamento troverà maggiori spazi con il voto a data certa della Camera e con un Senato in continuo contatto con le istituzioni UE e con quelle regionali e locali.
Gli interventi sul titolo V sono la parte della riforma meglio scritta, tolgono alle Regioni quelle competenze che oggi esercitano in modo inefficiente o non esercitano tout court. Da un punto di vista economico il senso di questa riforma non va cercato in risparmi per qualche centinaio di milioni dovuti al ridimensionamento dello Stato, non si cambia certo una costituzione per queste ragioni, ma in un più efficiente coordinamento delle politiche delle Regioni e dello Stato. In anni in cui denunciamo a gran voce che serve “un’Europa più politica” per coordinare le politiche economiche dei paesi dell’area euro è bene che i livelli di governo si coordino meglio anche nei confini italiani.
Certo, nonostante le modifiche che permetteranno ai cittadini di eleggere anche se indirettamente i senatori (8), ho molti dubbi su alcune caratteristiche del Senato, si pensi ai sindaci-senatori, e forse se avessi scritto io la costituzione avrei fatto svolgere qualche forma di elezione di metà mandato per avere una composizione del Senato abbastanza indipendente dalla maggioranza della Camera, ma nel complesso i benefici della riforma sono prevalenti rispetto a qualche non trascurabile aspetto molto discutibile.
Note
(1) Il Consiglio d’Europea è un’organizzazione internazionale; non è un’istituzione dell’Unione Europea, vi aderiscono 47 paesi tra cui i 27 dell’Unione Europea e la Gran Bretagna. Tutti i membri dell’organizzazione sono firmatari della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950. Istituzioni dell’organizzazione sono un’assemblea parlamentare e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, Il Consiglio d’Europa è cosa ben diversa dal Consiglio dell’Unione Europea che è un’istituzione dell’Unione Europea in cui ogni Stato membro è rappresentato da un ministro. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo è istituzione distinta dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo che vigila sull’applicazione del diritto UE
(2) Si veda a proposito Consiglio d’Europa, Codice di buona condotta in materia elettorale, 2002
(3) G. TABELLINI, Il bipolarismo non basta, serve la governabilità, IlSole24ore, 12 dicembre 2013
(4) S.SINAGRA, Semipresidenzialismo, il mito di un modello risolutivo, 8 maggio 2013
(5) Con la riforma di Berlusconi del 2006 il presidente del consiglio avrebbe avuto il potere di sciogliere la Camera e sarebbe stato più protetto che adesso dalla sfiducia, perché sarebbe stato istituito uno strano meccanismo di sfiducia costruttiva per cui si sarebbero potute evitare nuove elezioni solo se con i voti della stessa maggioranza che appoggiava il premier sfiduciato si fosse eletto un nuovo premier in 20 giorni
(6) Il Comitato delle Regioni dell’Unione Europea (CDR) è composto da 350 membri che hanno un mandato di governo regionale e locale. Avanza proposte alla commissione, valuta le politiche dell’Unione Europea ed il rispetto del principio di sussidiarietà. A differenza del Nuovo Senato i membri del CDR, nominati dal Consiglio dell’Unione Europea, rimangono in carica per 5 anni anche se scade il loro mandato territoriale
(7) E’ un’istituzione mutuata da realtà federali. Serve per coordinare le attività del Governo e delle regioni e per dare a queste ultime una “rappresentanza permanente”. In tale sede sono rappresentate le giunte regionali, che hanno per esempio la possibilità di sottoporre testi al governo. Può essere utilizzata dal governo per acquisire pareri. Svolge funzioni di raccordo. E’ disciplinata da un decreto legislativo del 2007
(8) Il primo comma del nuovo articolo 57 stabilisce che i Consigli Regionali eleggono 95 senatori, 74 tra i loro membri e 21 sindaci. Il quarto comma dello stesso articolo fa riferimento alla volontà degli elettori. Si tratta chiaramente di un articolo di compromesso. All’interno della maggioranza si sta trovando un accordo per poter far scegliere con preferenza i consiglieri-senatori ai cittadini. I Consigli Regionali ratificheranno poi le scelte dei cittadini