Andrò alla Marcia della Pace Perugia-Assisi che si tiene domenica 9 ottobre. Ci sono già andato in molte delle precedenti edizioni e ci sono andato sempre portando la bandiera europea. Per me il nesso Europa – Pace è indissolubile; come è tragicamente indissolubile il nesso Nazionalismo-Guerra. Non si tratta di una convinzione che discende da reminiscenze storiche: gli Stati che, per diversi motivi, non fanno parte dell’Unione Europea hanno conosciuto la guerra: la Jugoslavia, l’Ucraina e la Georgia con la Russia, l’Armenia con l’Azerbaigian, la Turchia nella ormai pluridecennale guerra interna contro i Curdi.
Ognuna di queste guerre ha cause e circostanze differenti, ma non può essere un caso che nell’altra parte d’Europa, quella in cui sono state realizzate istituzioni sovranazionali dotate di poteri, limitati ma reali, la guerra non sia neppure considerata come una possibilità per risolvere le controversie fra nazioni.
La persone che marceranno il 9 ottobre sono spinte da un sentimento di amore per la vita e di solidarietà con il prossimo, i loro slogan sono “basta guerre”, “disarmo”; saranno presenti associazioni impegnate in atti di concreta solidarietà (Emergency, Medici senza frontiere, Caritas, S.Egidio, Libera e ONG varie). Sarà bello marciare assieme a queste persone.
Il pacifismo, però, non è mai riuscito a fermare una guerra, si è spesso fermato agli slogan e alle esortazioni, ed è per questo che è sempre stato sconfitto, anche quando era maggioranza, come nel 2003 in occasione della seconda guerra del Golfo contro l’Iraq di Saddam.
Le persone che marceranno il 9 ottobre, in maggioranza, pensano che la guerra sia frutto di malvagità o di interessi economici, altri pensano che sia tutta colpa del neoliberismo.
Io marcerò con un’altra convinzione. Sono convinto che la guerra sia lo strumento ultimo per risolvere le controversie fra Stati quando gli strumenti diplomatici falliscono, quindi la guerra è purtroppo uno strumento “istituzionale”, previsto nelle Costituzioni, anche le più democratiche, che infatti includono l’esistenza di un esercito pronto a fare la guerra.
All’interno dello Stato le controversie tra regioni o gruppi sociali e tra questi e il governo non prevedono l’uso della forza, ma una istituzione, la magistratura, cui è affidato il compito di dirimere le vertenze. Le regioni, i gruppi sociali e il governo accettano la sovranità di questo ente superiore e indipendente. Questo in scienza politica si chiama “cessione di sovranità” e “divisione dei poteri” e garantisce la pace all’interno dello Stato.
La Pace, nel progetto federalista, consiste quindi nella “cessione di sovranità” ad un ente superiore. L’Europa, a partire dalla nascita della Comunità del Carbone e dell’Acciaio nel 1951, si è dotata di Istituzioni sovranazionali e di una Corte di Giustizia cui è affidato il compito di dirimere gran parte delle controversie fra le Istituzioni. Questo meccanismo “istituzionale” di garanzia della Pace ha funzionato e l’Europa, che si è dotata di queste Istituzioni, non ha più conosciuto guerre. Stati che si erano combattuti per secoli hanno realizzato la Pace.
Questa teoria della Pace, che risale al pensiero di Immanuel Kant (“Per la pace perpetua”) ripreso da Luigi Einaudi (“Gli ideali di un economista”) e da Lord Lothian (“Il pacifismo non basta”) è stata trasformata in progetto politico da Altiero Spinelli (“Il manifesto di Ventotene”) e non mi risulta che esistano altre elaborazioni teoriche che abbiano la stessa lucidità. L’assegnazione del premio Nobel per la Pace alla Unione Europea nel 2012 è un riconoscimento non formale della validità del federalismo come progetto di Pace.
La globalizzazione, che vede ridurre la centralità degli Stati nazionali e l’emergere di attori sovranazionali, quali la finanza internazionale, le mafie e il terrorismo, richiede anche al federalismo di aggiornare la sua pur valida teoria. Le guerre non nascono solo fra Stati sovrani, ma anche fra attori sovranazionali che non possiamo pensare di convincere a “cedere sovranità”, ed allora occorre pensare ad un ordine internazionale che sia in grado di controllare questi attori sovranazionali.
Uno degli slogan federalisti è “Unire l’Europa per unire il mondo”: occorre partire da qui. L’esempio virtuoso dell’Europa, se non verrà fermato e fatto arretrare dal risorgere del populismo nazionalista, sarà di esempio per i processi virtuosi in corso in altre parti del mondo come in America latina (Mercosur) ed in Africa occidentale (ECOWAS).
Per “Unire l’Europa” non ci si può limitare a mantenere l’attuale Unione Europea “gigante economico e nano politico”, occorre dotarla di una efficace politica estera per riempire quel vuoto di potere che oggi sta infiammando tutto il Medio oriente e incoraggiando le velleità di potenza di Russia, Turchia e di tutti i paesi e gli attori sovranazionali che vedono in questo vuoto una possibilità di egemonia.
La politica estera non si può fare se non si hanno gli strumenti del potere rappresentati dalla leva fiscale e dall’esercito. Per questo chiedere un Governo europeo dotato di risorse proprie e di un esercito controllato da un Parlamento sovranazionale non è in contraddizione con la marcia della Pace, ed è per questo che anche quest’anno sarò lì con la mia bandiera europea che non sarà certamente l’unica, perché saranno alla marcia anche i giovani della Gioventù Federalista Europea.
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