Durante il fine settimana ci sono state tre buone notizie per l’Europa ma dietro le buone notizie ci sono insidie che rischiano di annullarne l’effetto.
Il referendum ungherese
Il 57% degli elettori ungheresi ha deciso di non partecipare al referendum promosso da Viktor Orban per ottenere l’accordo dei suoi cittadini sull’Europa dei muri e delle frontiere. Dal punto di vista giuridico, la proposta di Orban è carta straccia.
Dal punto di vista politico il governo ungherese esce sconfitto dalle urne perché “solo” il 40% degli elettori si è espresso contro la solidarietà europea in materia di immigrazione. Viktor Orban – sostenuto dal silenzio assordante della sua famiglia politica europea (il PPE) – ha già annunciato che non intende rinunziare alla sua volontà di violare principi e regole dell’Unione e rilanciando anzi sul terreno costituzionale con la proposta di modificare in senso ancor più autoritario la costituzione nata dopo la caduta dell’imperialismo sovietico. E’ da oltre sei anni che il “governo di cooperazione nazionale” – insediatosi al potere nella primavera del 2010 – viola in modo grave e persistente i diritti fondamentali che stanno a fondamento dell’Unione e che sono, secondo la stessa Corte di Giustizia, superiori al Trattato di Lisbona in assenza di un atto dovuto da parte della Commissione europea o del Parlamento Europeo o di un terzo degli Stati membri che impone loro di avviare le procedure previste dall’articolo 7 del Trattato.
Sappiamo bene che il Trattato di Lisbona ha escluso il ricorso specifico dei cittadini alla Corte per violazione dei diritti fondamentali così come le ipotesi di ricorso “in carenza” contro le istituzioni europee da parte di persone fisiche o morali ma sappiamo anche che numerose sono le contestazioni della dottrina e della giurisprudenza che sottolineano l’incongruenza con l’articolo 47 della Carta dei Diritti e degli articoli 6 e 13 della CEDU.
Noi siamo convinti che nella piattaforma di rivendicazioni della società civile per la mobilitazione popolare del 25 marzo 2017 un posto di rilievo debba essere dato al rispetto dello stato di diritto negli Stati membri con lo stesso rigore con cui questo rispetto è richiesto agli Stati candidati.
La ratifica degli accordi di Parigi (COP21)
Il Consiglio dell’Unione ha dato il suo accordo per la ratifica da parte dell’Unione degli accordi di Parigi (COP21) e cinque Stati membri fra cui la Francia e la Germania hanno già fatto il loro dovere. Fra gli Stati che non hanno ancora ratificato c’è anche l’Italia e noi alle commissioni competenti della Camera e del Senato di ratificare gli accordi in sede deliberante prima di Marrakech.
Sappiamo bene che è necessario e non sufficiente che gli accordi siano ratificati dalla maggioranza degli Stati firmatari affinché entrino in vigore e quanto sia non solo simbolicamente importante che essi lo siano prima del COP22.
A Marrakech si discuterà di come passare dalle parole (gli accordi) ai fatti (gli strumenti per applicarli). L’Unione europea, che è stata a lungo il motore della lotta al cambiamento climatico, si è fatta superare ora da Stati Uniti, Cina e India che erano invece “i peggiori allievi della classe”.
L’Unione può recuperare il tempo perduto presentandosi a Marrakech in primo luogo con una posizione al contrario di quel che è avvenuto a Parigi e proponendo in secondo luogo di creare una “organizzazione mondiale dell’ambiente“ nel quadro delle Nazioni Unite seguendo il modello della CECA.
Il Governo italiano può svolgere un ruolo importante in quest’azione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e come presidente del G7 nel maggio 2017.
Infine il Primo Ministro britannico ha annunciato che la procedura di recesso del Regno Unito dall’Unione europea sarà avviata entro marzo 2017. La comunicazione ufficiale del Governo di Sua Maestà potrebbe dunque aver luogo in occasione del Consiglio europeo straordinario del 25 marzo 2017.
Chiarito il termine “a quo” dovrà essere chiarito il termine “ad quem” che non può certo essere fissato dopo le elezioni europee del maggio 2019 e i termini dell’accordo al cui interno l’Unione deve salvaguardare rigorosamente i suoi principi, i suoi valori e le regole dei Trattati fra cui la cooperazione leale e la solidarietà.
Il Movimento Europeo è convinto che la crisi dell’Unione non giustifica l’ “exit” e che rende ancor più necessaria la sua riforma in senso federale. Sono le ragioni che ci hanno condotto a lanciare un appello per una grande mobilitazione popolare il 25 marzo 2017 in occasione dell’anniversario della firma dei Trattati di Roma con la speranza che molti cittadini britannici partecipino a questa mobilitazione.