Luigi Di Maio è volato al Cairo dopo il ministro dell’interno e non si capisce bene cosa vadano a fare in Egitto due ministri che avrebbero tante cose da fare in Italia. Dal Cairo, senza specificare se parlava come viceprimo ministro a nome del governo italiano o come leader del movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio ha capricciosamente ribadito che, se l’Europa (la Commissione ? Il Consiglio ? I governi nazionali ?) non riscoprirà lo spirito di solidarietà su cui è stata fondata la Comunità l’Italia « non darà più un Euro a Bruxelles » e metterà il veto sul bilancio europeo.
Luigi Di Maio non ha più parlato dei 20 miliardi sbadatamente citati dopo il fallimento della riunione tecnica del 24 agosto. Vedremo se il ministro Tria, tornando dalla Cina, chiederà ai suoi servizi di non versare - su ordine di Di Maio- il 1• settembre la quota che rappresenta un dodicesimo del contributo italiano per ii 2018. Non sappiamo ancora se lo smemorato di Volturara Appula e il suo ministro degli esteri daranno il loro consenso esplicito o implicito a questo capriccio contabile o se l’ordine di non pagare slitterà al mese successivo e poi ancora a novembre e dicembre. Conoscendo come vanno le cose nelle istituzioni europee, possiamo dire con certezza che questo teatrino partenopeo non impressionerà né la Commissione né tantomeno i governi nazionali. Per quanto riguarda il veto minacciato/annunciato/confermato da Luigi Di Maio, il capriccio è ancora più infantile perché il bilancio 2018 è gestito dalla Commissione che lo esegue avendo avuto nel dicembre 2017 l’accordo del Consiglio e del Parlamento e il bilancio 2019 sarà votato a dicembre a maggioranza. A meno che l’Italia riesca a riunire una minoranza di bloccaggio scegliendo di tentare una difficile alleanza con i paesi che chiedono la solidarietà e la ricollocazione obbligatoria (Francia, Germania, Spagna, Grecia) o una impossibile alleanza con chi non vuole parlare di solidarietà e obbligatorietà (Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia) e vuole comunque incassare i soldi dei fondi regionali che a loro spettano.
Resterebbe la strada della “sedia vuota” richiamando a Roma l’ambasciatore Massari ma Luigi Di Maio non ha la statura del Generale De Gaulle.
Nei tre casi di scuola, Luigi Di Maio tornerà a casa come si dice con le pive nel sacco e il ministro degli esteri dovrà comprarsi un grande cappello per far riacquistare all’Italia il posto che le spetta come paese fondatore.