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Europa in Movimento

| Verso un'Europa federale e solidale

Mario Draghi al PE, "© European Union 2014 - European Parliament" (Attribution-NonCommercial-NoDerivs Creative Commons license)

“Se noi costruiremo soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, nel quale le volontà nazionali si incontrino (...) rischieremo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva”.

Alcide De Gasperi,Discorso all’assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, Strasburgo, 10 dicembre 1951.

Il “Premio De Gasperi” ai “Costruttori d'Europa” per la prima volta è stato assegnato a un tecnico e non a un politico, Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea.

La figura di De Gasperi, “nel ricordo della sua esperienza, ci trasmette un messaggio ispirato, forte, convinto: ‘In Europa si va avanti insieme nella libertà’”, così l’incipit del discorso di premiazione tenuto a Trento ieri da Draghi.

 

E nelle parole di De Gasperi richiamate, pronunciate in tanti discorsi degli anni ’50 del secolo scorso, traspare la sua visione di come avrebbe dovuto essere quel processo comunitario, una sfida comune da affrontare con “strategie sovranazionali anziché intergovernative”; in una riflessione, fatta all’Assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) del 1954, De Gasperi affermò: “dal 1919 al 1939 sono stati conclusi circa settanta trattati intergovernativi e tutti si sono ridotti a carta straccia quando si è dovuti passare alla loro attuazione, perché mancava il controllo congiunto delle risorse comuni”(1).
La storia non cambia!

Anche oggi accusiamo questa “sosta” nel processo di unificazione.

Draghi partendo da questo spunto sottolinea il male caratteristico di una stagione fatta di “governi emersi dal nazionalismo, dal populismo, da un linguaggio in cui il carisma si accompagnava alla menzogna”, che soluzioni non hanno trovato per i loro cittadini, soluzioni che avrebbero dovuto assicurare “sicurezza, equità, libertà” anzi “avevano tradito la ragione stessa della loro esistenza”.

Con la spinta di De Gasperi si concluse che “solo la cooperazione tra i paesi europei nell’ambito di una organizzazione comune poteva garantire la sicurezza reciproca dei loro cittadini” e che “la democrazia all’interno di ogni paese non sarebbe stata sufficiente”.

La soluzione all’epoca come oggi è nell’Europa, che “aveva anche bisogno di democrazia tra le sue nazioni” perché gli “steccati tra paesi li avrebbe resi più vulnerabili, anche per la loro contiguità geografica, meno sicuri; che ritirarsi all’interno dei propri confini avrebbe reso i governi meno efficaci nella loro azione”.

Anche se concentrata nel mettere in comune soltanto lo “stretto indispensabile per la realizzazione dei nostri obiettivi più immediati” disse De Gasperi, auspicando l’utilizzo di “formule flessibili” da applicare in modo “graduale e progressivo” è la lezione che deve servire, quella nata dalla necessità: il controllo congiunto delle materie prime della guerra, in particolare carbone e acciaio.

Questa necessità nasce da un’altra fondamentale “risorsa” che emerge dalle parole di Draghi: la pace.

Questa condizione umana ha assicurato benessere e crescita. “Il PIL pro capite in termini reali – ricorda Draghi - si riduce del 14% durante la Prima guerra mondiale e del 22% durante la Seconda, annullando gran parte della crescita degli anni precedenti. L’integrazione economica costruita su questa pace produce a sua volta miglioramenti significativi nel tenore di vita. Dal 1960 la crescita cumulata del PIL pro capite in termini reali è stata superiore del 33% negli UE 15 rispetto agli Stati Uniti. Nei paesi europei più poveri il tenore di vita converge verso i livelli dei più ricchi.”

Muovendo il discorso dal mercato unico che non rappresenta solo un obiettivo “diretto ad accrescere l’integrazione e l’efficienza dei mercati”, Draghi pone in risalto il grande valore politico, perché ha rappresentato e rappresenta “una società libera e aperta, una scelta dei cittadini dell’Unione Europea”.

Quello del mercato si innesta nel progetto europeo insieme alle libertà politiche che sono un modello di “benessere dell’Europa” in nome delle quali oggi flussi di rifugiati e di migranti cercano il loro futuro nell’Unione Europea, che vive di valori di integrazione per una società aperta. “I cittadini europei che hanno iniziato questo processo e noi che lo abbiamo vissuto abbiamo dimostrato al mondo che sicurezza e libertà non sono in antitesi. Radicando la democrazia abbiamo assicurato la pace”.

L’Europa ha tante sfide davanti. Dopo l’esito del referendum sulla Brexit si è confermato un crescente grado di insoddisfazione nei confronti del progetto europeo. La grave crisi economica del dopoguerra, la disoccupazione, un continente che invecchia, l’incertezza sulla sostenibilità dei nostri sistemi pensionistici, imponenti flussi migratori.

Tutto questo è rapportato nel discorso di Draghi al tipo di impianto dell’integrazione europea considerato sì saldo ma che deve essere in grado di dare risposte più efficaci e più dirette ai cittadini, ai loro bisogni, ai loro timori.

La minore attenzione alle costruzioni istituzionali secondo Draghi è dettata dal malfunzionamento delle istituzioni. Queste istituzioni sono accettate dai cittadini non per se stesse ma solo in quanto strumenti necessari a dare risposte: “l’incompletezza istituzionale che non ha permesso di gestire il cambiamento imposto dalle circostanze esterne nel miglior modo possibile”. “Si pensi all’Accordo di Schengen. Pur avendo eliminato in larga parte le frontiere interne dell’Europa, non ha previsto un rafforzamento di quelle esterne. Pertanto l’insorgere della crisi migratoria è stato percepito come una perdita di sicurezza destabilizzante.”

L’Europa può ancora essere la risposta? “Per varie ragioni, la risposta è un sì senza condizioni” afferma Draghi, bisogna però “concentrarsi sugli interventi che portano risultati tangibili e immediatamente riconoscibili”.

Draghi individua due ordini di intervento.

“Il primo consiste nel portare a termine le iniziative già in corso, perché fermarsi a metà del cammino è la scelta più pericolosa. Avremmo sottratto agli Stati nazionali parte dei loro poteri senza creare a livello dell’Unione la capacità di offrire ai cittadini almeno lo stesso grado di sicurezza.” E questo obiettivo, per salvaguardare una società aperta, è il mercato unico.

L’Europa, “oltre che catalizzatrice dell’integrazione e arbitra delle sue regole non divenga anche moderatrice dei suoi risultati. È un ruolo che oggi spetta agli stati nazionali, che spesso però non hanno le forze per attuarlo con pienezza”.

Il secondo intervento riguarda i nuovi progetti comuni in Europa, che “dovranno obbedire agli stessi criteri che hanno reso possibile il successo di settant’anni fa: dovranno poggiare sul consenso che l’intervento è effettivamente necessario; dovranno essere complementari all’azione dei governi; dovranno essere visibilmente connessi ai timori immediati dei cittadini; dovranno riguardare inequivocabilmente settori di portata europea o globale”, come ad esempio i settori dell’immigrazione, della sicurezza e della difesa.

Draghi conclude il suo discorso richiamandosi allo spirito dei (pochi) grandi leader del passato che, “in condizioni ben più difficili di quelle odierne”, ha permesso “di vincere le diffidenze reciproche e riuscire insieme anziché fallire da soli”.

Per chi legge, come me, questo discorso non può non soffermarsi proprio sull’orizzonte del fallimento da evitare. Questo sarà se non si mette da parte l’incrollabile fede nella sovranità assoluta degli Stati. E la frase di Draghi che mi sento di usare per chiudere si sofferma esattamente su questo feticcio ideologico: “La sovranità nazionale rimane per molti aspetti l’elemento fondamentale del governo di un paese. Ma per ciò che riguarda le sfide che trascendono i suoi confini, l’unico modo di preservare la sovranità nazionale, cioè di far sentire la voce dei propri cittadini nel contesto mondiale, è per noi europei condividerla nell’Unione Europea che ha funzionato da moltiplicatore della nostra forza nazionale.”
(1)messaggio umanistico ed europeo di Alcide De Gasperi (versione inglese reperibile all’indirizzo http://www.epp-ed.eu/Activities/docs/cd-rom/degasperi-en.pdf)

Autore
Mario Leone
Author: Mario Leone
Bio
Mario Leone, laureato in Giurisprudenza presso l’Università Sapienza di Roma, con una tesi in Scienza delle finanze ("Unione monetaria europea e sistema federale"), ha conseguito un master in “Giurista di impresa” presso l’Università Roma Tre e un master in “Diritto tributario professionale” presso l’Università Roma Tor Vergata. Attualmente è funzionario della Direzione centrale servizi fiscali dell’Agenzia delle Entrate. E’ entrato nella formazione giovanile (GFE) del Movimento federalista europeo (MFE) nel 1991 e nel Comitato centrale del Movimento nel 1995, è attualmente membro del Comitato federale del MFE. E' stato segretario del centro regionale del Lazio del MFE (2014-2020). E' Direttore dell'Istituto di studi federalisti "Altiero Spinelli". Ha realizzato con l’Associazione europea degli insegnanti (AEDE), l’AICCRE (Associazione italiana del consiglio dei comuni delle regioni d'Europa) e la Provincia di Latina, programmi di formazione sulle tematiche europee, è relatore sulla storia e il processo di integrazione europea in programmi di formazione scolastica. L’AEDE provinciale di Latina nel 2010 gli ha attribuito l’annuale Premio Europa per l’impegno profuso per la diffusione dell’ideale europeista. Ha collaborato con la rivista “Il Dibattito federalista” edito dalla Edif e con “Il Settimanale di Latina” sulle tematiche europee. Collabora con il bimestrale "L'Unità Europea", con Iniziativa repubblicana e con Eurobull. Ha pubblicato nel 2017 il volume "La mia solitaria fierezza" (editore Atlantide) e nel 2019 il X Quaderno di Ventotene "Dal Manifesto di Ventotene all'azione federalista nella Resistenza".
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