di Mario Leone *
Il 2015 è stato un anno di “eventi” politici e sociali di estrema importanza per la nostra Europa.
La crisi economico-finanziaria greca e la vittoria del partito di estrema sinistra Syriza hanno prodotto lo “sbandamento” dell’intero assetto istituzionale dell’UE, ponendosi il partito di Tsipras, al tavolo delle trattative con l’UE quasi come “vittima” sacrificale per evitare la c.d. “Grexit”, che avrebbe aperto scenari a dir poco catastrofici.
Le tre ultime elezioni nazionali hanno confermato “un crescente processo di polarizzazione politica”. Dal Portogallo (con il Partito socialista alleato con “nemico” comunista) alla Polonia (con l’affermazione del partito nazionalista Diritto e Giustizia PiS) alla Spagna (con la breccia di Podemos, partito di estrema sinistra, che ha “rotto” il tradizionale asse tra socialisti e popolari). Il Front National di Marine Le Pen in Francia ha confermato la sua forza alle elezioni regionali di dicembre (in particolare al primo turno).
Come ha scritto Jean Pisani-Ferry(1) “gli elettori sono profondamente scontenti dei partiti tradizionali e vogliono dare una possibilità a chi propone delle alternative radicali”, danno “sostegno a partiti che, pur diversi l'uno dall'altro, colpevolizzano l'Unione per lo stato in cui versano le economie e i mercati del lavoro del proprio paese”. E’ chiaro – continua Pisani-Ferry - che “ciò che è problematico nella UE è lo scontro tra le politiche radicali e la governance tradizionale”. Una “visione ampiamente condivisa” dell'Europa tra partiti di centro destra e di centro sinistra nei singoli Paesi dell’UE ha creato il terreno per un “consenso ideologico, formando una coalizione politica che ha creato il mercato unico, l'euro e una UE allargata”.
Infatti l’unificazione monetaria è un esempio. Mario Draghi in un recente intervento(2), ricordando la figura di Luigi Spaventa, ne ricorda la preoccupazione per l'accettazione dei vincoli, e la necessaria azione di riforma strutturale, come prodotto di un “consenso generato dall'interno, informato sull'importanza di questa trasformazione istituzionale e sulle nuove responsabilità che ne sarebbero derivate”; proprio l'incapacità di suscitare questo consenso attraverso una discussione trasparente ed equilibrata che spinse Spaventa a tornare su questi dubbi in un articolo scritto con Mario Monti(3): “Constatiamo che nessuna forza politica rifiuta l'Europa comunitaria; che nessuna, prima o dopo Maastricht, ha messo in discussione l'unione monetaria o ha eccepito alle condizioni fissate nel trattato; che nessuna ammette la possibilità di rinviare la nostra entrata nell'unione. Date queste premesse, ci si attenderebbe che il dibattito politico avvenga su come compiere in brevi anni il cammino lungo e faticoso verso una meta da tutti accettata su come distribuire i costi da sopportare. Notiamo che Maastricht e il 1993 hanno solo messo in piena luce problemi non certo nuovi: la perdita di competitività derivante dall'obsolescenza di un sistema; una finanza pubblica che ha sistematicamente violato il vincolo di bilancio. Eppure dobbiamo constatare che di questi temi, corposamente politici, anche se tecnici nella forma, si dibatte poco o nulla”.
Ritorniamo. Allora perché gli elettori oggi bocciano le politiche dei partiti tradizionali? Perché “i governi si sono dimostrati incapaci di proteggere i lavoratori non qualificati e semiqualificati dalle conseguenze della globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici. L'istruzione di massa, il sistema di tassazione progressivo e i benefici del welfare sociale non hanno impedito l'aumento della disuguaglianza; l'euro non è riuscito a creare stabilità”. Nelle democrazie è normale che ci siano riallineamenti politici, a costituzione immutata, con “un nuovo partito o coalizione ridefinisce l'agenda politica e riforma la legislazione”. Questa combinazione vale per le democrazie nazionali più plasticamente adattabili alle preferenze dei cittadini, ma non vale per l'Europa.
Infatti sono tre i “difetti” di un’Europa bloccata:
1.Innanzitutto “il cambiamento politico non è sincronizzato”. Può verificarsi un “contrasto di legittimità” cioè può succedere che in qualsiasi momento alcuni paesi votino per dei partiti radicali, mentre in altri paesi no (oppure può succedere che in altri paesi non ci siano elezioni in quel momento).
2.In secondo luogo, “la legittimità dell'UE non deriva dal processo attraverso il quale vengono fatte le scelte politiche, ma principalmente dai risultati che può raggiungere”. Questa è una differenza cruciale rispetto alle democrazie nazionali. Al centro dello scenario politico e legislativo dovrebbe stare il Parlamento europeo (eletto a suffragio universale e diretto) ma le principali decisioni vengono prese dai governi nazionali.
3.In terzo luogo, la singolarità del confine tra le “questioni costituzionali e quelle legislative” dell'UE. Nell’UE le modifiche ai trattati hanno rango “costituzionale”, è vigente il principio dell'unanimità. La diffidenza tra i governi nazionali ha condizionato l’introduzione di regole economiche difficili da modificare rispetto a quelle nazionali.
Come può rispondere l’UE alla polarizzazione politica?
Prima soluzione: “la UE potrebbe ignorare questi cambiamenti e sperare che il radicalismo tramonti non appena i suoi sostenitori si troveranno a confrontarsi con la responsabilità di governare”, ma ignorare le richieste di cambiamento aumenterebbe l'ostilità popolare nei confronti della UE. Seconda soluzione: “sfruttare la flessibilità che già esiste all'interno dei provvedimenti dei trattati dell'UE”. Ma si annida un rischio: “quello di trasformare la struttura della Ue in un groviglio di negoziazioni politiche con ogni Stato membro”. La terza e ultima soluzione impone un cambiamento politico all'UE, che metta sotto revisione l'equilibrio tra questioni “costituzionali” e quelle “legislative”. Bisogna estendere la capacità decisionale e di legiferare dell’UE come nel campo della tassazione.
Qui ha un ruolo fondamentale il Parlamento europeo. E’ in gioco il sistema di governo dell’UE, che – qualora impostato in chiave federale - metterebbe i governi a livello nazionale ed europeo nella stessa posizione di legittimità. Noi sosteniamo l’affermazione del principio federalista all'interno dell'eurozona partendo, oggi, dalla cooperazione rafforzata concessa dal trattato di Lisbona. Il salto di qualità al processo di unificazione europea per superare la crisi economica e riconquistare la fiducia dei cittadini, sta nel continuare a sostenere politiche mirate a un New Deal europeo, con un bilancio autonomo per l’eurozona, fondato su risorse proprie ottenute con tasse europee, come la tassa sulle transazioni finanziarie e la carbon tax, e sull’emissione di Union bonds, non dipendente dai governi nazionali e controllato democraticamente dal Parlamento europeo.
E’ sulla divergenza fra le diverse politiche nazionali che l’Europa perde la partita. Per la sua incapacità di mettere in atto le ricette di politica keynesiana che hanno permesso agli Stati Uniti di superare in modo molto più efficace di noi europei la crisi che loro stessi avevano provocato. Come osservato da Romano Prodi(4) infatti “mentre negli Stati Uniti il governo federale e la Federal Reserve intervengono con immediatezza e con grande intensità a sostegno della produzione e dell’occupazione … in Europa l’intervento è più lento e di dimensioni meno consistenti” a causa della difficoltà di prendere decisioni in un contesto istituzionale in cui non è presente un’autorità dotata di poteri adeguati per prendere decisioni “immediate e significative”. Majocchi scrive punto per punto quelle che debbono essere le caratteristiche di un’Europa “intera”. La moneta comune non può sopravvivere a lungo se non è affiancata da un sistematico processo di unificazione politica fondato su una piena armonizzazione fiscale.
Il MFE recentemente(5) prendendo atto dello sforzo che la Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo sta affrontando nel presentare due rapporti, uno sui possibili miglioramenti della governance a Trattati invariati e l'altro sulle modifiche da apportare ai Trattati stessi per istituzionalizzare una integrazione differenziata, ha ribadito il ruolo proprio del Parlamento europeo, esortandolo ad elaborare ed approvare una proposta organica di revisione dei Trattati da affidare ad una convenzione/assemblea costituente incaricata: a) di definire la struttura, le istituzioni ed i poteri dell'unione fiscale, dell'unione economica e dell'unione politica, che comprenda anche le competenze della difesa e della politica estera, tra gli Stati disponibili a compiere un tale trasferimento di sovranità, a partire da quelli dell'eurozona; b) di stabilire i rapporti tra la federazione così costituita e gli Stati che continueranno a far parte della sola UE; c) di includere nel progetto costituzionale procedure di ratifica a maggioranza, eventualmente con un referendum europeo a doppia maggioranza dei cittadini e degli Stati.
Ma non solo il Parlamento, la Commissione europea, i governi ed i parlamenti nazionali nonché le forze politiche, economiche e sociali hanno il compito di sostenere la battaglia per dotare l'Europa di una architettura istituzionale federale in grado di rispondere alle sfide della storia ed alle aspettative dei cittadini, secondo gli insegnamenti di Acide De Gasperi, Luigi Einaudi ed Altiero Spinelli.
* Questo intervento costituisce il contributo al dibattito al congresso del centro regionale del Lazio del Movimento federalista europeo tenutosi a Latina il 9 gennaio 2016.
1. Europa, l'antidoto alla «polarizzazione», il Sole 24 Ore, mercoledì 6 gennaio 2016, pagina 15.
2. “Spaventa e la lezione sulle riforme incompiute”, il Sole 24 Ore, mercoledì 6 gennaio 2016, pagina 1.
3. Pubblicato sul «Corriere della Sera» e «la Repubblica» il 27 febbraio 1992.
4. Prefazione di Romano Prodi, “Un piano per l'Europa” di Alberto Majocchi Il Mulino, 2015. “Majocchi non nega gli sforzi compiuti in passato, attivando strumenti finanziari come l’European Stability Mechanism (ESM) e l’European Financial Stability Facility (EFSF) che hanno a più riprese fornito assistenza finanziaria a diversi paesi in difficoltà. Tali strumenti hanno tuttavia, come giustamente sostiene l’autore, efficacia limitata e diventano applicabili solo attraverso complesse decisioni che debbono coinvolgere tutti gli stati membri. Anche il Patto di stabilità viene valutato nel suo aspetto positivo di opposizione ad una crescita fondata sull’indebitamento ma viene poi messo in rilievo che la crescita dell’area dell’euro può realizzarsi solo identificando i fattori dinamici di una nuova fase di sviluppo e mettendo in atto le politiche per attivarli e gli strumenti finanziari per coprirne la spesa”.
5. Mozione del Comitato centrale del Movimento Federalista Europeo, riunito a Roma il 14 novembre 2015.