Le 68 pagine di conclusioni pubblicate a seguito della maratona straordinaria del Consiglio europeo (17, 18, 19, 20 e 21 luglio 2020) lasciano considerazioni positive e negative allo stesso tempo.
Il Consiglio europeo ha dovuto affrontare tanti ostacoli di ordine tecnico e politico, ma anche di ordine morale, e soprattutto ha dovuto riparametrare le proprie decisioni sulle novità economiche nazionali critiche a seguito della pandemia di Covid-19.
Il principale strumento europeo con cui si svilupperanno i buoni propostiti sarà ovviamente il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 e il suo moltiplicatore reale denominato Next Generation EU (NGEU), un rafforzamento finalizzato a dotare l'Unione dei mezzi necessari per affrontare, appunto, le sfide della pandemia.
La Commissione per poter sviluppare i programmi dell'Unione in conformità al NGEU è stata autorizzata a contrarre prestiti “di scopo”, per conto dell'Unione, sui mercati dei capitali fino a 750 miliardi di euro (a prezzi 2018). Non potrà comunque assumere prestiti oltre la fine del 2026.
La composizione dei 750 miliardi sarà: “prestiti” fino a concorrenza di 360 miliardi e “spese” fino a concorrenza di 390 miliardi.
Puntualizzano le conclusioni del Consiglio europeo che le passività dovranno essere ridotte costantemente e prevedibilmente fino al 31 dicembre 2058 e che a questo scopo gli importi dei massimali delle risorse proprie sono incrementati in via temporanea di 0,6%.
Le spese “di scopo” del bilancio, quindi, verranno alimentate attraverso le entrate del NGEU.
Il controllo politico sullo stesso sarà definito di comune accordo tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione.
La Commissione dovrà presentare, prima del Consiglio europeo di ottobre, proposte in merito alle modalità per accelerare e agevolare le procedure negli Stati membri per sostenerne la ripresa con progetti di investimento, in particolare nelle infrastrutture.
Vediamo le scadenze: gli impegni giuridici di NGEU dovranno essere contratti entro il 31 dicembre 2023, mentre i relativi pagamenti saranno effettuati entro il 31 dicembre 2026.
Soffermiamoci, in particolare per consistenza (“pesa” per l’89,7% del totale), sulla prima voce del Next Generation EU: il Dispositivo per la ripresa e la resilienza.
Il Consiglio europeo ha stabilito che il volume massimo dei prestiti per ciascuno Stato membro non potrà superare il 6,8% del suo RNL e che:
il 70% dovrà essere impegnato negli anni 2021 e 2022;
il 30% dovrà essere interamente impegnato entro la fine del 2023.
Il prefinanziamento del dispositivo per la ripresa e la resilienza verrà versato non prima del 2021 e potrà essere pari al 10%.
L’ammontare del Dispositivo è pari a 672,5 miliardi, di cui 360 miliardi di prestiti e 312,5 miliardi di sovvenzioni.
Alcune considerazioni.
Secondo la bozza precedente al vertice scorso, l’ammontare complessivo del NGEU resta di 750 miliardi. Diversa l’allocazione tra prestiti e sovvenzioni rispetto alla proposta precedente. I sussidi non saranno 500 miliardi, ma scendono, appunto, a 390 miliardi (-110 miliardi). I prestiti aumentano da 250 a 360 miliardi (+110 miliardi). L’equilibrio, esattamente corrispondente in valore, ribilanciato a favore di quest’ultimi è il risultato delle pressioni esercitate da Austria, Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia che hanno agito per limitare al massimo la devoluzione a fondo perduto.
Il NGEU comporta, per tutti gli Stati membri che ne richiederanno l’accesso, l’obbligo di preparare programmi nazionali di riforme (PNR) e investimenti per il periodo 2021- 2023. I piani saranno riesaminati e adattati, ove necessario, nel 2022 per tenere conto della ripartizione definitiva dei fondi per il 2023.
Questi piani verranno valutati dalla Commissione entro due mesi dalla presentazione.
Il Consiglio europeo ha ritenuto anche di “graduare” il metro di valutazione dei piani. Il punteggio più alto andrà attribuito a quei piani che saranno coerenti con le raccomandazioni specifiche per paese, col rafforzamento del potenziale di crescita, con la creazione di posti di lavoro e con la resilienza sociale ed economica, nonché con l'effettivo contributo alla transizione verde e digitale (quest’ultimo rappresenta una condizione preliminare ai fini di una valutazione positiva).
La valutazione dei piani andrà approvata dal Consiglio, a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, con un atto di esecuzione che il Consiglio adotterà entro quattro settimane dalla proposta.
La valutazione positiva delle richieste di pagamento sarà subordinata al soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali.
Questa procedura “complessa” è più capillare delle altre procedure che conosciamo e che “caratterizzano” il coordinamento della politica economica dell’UE rispetto agli strumenti che usualmente vengono utilizzati a livello nazionale per le politiche di bilancio domestiche. Parliamo del semestre europeo, dell’esame della Commissione dei programmi nazionali che potrebbero ricevere una raccomandazione generica riferita evidentemente e in particolare al Documento di economia e finanza annuale (e agli eventuali aggiornamenti) utile alla programmazione della legge di Bilancio annuale.
Davanti a questo nuovo processo, una riflessione – anche nel merito – rispetto ad altri strumenti di finanziamento è d’obbligo.
Fatte le dovute proporzioni, secondo le indicazioni fornite, all’Italia dovrebbero spettare fino a 102 miliardi di euro (6,8% max del RNL) del Dispositivo principale del NGEU, quindi un ammontare comunque maggiore rispetto ai 91 preventivati in precedenza per l’intero pacchetto dedicato NGEU.
Complessivamente sarebbero 209 miliardi contro i 173 miliardi previsti dalla proposta della Commissione.
Come specificato in precedenza (visto che rappresenta la parte consistente maggiore, quasi il 90%) nel NGEU è dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza che verranno gli importi più importanti.
I prestiti del Dispositivo sottoforma di prefinanziamento finalizzato alla ripresa e alla resilienza non verrà versato prima del 2021 e comunque al massimo sarà pari al 10%. Ciò significa che del maggior fondo di copertura europeo all’Italia arriverà soltanto un anticipo possibile di 10,2 miliardi…
L’Italia è un Paese che ha affrontato la crisi economica conseguente alla pandemia sfoderando l’equivalente di 3 manovre di bilancio (se paragonato all’ultima legge di bilancio 2020).
L’indebitamento cumulato per rispondere all’emergenza Covid-19 supererà i 100 miliardi.
Dal decreto-legge n. 18 a quello n. 34 quest’anno il peso complessivo sarà di 179,5 miliardi sul saldo netto da finanziare con più di 75 miliardi di disavanzo (autorizzato dal Parlamento in virtù della sospensione del Patto di stabilità europeo). A questo andranno ad aggiungersi gli scostamenti per altri 15-20 miliardi con il prossimo decreto che sarà licenziato a breve dal Governo e sottoposto all’esame parlamentare. Il Governo italiano quindi dovrà ora affrontare la tortuosa strada del Piano nazionale di riforma con una doppia scure, quella della sostenibilità delle spese ma col condizionamento di rendere conforme ai parametri come in precedenza specificati per poter accedere alla fetta spettante di prestiti dell’UE.
L’Italia quindi deve ricorrere urgentemente agli anticipi del NGEU per quanto possibile perché con questo andamento il deficit pubblico sarà tendenzialmente oltre il 13%.
Qui viene la considerazione ulteriore. Alla maggiore esigenza di cassa può anche rispondersi con l’altro strumento che sappiamo attivo per fronteggiare l’emergenza dei Paesi euro in difficoltà. Parliamo del Meccanismo europeo di stabilità (MES) rivisitato, di scopo, “sanitario”. Destinato a “spese dirette e indirette” per risposte alla pandemia avrebbe avuto come unico condizionamento la rispondenza della richiesta al form delle spese giustificabili, con tassi agevolati e che avrebbero consentito all’Italia di ricevere una linea di finanziamento fino al 2% del PIL ovvero circa 36 miliardi, con un tasso agevolato pari all’1% in 10 anni (con tasso negativo fino a 7 anni), cioè 0,1% annuo (e spesa di ingresso una tantum dello 0,25%). Senza alcuna sorveglianza “speciale” diversamente dalla programmazione che è richiesta dal Consiglio europeo e demandato ora alla Commissione europea per l’utilizzo dei finanziamenti del NGEU.
Ultima considerazione la lasciamo al “costo” sociale che l’accordo del Consiglio europeo ha comportato. Infatti, per ottenere il consenso di quei Paesi definiti “frugali” è stato previsto un aumento dei rebates, cioè dello sconto sotto forma di restituzioni sulla contribuzione Paese al bilancio di funzionamento dell’UE. Così Danimarca avrà 377 milioni di “sconto” (con un incremento di 180 milioni rispetto al precedente settennato), l’Austria 565 milioni (298 in più), la Svezia 1,06 miliardi (+217 milioni) e l’Olanda 1,9 miliardi (+345 milioni).
Bisogna dire che il metodo di applicazione di un'aliquota uniforme di prelievo per determinare i contributi degli Stati membri all'attuale risorsa propria basata sul reddito nazionale lordo (RNL) resta invariato ma, appunto, oltre a questi “frugali” anche per il primo contributore netto cioè la Germania che avrà una riduzione da correzioni forfettarie per il periodo 2021-2027 pari a poco più di 3,6 miliardi. Questi “sconti” saranno finanziati da tutti gli Stati membri conformemente al loro RNL.