In poco meno di 600 anni sono passati per l’omonimo vallo del Brennero 66 sovrani germanici. Una “migrazione” dovuta (ma voluta) per rendere il Romano Impero anche Sacro grazie all’“omaggio” al Papa di turno a Roma. Da quel luogo oggi la storia sembra astenersi. Anzi. Sembra fare un passo indietro. L’Austria alza un “muro”, una vera e propria barriera, che va oltre i suoi 250 metri di lunghezza fisica. Quel passaggio ogni anno porta a uno scambio commerciale tra Italia e Austria, di 140 miliardi di euro e si pone sulla poco rispettosa e devota linea di libera circolazione nell'area Schengen con la reintroduzione temporanea di controlli dopo Norvegia, Danimarca, Belgio, Francia, Svezia, Germania.
L’Austria potrebbe anche chiudere del tutto il Brennero, come confermato dal ministro della Difesa austriaco Hans Peter Doskozil durante una riunione del suo partito, il socialdemocratico Spoe, a Innsbruck. «Se l’Italia continuasse a far passare i profughi e non prendesse indietro i respinti con il Tirolo trasformato in “sala d’attesa”, chiederemo all’Italia di poter controllare noi anche sul suo territorio. Pronti, nel caso più estremo, a chiudere i confini».
E così arriva un altro annuncio. Sarà inasprito il diritto d’asilo: da giugno sarà introdotto un tetto massimo di 37.500 all’anno contro gli 80.000 dell’anno scorso.
Una escalation innescata, sembra, da una presa di coscienza nella tragedia che molti ricorderanno avvenuta lo scorso agosto quando la polizia austriaca trovò una cinquantina di cadaveri di profughi nascosti in un camion parcheggiato nell'autostrada A4 nell'est del Paese austriaco. Già allora la Commissione europea fece un appello, una richiesta a sostegno delle proposte avanzate dalla stessa Commissione perché «non è una crisi austriaca, italiana, francese, tedesca o greca o ungherese. Ma europea e richiede una risposta europea» (così in una nota congiunta del primo vicepresidente della Commissione Ue, Timmermans e il Commissario agli Affari Interni Avramopoulos).
L’eco di quella richiesta di unità è nelle parole di ieri del ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni: bloccare la frontiera «sarebbe grave perché significa dimenticare che i problemi vanno affrontati insieme» e sarebbe «un brutto segnale per l’Europa»; ricorda l’intervento del presidente della Repubblica, Mattarella di due giorni fa a Torino, dove si è tenuto il secondo «Dialogo ad alto livello Italia-Germania», organizzato dall'Ispi, al quale ha partecipato il presidente tedesco Joachim Gauck. Mattarella ha definito le barriere che dividono l'Europa come «una zavorra che ne appesantisce il cammino»; ha citato John Donne (“Nessun uomo è un’isola”) nulla può essere affrontato da soli elencando tutti gli strumenti urgenti che servono: «Registrazione, asilo, ricollocazione e rimpatri per chi non ha diritto d’asilo si tengono insieme».
L’Europa arenata. L’Europa ex roccaforte verso l’esterno, mette in discussione le sue “crisi” con la scelta peggiore, non le affronta. Si è discusso al teatro Regio di Torino sulle tre grandi crisi; mentre sui profughi la linea d’azione sembra la stessa, crisi economica e conflitti emergenti ai confini, sembrano allontanare le posizioni.
Da molti osservatori è stato definitivo positivo il convergere verso una prospettiva di lavoro comune tra Italia e Germania per “orientare” ancora una volta l’Unione. Una proposta avanzata da Norbert Röttgen, presidente del Comitato Affari Esteri del Bundestag, molto vicino alla Merkel il quale ritiene che le tre crisi non possono essere separate. L'Europa è «a uno spartiacque», davanti a «sfide mai viste prima» in una situazione drammatica «la peggiore dai Trattati di Roma». Secondo Röttgen occorre muoversi verso un compromesso e auspica la formazione di un direttorio che chiama “E4+1”: Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna più l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Banco di prova di questa azione potrebbe essere il Consiglio europeo di giugno quando Federica Mogherini presenterà la sua European Global Strategy.
Un problema c’è ed è culturale. Possono attivarsi tutti gli strumenti tecnici, burocratici, ma non può essere mai assente la dinamica umana.
Vorrei richiamare una riflessione di Frans Timmermans su libertà, eguaglianza e fratellanza, «valori europei che nel 1875 Victor Hugo identificò come i tre passaggi verso lo stato più alto della civiltà. Tre valori – ha scritto il primo vicepresidente della Commissione europea (1) - oggi messi in questione, all’interno dei nostri Paesi e nell’unione fra i nostri Paesi. La libertà è un diritto, l’uguaglianza un fatto ma la fratellanza, la solidarietà come la chiamava Hugo, un obbligo dal cui rispetto dipende il valore della nostra libertà e la nostra eguaglianza. La fratellanza non è altruismo. È il sapere di vivere in una comunità dove se io aiuto l’altro, allora l’altro aiuterà me nel momento del bisogno. Questo senso di fratellanza va recuperato, a partire dal centro delle nostre società verso l’esterno. Più solidarietà nei nostri Paesi e fra i nostri Paesi. La crisi e i suoi demiurghi ci separano e ci isolano. Ma siamo tutti interconnessi, individui, nazioni. Nessuna società cresce se non è comunità. Non siamo isole o, se lo siamo, dobbiamo essere punti di attracco e di partenza, non scogliere inaccessibili. Che l’idea salpata da Ventotene continui il suo viaggio».
(1) Corriere della Sera, mercoledì 13 aprile 2016, “Un'Europa senza muri e con più diritti” di Frans Timmermans, p.30