“Annunciamo la morte dei nostri diritti”, è lo slogan utilizzato dalle associazioni che a Varsavia, in Polonia, hanno dato il via alla #CzarnyProtest e #BlackProtest, la “protesta nera”.
Uno sciopero generale, in questi giorni, con cortei in ogni città della Polonia, ha caratterizzato l’ennesimo scossone all’impianto dei diritti acquisiti in un Paese dell’Unione europea.
Chiara Lalli, bioeticista, è intervenuta (1) ricordando come la Polonia abbia una delle leggi “più restrittive d’Europa sull’interruzione volontaria della gravidanza”: attualmente, la legge che risale al 1993, consente l’aborto solo in caso di stupro (entro la 12esima settimana), di malformazione del feto e quando la gravidanza può mettere in pericolo la vita della madre.
“L’attribuzione di diritti fondamentali all’embrione è, oltre che non facile da sostenere teoricamente, pericolosissima sul piano giuridico e fattuale. L’attribuzione di diritti fondamentali all’embrione trasforma ogni azione o scelta in un potenziale reato. Riduce fino a eliminarla la possibilità di compiere delle scelte e, infine, spinge nell’illegalità un servizio che dovrebbe essere medico”.
Le promesse del partito conservatore di maggioranza Diritto e Giustizia (PiS), sembrano avere riscontro nei lavori parlamentari, ed è stato un successo della manifestazione avanzata dalle donne polacche. Ma all’orizzonte non cala un'altra proposta, quella del gruppo Ordo Iuris, che propone addirittura il divieto pressoché totale. Bisogna anche dire che la premier Beata Szydlo ha sottolineato che la proposta è stata avanzata da un’iniziativa popolare (in particolare organizzazioni “pro vita”) e “non è una proposta governativa”: “Il governo non ha lavorato né lavorerà su una legge in vigore cambiando le attuali disposizioni in materia di aborto”.
Il gruppo di “donne in nero”' ha manifestato anche all'interno del Parlamento europeo per il diritto all'aborto e alla salute mettendosi contro l’ala ultraconservatrice in Polonia ma anche dei Paesi dell'Est. Poco prima una delegazione di europarlamentari, tutte vestite di nero, ha tenuto una conferenza stampa. Hanno partecipato la svedese Maljn Bioerk della Sinistra Unitaria, la tedesca Terry Reintke dei Verdi, l'austriaca Angelika Mlinar del gruppo lib-dem Alde e la belga Maria Arena per il gruppo socialista S&D, assieme a Kamila Ferenc e Barbara Nozacka, rappresentanti del movimento "All of us: Women's Right in Poland".
Molti i dubbi sollevati sulla libertà anche dei media che starebbero oscurando la protesta come denunciato dalle stesse organizzatrici, pur davanti a un’onda di centinaia di migliaia di persone in tutte le città polacche, anche davanti alle ambasciate polacche nel resto d'Europa e del mondo (si apprende da Londra all'Australia).
Uno scontro politico, quindi, anche all’interno delle Istituzioni. Infatti, gli europarlamentari del PiS hanno chiesto la “non ingerenza della UE e dell'Europarlamento sul diritto all'aborto”.
E la risposta è nelle parole della europarlamentare Arena: lo strumento per intervenire è “la direttiva europea sulla non discriminazione per l'accesso alla salute, perché ciò che sta accadendo in Polonia rischia di “bloccare l'accesso alle cure sanitarie per le donne”.
Nel 2013 il Parlamento europeo aveva detto “no” alla «risoluzione Estrela» (3). Un documento importante che avrebbe dovuto portare ad una presa di coscienza maggiore del problema dell’aborto.La proposta di risoluzione evidenziava:
“In via principale, le donne devono confrontarsi con un ricorso non regolamentato all'obiezione di coscienza da parte degli operatori della sanità riproduttiva, con periodi di attesa obbligatori e consulenze di parte. La pratica dell'obiezione di coscienza ha negato a molte donne l'accesso ai servizi di salute riproduttiva, per esempio a informazioni, all'accesso e all'acquisto di contraccettivi, a visite prenatali e all'interruzione legale della gravidanza. In Slovacchia, Ungheria, Romania, Polonia, Irlanda e Italia sono stati segnalati casi in cui quasi il 70% di tutti i ginecologi e il 40% degli anestesisti oppongono l'obiezione di coscienza alla possibilità di eseguire aborti. Questi ostacoli sono evidentemente in contrasto con le leggi sui diritti umani e con le norme mediche internazionali”.
L’Assemblea di Strasburgo ha poi approvato nel marzo 2015 a larga maggioranza - 441 sì, 205 no e 52 astenuti - la “risoluzione non legislativa Tarabella” sulla parità uomo-donna (4), inclusa la parte, oggetto di contestazione dei movimenti pro-life, dove si sostiene che le donne devono «avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto».
Ricordiamo come l’articolo 6 del Trattato UE riservi all’Unione la competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri in alcuni settori, tra questi la tutela e miglioramento della salute umana (lett. a). E proprio nella garanzia di un livello elevato di protezione della salute umana che l’articolo 168 sottolinea nuovamente la competenza dell'Unione nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività per completare le politiche nazionali, affinché vengano indirizzate al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale.
Il ridimensionamento dei diritti acquisiti in ambito nazionale non è una prerogativa avallabile dall’UE.
Note:
(1) http://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2016/10/04/polonia-legge-aborto