Una domenica di “festa” a Londra. Lungo The mall si snoda il corteo con la Regina Elisabetta protagonista del proprio 90° compleanno. Dopo aver respirato l'aria che tira in Trafalgar square, pausa caffè obbligata. Provo a riprendere fiato in una library moderna, dove accanto ai libri ci si può concedere un sandwich. Nel girarmi intorno, fatta eccezione per masse di persone incasellabili nella categoria "turisti", l'occhio indaga nella speranza di cogliere qualche sintomo del grande peso che la Gran Bretagna sta per accollarsi rispetto al proprio futuro con il "leave" o in "remain" che i 50 milioni di sudditi di Sua Maestà esprimeranno tra pochi giorni. Noto molta attenzione a quello che resta della corona britannica, una grande schermo montato per assistere alla celebrazione, ma neanche l'ombra di interesse per la prossima epocale scelta o quasi.
Nella piazza, pur sepolta dalle panche predisposte per il Patronal's lunch, si aggira una signora, sedia a rotelle, ben vestita, sul simil classico-aristocratica, con “dame di cortesia” al seguito, mostra fiera un cartello "Vote Leave", palloncini e bandiere al seguito con rigorosi blu, rosso e bianco a completare l'operazione nostalgia canaglia. Il messaggio va ben oltre il macchiettistico “candore” britannico. Tanti richiami visivi che fanno di una tenera madame un balzello da pagare alla libertà britannica.
A sfogliare i free press, quelli che a decine si trovano all'ingresso della tube, che il popolo voracemente sfoglia in attesa, sembra ridursi ad attacchi personali, con tre figure in primo piano, Cameron, Farage e Johnson a dare fuoco alle polveri. Un ridicolizzare reciproco, con qualche incomodo come Juncker bollato, in sintesi, come un ubriacone da Farage rispetto alla percezione dei processi decisionali degli inglesi. Ma il popolo nelle librerie avrebbe avuto più fortuna, a frequentarle però! Infatti ridotte a bar o megastore hanno perso gran parte dell’occasione e la loro funzione è involuta a ristorazione da passeggio. Ma la sorpresa ti viene manco a pensare bene proprio da Boris Johnson che, guarda un po', ti fa apparire in libreria un elogio a Churchill, il "fattore" determinante, un best seller sull'uomo che ha fatto la storia. Non solo. Una discreta bibliografia in bella vista a far dar benvenuto al cliente curioso, magari veramente interessato a capire qualcosa. Perché alla fine consapevoli di incertezze certificate per le profonde implicazioni che potrà avere è opportuno superare il bombardamento delle contraddizioni diffuse dai partiti. E mi accorgo che il curioso vero c'è stato, forse più di uno, dal semplice "tatto", gettonata mi sembra essere la “Guida per i votanti al referendum”.
Ma nessun preoccupazione di “affogare” nella carta per documentarsi, mentre qualcun altro vorrebbe davvero affogare l’avversario. Protagonisti di nuovo Nigel Farage e Bob Geldof che si sono scontrati nel mezzo del Tamigi, due flottiglie rivali contro e pro la permanenza nella UE.
La raccolta fondi della rock star è avvenuta a bordo di un “incrociatore” che ha avvicinato la barca di Farage mentre arringava il leader Ukip. Geldof ha attaccato Farage, coprendone la voce. Geldof per esempio sul tema della pesca ha detto: "La Gran Bretagna ha più soldi di qualsiasi altro paese in Europa dalla pesca. La Gran Bretagna ha la seconda più grande quota per la pesca in Europa dopo la Danimarca.” E se Farage vuole la Gran Bretagna fuori dalla UE vuol dire che “lui è amico di nessuno pescatore".
“L’80 per cento del popolo britannico è disinformato”. A dirmelo è Adolfo, da 12 anni a Londra, attivista di Animal welfare and trade. Lo incontro a St. James, al termine di una funzione anglicana. “A molti non va neanche di avvicinarsi alla comprensione del significato di una eventuale Brexit”. Questa cosa non mi stupisce affatto. Pur essendo un Paese col 90 per cento di accesso ad internet morde i quotidiani e divora format tv persi nella confusione totale. Ma l’impegno delle comunità di volontariato supera di gran lunga ciò che uno spettatore medio può vedere camminando per le vie e guardando la tv, così preda degli scontri politici di parte e personalistici dei tre sopra ricordati “campioni” del leave o del remain. Sono le comunità in senso lato a mettersi in gioco con enormi sacrifici, creando punti di contatto e confronto, soprattutto nelle zone più disagiate di Londra. “Andiamo porta a porta – continua Adolfo – perché crediamo nella giusta e piena informazione. Poi deve essere la gente a completarsi l’idea, certo, ma mancano momenti vero di confronto”. La Chiesa anglicana ha diffuso già da fine aprile il testo di una preghiera ad “uso delle chiese e degli individui in vista del voto il 23 giugno”, recita così: “Dio di verità, dacci la grazia di discutere le questioni in questo referendum con onestà e apertura. Dai generosamente a coloro che cercano di formarsi un’opinione e il discernimento a chi vota, che la nostra nazione possa prosperare e che con tutti i popoli d’Europa noi possiamo lavorare per la pace e il bene comune; per amore di Gesù Cristo nostro Signore.”
E mentre chiudo queste riflessioni, arriva un “avvertimento”. Una manovra straordinaria sarà necessaria in caso di Brexit. In una nota a quattro mani firmata dal Cancelliere dello scacchiere George Osborne e dal suo predecessore, il laburista Alistair Darling prevede l’aumento dell’aliquota base dell’imposta sulle persone fisiche del 2% e di quella marginale del 3%, l’innalzamento della tassa di successione del 5%, tagli non inferiori al 2% alla sanità, alla pubblica istruzione e alla difesa e un taglio, imprecisato, alle pensioni. Conto finale: 30 miliardi di sterline, risultato del mix di aumenti di entrate e tagli alla spesa.
Il 19 giugno si andrà a votare nella speranza (personale di chi scrive) che il calendario non debba riportare un Sunday Brexit.